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BASKET, B FEMMINILE. FALLO ANTISPORTIVO

Di Vittorio Venditti

A Galla La Prevedibile E Quasi Scontata Fregatura

Svelata la ‘stranezza’ di certe ‘partenze’ a metà campionato, sia pur se si tratti di pallacanestro che da queste parti è considerato sport secondario anche quando è di massima serie, a differenza del calcio, osannato seppur di bassa categoria. Se non s’approfondisce la questione, davvero si fa fatica a credere che lo scorso trenta settembre duemilaventuno, la partita di eurocup per l’appunto di basket femminile persa da La Molisana Magnolia contro la Duran Maquinaria Ensino Lugo in Spagna e corredata d’insulti alla squadra che in quel momento rappresentava l’Italia (soprattutto al suo sponsor principale: “la Magnolia è gestita da gente che produce e vende pasta” che in sintesi voleva dire che tal formazione non potesse varcare col suo gioco i confini italiani per cui non bisognava preoccuparsi più di tanto di chi è perdente per natura, come se il lavoro di pastaio fosse un crimine) proferiti in lingua spagnola dai commentatori, di cui uno italiano, sia lo specchio di quanto si riesce ad esportare dal Molise che sarebbe anche laborioso, ma soffre di una malattia incurabile: il dilettantismo cronico nell’amministrazione degli affari, fatto passare per infallibile potere.

Magnolia

Le promesse si mantengono soprattutto quando s’aborrisce la politica tout court, perciò oggi il focus è puntato su quanto amaramente scoperto (da tifoso (come detto sopra) non del solito inconcludente e dilettantistico calcio campobassano evitando la riduzione e l’adattamento a quanto capita a Gambatesa) domenica scorsa ed anticipato in premessa qui. Nei tornei che vengono praticati mediante l’uso della palla a spicchi, sport che ha valida luce al femminile in ciò che la geografia ufficiale definisce ‘capoluogo’ di una regione che non esiste e contrariamente a quanto pensato sa essere anche sufficientemente masochista, si gioca con tutti i crismi, si vince il campionato di serie B per ricevere la promozione in A2, ma l’anno corrente vedrà la squadra promossa ripartire dalla serie cadetta perché la stessa società dispone di un’altra compagine che milita nel campionato… di A1. Interpellata una fonte degna di fede che soprattutto capisce di pallacanestro a differenza di chi scrive che non comprende una virgola non di basket, ma di sport in genere, questo è stato il risultato estraibile dalla breve discussione:

Ma come, chi ha vinto il campionato viene promossa dalla “B” all’“A2” e non può giocarvi perché una squadra appartenente allo stesso club che ha la proprietà dei cartellini anche di chi ha acquisito sul campo il diritto di partecipazione al torneo superiore, milita in “A1” che è un’altra serie che nulla ha a che spartire con le categorie in ballo?
“… E’ da regolamento federale!”.

Sì, va bene, ma consultando gli articoli pubblicati precedentemente in tema, ciò non è stato mai scritto ne proposto all’intelligenza dei lettori in qualsiasi modo: si chiamerebbe lealtà verso coloro che hanno la pazienza di consultare le pagine sulle quali vengono proposte tali notizie, oltreché completezza d’informazione, cosa che dovrebbe essere un punto cardine della deontologia giornalistica tout court.
(Con il sorriso sulle labbra): “Se non è stato scritto… ci sarà un perché. Tu se vuoi puoi riferirlo, non dici il falso perché è da regolamento”, come dire: fa parte dello spettacolo.

Al che chi sta proponendo il presente ed a questo punto più che elementarmente scontato resoconto, con evidente costernazione ha espressamente ribattuto che questo comportamento si chiama Mafia e per tutta risposta dalla persona interlocutrice è arrivata qualcosa di sconcertante anche se chiaramente prevedibile.
“paradossalmente, quello che tu definisci Mafia l’hanno ribaltato sulla squadra che ha solo fatto il suo dovere, facendo passare per comportamento criminale il fatto che le ragazze vincevano e nessuno potesse fermarle”.

Ribadito che la questione sarebbe stata ripresa in questo scritto e salutata la persona che ha ‘funto da fonte’, non resta altro da fare che considerare ipoteticamente (chissà quanto) che la RISOLUZIONE CONTRATTO MAGNOLIA ZALA ŠROT, approssimativamente avvenuta a metà marzo scorso, sia da attribuire all’intelligente comportamento della ragazza slovena che compreso il fatto di non poter mai sfondare partendo da Campobasso e dalla Magnolia, ha preferito scappare da una regione dove persino i colori sportivi vengono trattati alla stessa stregua di dipendenti da sfruttare, nel caso specifico come esclusivi portatori di pubblicità per industrialotti che evidentemente sono talmente miopi da non comprendere che soprattutto nello sport, chi si mette in gioco lo fa per raggiungere i propri obiettivi, innanzitutto di personale libertà e tornaconto. A nulla vale il prestito delle giocatrici a club di serie superiore “per farle crescere” perché le ragazze non hanno necessariamente il dovere psicologico d’essere assoggettate a chi, detenendone il cartellino, pensa che quelle siano sue dipendenti delle quali disporre a proprio piacimento. Tal cosa, se i ‘patron’ locali l’avessero ben chiara in mente, (al di là del poter essere di gran lunga superiori anche a formazioni come Venezia, Schio o Bologna) li porterebbe a creare un’altro gruppo, con un nome diverso e colori altrettanto variati, società messa in mano al prestanome di famiglia (se non a qualcuno più capace di far fruttare questa gallina dalle uova d’oro), nucleo nato per rendere anche per la ‘fabbrichetta di maccheroni’ il cui nome verrebbe portato furbamente ancora più in alto e col tempo, magari non più insultato sulla base del suo inqualificabile oltreché immarcescibile, ma soprattutto gretto provincialismo.

Risultato Finale: Il Molise Non Esiste Ed E’ Pure Masochista! Prendetela ‘Sportivamente’.