Di Jula Papa
Diagnosi lente, difformità territoriali e lo spettro della rinuncia alle cure: il mondo difficile dei malati cronici
Diritti sospesi per chi soffre di una patologia cronica e rara e per i loro familiari: dall’indagine annuale emergono criticità a 360 gradi, a partire dalla diagnosi che in più di un caso su quattro si riceve dopo oltre i 10 anni. Oltre alle tempistiche necessarie per dare un nome alla patologia, pazienti e caregiver devono affrontare anche le difficoltà che derivano dalle difformità territoriali nell’erogazione delle prestazioni sanitarie: ad esempio, 4 intervistati su 5 affermano che il supporto psicologico non è garantito ovunque allo stesso modo; in percentuale simile, si riscontrano disuguaglianze che riguardano la presenza sia di percorsi specifici che di centri specializzati o di una rete di presidi dedicati. Tra le criticità particolarmente avvertite anche quella dei costi: quasi due su tre li sostengono per le visite specialistiche private, uno su due per gli esami diagnostici o per acquistare farmaci necessari che il SSN non rimborsa. Emerge così (fortemente legato ai costi) anche il fenomeno della rinuncia alle cure, segnalato dal 30% degli intervistati: per 1 su 10 di loro l’abbandono per questi motivi avviene di frequente.
Sono questi alcuni dei dati contenuti nel XXII Rapporto sulle politiche della cronicità, presentato oggi a Roma da Cittadinanzattiva con il titolo “Diritti sospesi”. Il documento è il risultato di un’indagine effettuata su tutto il territorio nazionale che ha interessati 102 presidenti delle Associazioni dei malati cronici e rari, 3500 persone affette da patologia cronica e rara e i loro familiari. Il Rapporto scatta un’istantanea sulla rispondenza del SSN ai bisogni di salute dei pazienti cronici e rari e delle famiglie, con l’intento di far comprendere, soprattutto alle Istituzioni, cosa significhi vivere quotidianamente con una patologia cronica e rara e trovare servizi non sempre efficienti o inadeguati che rendono poco esigibili il diritto alla cura, il diritto a una qualità di vita migliore e non ultimo, il diritto a mantenere la qualità di vita acquisita.
“Da diversi anni – dichiara Anna Lisa Mandorino, Segretaria generale di Cittadinanzattiva – il dibattito pubblico riconosce nella cronicità l’ambito che richiede anche per le caratteristiche demografiche del nostro Paese, maggiore innovazione e maggior investimento in termini professionali, organizzativi ed economici. Piani e norme non mancano e in genere ben definiscono i diritti delle persone con malattia cronica e rara. Troppo spesso però, restano sospesi: nelle more delle decisioni, negli ostacoli che le istituzioni tendono a frapporsi, nell’insufficiente partecipazione dei pazienti e delle loro associazioni, nelle maglie di procedure poco orientate alla concretezza. Questo soprattutto denuncia il nostro Rapporto: la necessità di politiche pubbliche efficaci per ora e per il futuro e l’urgenza di un Patto rinnovato fra le istituzioni, soprattutto nel rapporto fra Stato e Regioni, per accelerare i tempi d’esigibilità dei diritti e dar loro attuazione in modo equo a tutti i pazienti in tutto il Paese”.
Il contesto. – Le malattie croniche interessano il 40,5% della popolazione italiana (24 milioni), mentre le persone affette da almeno due patologie croniche sono 12,2 milioni. Gli ultra 75enni affetti da una patologia sono l’85%, il 64,3% da due o più patologie. In base ai dati la tendenza è che nel 2028, i malati cronici saliranno a 25 milioni, mentre i multi-cronici saranno 14 milioni. In riferimento alle malattie rare, le indagini del Registro Nazionale dell’Istituto Superiore di Sanità stimano 20 casi di malattie rare ogni 10.000 abitanti e ogni anno sono circa 19.000 i nuovi casi segnalati. Il 20% delle patologie coinvolge persone in età pediatrica (d’età inferiore ai 14 anni).
“I dati del presente Rapporto – dichiara Tiziana Nicoletti, Responsabile Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici e rari (CnAMC) – delineano in modo sempre più evidente, le problematiche che si sono radicate nel tempo per i pazienti cronici e rari e per le loro famiglie, impedendo loro d’accedere pienamente e in maniera uniforme alle cure. Su questo chiediamo come primo atto urgente il recepimento in Conferenza Stato-Regioni del nuovo Piano Nazionale della Cronicità 2024 e il monitoraggio costante degli obiettivi previsti. Va inoltre garantita al più presto una revisione costante e certa dei Livelli Essenziali di Assistenza, l’aggiornamento del Decreto Tariffe per la specialistica ambulatoriale e la protesica, con cadenza almeno biennale e l’aggiornamento del panel che riguarda gli screening neonatali estesi”.
Diagnosi – presa in cura – liste d’attesa – assistenza domiciliare. – Per il 27,6% delle persone affette da patologia cronica, il tempo necessario per dare un nome ad una serie di sintomi e disagi è stato superiore a 10 anni. Comunque molto ampia la percentuale di persone che hanno atteso dai 2 ai 10 anni per ottenere la diagnosi (22,9%). Solamente per il 18,1% il tempo per la diagnosi è stato meno di 6 mesi. Nell’84,9% dei casi si tratta di pazienti con patologia cronica riconosciuta, ma per un 7,6%, la patologia non è riconosciuta e non viene garantito il diritto all’esenzione dal ticket.
Gli elementi che ostacolano maggiormente la diagnosi precoce della malattia: con l’80,2%, la scarsa conoscenza della patologia da parte dei Medici di base e Pediatri; segue la sottovalutazione dei sintomi (68,9%), gli elementi comuni ad altre patologie (54,7%); il poco ascolto del paziente (46,2%); la mancanza di personale specializzato sul territorio (42,5%); le liste d’attesa eccessivamente lunghe (23,6%).
Il tema dei tempi d’attesa si fa più critico nel momento dell’avvio del percorso terapeutico. Per ciò che attiene le liste di attesa, gli ambiti più segnalati sono: 64,6% prime visite specialistiche; 56,1% visite di controllo e follow-up; 53% esami diagnostici; 60% riconoscimento invalidità civile e/o accompagnamento; 45,3% riabilitazione; 39,7% riconoscimento handicap.
Gli aspetti più carenti ai fini di un’adeguata presa in cura per la patologia di riferimento sono: coordinamento tra l’assistenza primaria e specialistica 69,8%; continuità assistenziale 48,1%; liste d’attesa 44,3%; integrazione tra aspetti clinici e socioassistenziali 43,4%.
Il 44% dei pazienti lamenta problemi con le cure a domicilio, a causa del numero di giorni/ore d’assistenza erogati inadeguati; della difficoltà nella fase di attivazione/accesso; della carenza di alcune figure specialistiche e di assistenza, in particolare di tipo sociale.
I costi e la rinuncia alle cure. – Altro elemento critico per il percorso terapeutico è il dover affrontare costi per accedere ad alcune prestazioni: il 59,8% dei cittadini ricorre infatti a visite specialistiche effettuate in regime privato o intramurario; il 52,8% acquista farmaci necessari e non rimborsati dal SSN; il 50% effettua esami diagnostici in privato o in intramoenia; il 47,5% acquista parafarmaci (es. integratori alimentari, dermocosmetici, pomate). Il 42,4% spende privatamente per la prevenzione terziaria (diete, attività fisica, dispositivi); il 36,3% per la prevenzione primaria e secondaria; il 22% per il supporto psicologico; il 16,9% per spostamenti dovuti a motivi di cura; il 14,7% per le visite specialistiche o attività riabilitative da effettuare a domicilio e il 12% per l’acquisto di protesi e ausili non riconosciuti (o insufficienti nella quantità/qualità erogata).
Oltre il 30% dei pazienti ci informa d’aver dovuto rinunciare alle cure. Nel 19% dei casi è capitato in modo sporadico, ma per oltre il 12% è capitato spesso.
Disuguaglianze e difformità regionali. – Per i presidenti delle associazioni dei pazienti questi sono gli ambiti in cui si riscontrano maggiori difformità regionali: innanzitutto (79,2%) il supporto psicologico; a seguire la presenza di percorsi e/o PDTA (77,4%), la presenza di Centri specializzati/Rete (73,6%); la modalità di gestione delle prenotazioni e dei tempi d’attesa (72,6%); le prestazioni necessarie non ricomprese nei LEA (70,8%).
In particolare, in riferimento ai PDTA, Il 63,2% degli intervistati sa che ne esiste uno per la propria patologia; solo nel 28,4% dei casi si tratta di PDTA nazionali, mentre nel 71,6% dei casi sono PDTA regionali, nel 31,3% aziendali e nel 7,5% distrettuali. Per quanto riguarda le regioni dove è presente un PDTA di patologia, primeggiano Lombardia e Toscana, a seguire Piemonte, Lazio, Emilia-Romagna, Veneto.
Bisogni assistenziali e sostegno nel percorso di cura. – I Medici di famiglia continuano ad essere il primo punto di riferimento per il paziente (75,2%). Al secondo posto troviamo lo specialista privato con il 41,7%. I dati confermano che è quasi sempre il cittadino a doversi occupare di prenotare la prestazione di controllo, contrariamente a quanto indicato, prima, dal Piano Nazionale Governo Liste d’Attesa 2019 – 2021 e successivamente ribadito dal nuovo Decreto sulle liste d’attesa. Anche per ciò che attiene alle informazioni ricevute sull’importanza di seguire correttamente la terapia farmacologica vi sono risposte non positive: oltre un paziente su quattro non ha ricevute informazioni chiare ed esaustive. Spesso il tempo d’ascolto e di cura non è abbastanza (problema che subiscono sia i medici (alle prese con ambulatori affollati e tempi ridotti) che i cittadini).
Gli aspetti psicologici e il dolore connesso alla patologia. – La patologia cronica può determinare gravi ripercussioni sulla qualità della vita e sugli aspetti psicologici della persona. Abbiamo chiesto se a causa della patologia la persona abbia provato senso d’ansia e la risposta non lascia dubbi: circa il 70% risponde affermativamente. inoltre, circa il 90% delle persone che ha risposto al questionario ha sofferto negli ultimi 12 mesi di depressione.
Il 40% delle persone, inoltre, ha risposto che la propria patologia causa episodi di dolore e che per il 34% dei rispondenti, questo dolore è cronico, persistente e continuativo. il 50% dei pazienti risponde che non ha ricevuta una prescrizione per il trattamento adeguato e continuativo dello stesso e non si è sentito sufficientemente orientato o informato su cosa fare in caso di dolore e a chi rivolgersi.
Le proposte di Cittadinanzattiva. – Richiamandoci al titolo del Rapporto, ecco le proposte relative a come sbloccare alcuni “diritti sospesi”.
LEA: garantire, come previsto, una revisione costante e certa dei Livelli Essenziali di Assistenza; aggiornare il Decreto Tariffe per la specialistica ambulatoriale e la protesica, con cadenza almeno biennale; rafforzare l’attuale sistema di monitoraggio dei Lea, al fine di migliorare la sua capacità di fotografare la reale dinamica che esiste tra cittadino e Servizio Sanitario Nazionale nella garanzia dei suoi diritti.
Piano Nazionale Cronicità: Recepire celermente in sede di Conferenza Stato-Regioni il nuovo Piano Nazionale della Cronicità e monitorare il raggiungimento degli obiettivi previsti.
Malattie Rare: dare piena attuazione alla legge 167/2016, “Disposizioni per l’avvio dello screening neonatale per la diagnosi precoce di malattie metaboliche ereditarie”; emanare i decreti attuativi previsti dal Testo Unico sulle malattie rare, n. 175 del 2021, al fine di garantire la piena operatività; monitorare la realizzazione del Piano Nazionale Malattie rare.
Liste d’attesa: garantire la piena e tempestiva attuazione delle disposizioni previste dal Decreto Liste d’attesa con particolare riguardo alle misure previste per i pazienti cronici agli aspetti di monitoraggio del dato e uniformità sul territorio.
Assistenza anziani non autosufficienza: dare attuazione al D.lgs. 29/2024 attraverso l’adozione dei quasi 20 relativi decreti attuativi, così da garantire risposte adeguate in termini di assistenza sociosanitaria.
Caregiver: approvare una legge inclusiva e d’equità sociale che garantisca diritti e tutele al caregiver familiare rispettando quattro criteri: una definizione ampia della figura, che riconosca diritti e tutele anche se il caregiver non convive o non è un familiare; coinvolgimento attivo del caregiver nella definizione del progetto di vita della persona assistita; la previsione di tutele crescenti rapportate al carico assistenziale e agli impatti/bisogni del caregiver; risorse congrue per garantire un’effettiva esigibilità delle tutele.