Di Luca Giordano
Stabilimenti vuoti e nessuna coda di operai pronti ad iniziare il proprio turno di lavoro. E’ questa la triste fotografia della più grande industria automobilistica italiana, ovvero la Fiat che oggi dopo varie fusioni si chiama Stellantis (nata dall’accorpamento di Fiat Chrysler, Citroen e Peugeot con sede legale in Olanda) che è sempre più vicina al baratro.
Lo storico stabilimento torinese di Mirafiori inaugurato nel 1939, quello che per anni ha indicata la città sabauda come capitale italiana dell’auto e che ha contribuito, nel bene e nel male, al boom economico del paese, oggi è praticamente vuoto con lo stop della produzione della 500 elettrica e l’assemblaggio di qualche centinaio di vetture Maserati. Risultato: ben duemila operai in cassa integrazione, cifra mai toccata prima d’ora, con a rischio l’intero indotto che conta oltre cinquantamila lavoratori.
Difficile è dare una spiegazione a questa debacle industriale. Gli esperti di settore parlano del flop elettrico sul quale aveva puntato fortemente il gruppo di Stellantis, ma anche l’assenza di nuovi modelli (forse ne arriveranno dal 2027) capaci di riaprire un varco nel mercato dell’automobile per l’azienda che ad oggi ha segnato un meno 30% delle richieste di produzione rispetto allo scorso anno. Altre voci, quelle più cattive, ma che spesso colgono nel segno, dicono che i vertici di Stellantis e della vecchia Fiat (Elkann), abbiano deciso a tavolino un graduale trasferimento della produzione in paesi fiscalmente “amici” per le loro casse, lasciando di fatto l’Italia con il cerino in mano.
Gli operai geograficamente più vicini a noi, quelli degli stabilimenti di Termoli, Cassino e Pomigliano (che di fatto non lavorano a pieno regime dallo scorso anno) chiedono a gran voce del futuro dell’azienda che visti i licenziamenti e i mancati investimenti per restare competitivi sul mercato, sembra già segnato.