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APPIA, Regina Viarum

Di Vittorio Venditti

Perché Non Attraversa Il Molise!

Si parla di controesodo e come non pensare ad una strada, anzi, alla strada definita già nell’antichità ‘Regina delle strade’: la via Appia?

Appia Antica

Per chi volesse approfondire basta cliccare qui e leggere quanto d’ufficiale viene proposto. Da queste pagine invece verrà tratto qualche breve spunto per paragonare la vita cosiddetta ‘antica’ alle modernità che stante da sempre e per sempre la corruzione come costume importante dell’esistenza del genere umano, se non hanno ‘digerito’ tal monumento, è solo per l’impossibilità di non trarre profitto da quella sfilata di basoli sui quali sono passati anche carri armati ed ogni arma bellica, percorso ancora pressoché intatto da duemilatrecentotrentasei anni, non bruscolini.

Dunque, la strada che parte dal Circo Massimo in Roma ed originariamente finisce a Capua per poi esser prolungata fino al porto di Brindisi fu costruita da un Magistrato che nel trecentododici avanti Cristo forse ebbe regolamenti di conti con il resto dei politici, suoi compari del tempo e sicuramente usò schiavi ed ogni forma d’angheria contro questi, magari fregandosene delle innumerevoli morti sul lavoro, (oggi è tutto profondamente ‘diverso’), ma lasciò quanto ancora visibile, cosa che lo distinse dai parigradi del presente che nei propri uffici si dedicano anche… se ne riparlerà a tempo debito con carte e registrazioni che chi crede d’avere l’odierno potere non contempla nella sua piccola politica.

La regina delle vie ebbe anche la fortuna di venir tracciata per combattere il valore dei sanniti, ma la lungimiranza dei romani permise che la strada non attraversasse il Molise, non tanto per punire la gloria (comunque vinta) dei soldati avversari di quel tempo, quanto, studiata la psicologia dei soggiogati, per preservare il manufatto dal lassismo dei discendenti di quelli che riuscirono a far passare l’esercito romano sotto le Forche Caudine per poi perdere progressivamente ogni loro forza e ritrovarsi a contare quanto il due di spade quand’è briscola denari negli ultimi due secoli, nei quali la storia ha dimenticato di soffermarsi in queste terre definite ‘vivibili’ da alcuni, luoghi detti ‘belli’ davanti alle telecamere di mamma RAI, finché si resta per qualche giorno di vacanza e si mangia nelle relative sagre dove magari e previa finanziamenti europei (da far scontare a seguire a chi paga le tasse) viene offerto un piatto di ciufell al sugo di cotechino con la speranza di far in modo che poi chi già sa di scappare, prenda la residenza, cosa che se e quando accade è solo per bieco e perfettamente calcolato tornaconto fiscale cui i nuovi ‘moli-sani’ sanno di potersi sottoporre, vantaggio di certe ‘forche caudine’ giustappunto, ma da applicare contro chi quella residenza ce l’ha per nascita e non l’abbandona per tigna.

L’Appia è un monumento davvero in grazia di Dio, soprattutto per via del fatto che fu progettata da architetti ed ingegneri che seppero valutare la durata della strada e da geometri che giustamente guidati, furono in grado di misurare e creare una sede stradale larga quattro metri e dieci, (più che sufficiente all’epoca per il doppio senso di circolazione di mezzi dei quali la modernità non tiene conto in particolar modo nelle loro misure perché oggi vengono costruite e soprattutto omologate arterie pericolose dall’inizio alla fine, strette rispetto a ciò che vi dovrà transitare e soprattutto della durata, non di ventitré secoli, ma si spera di almeno ventitré anni) con l’aggiunta in entrambi i lati di marciapiedi di tre metri cadauno, utili ad ospitare monumenti, ville e qualche fila di crocifissioni che oggi non sarebbe da scartare se non per il fatto che genererebbe un altissimo grado di spopolamento, bonifica quasi sempre comunque necessaria al genere umano per la sua periodica ‘redenzione’, sfoltimento comunque e per fortuna posto in essere con la guerra.

Si sta discettando di allora progetti validi nel tempo presente e chissà quanto per il futuro, così come successe ad esempio per gli acquedotti che ancora oggi servono la capitale d’Itaglia (non è un errore di battitura), strade e sistemi di distribuzione del’acqua che a differenza di quanto viene prodotto da meno di duecento anni a questa parte esistono e saranno in vita, a differenza del ‘moderno’ (vedi sistemi idrici e vie definite ‘Strade Statali’, un esempio è la SS17) reti colabrodo oggi praticamente restituite a madre Natura per l’impossibilità e soprattutto l’incapacità gestionale di quanto già al presente è un participio inesorabilmente passato di un potere che per sua stessa vergognosa e perciò implicita ammissione non ha un futuro, ma cerca di tenerselo con le unghie, con i denti e laddove possibile con le querele, lamenti proposti presso i magistrati presenti di cui sopra che come promesso verranno trattati a dovere e con prove da esporre per determinare il (di questi) valore politico, ma purtroppo non solo.

Tratto dal collegamento ipertestuale proposto sopra: “La ‘Via Appia. Regina Viarum’ da oggi è patrimonio mondiale dell’umanità. L’UNESCO ha colto l’eccezionale valore universale di una straordinaria opera ingegneristica che nei secoli è stata essenziale per gli scambi commerciali, sociali e culturali con il Mediterraneo e l’Oriente.”, cosa che di primo acchito farebbe pensare che quanto di retrogrado ed oscurantista s’impone come una cappa di piombo rivestita d’oro sul Molise sia da ascrivere esclusivamente alla mancanza di un collegamento viario come quello oggi sotto il focus. La verità è che se l’Appia ha retto a ventitré secoli e passa anni di invasioni, guerre, predazioni, pestilenze, carestie, ribellioni d’ogni tipo e chi più ne ha più ne metta e le strade anonime (ma cugine a quella nobile ed alle altre consolari d’Itaglia) vengono inesorabilmente mangiate dal tempo e dalle frane, queste sì, vive ed in movimento anche durante la lunga, presente siccità, spostamenti di terre arse dal sole che la politica tout court non ferma perché a sua volta impegnata a cibarsi beatamente delle risorse che dovrebbero venir utilizzate proprio per arginare tali iatture, se tutto ciò è la realtà che avviluppa come la più tetra piovra regioni come quella che non esiste, è perché nessuno si ribella allo status quo, preferendo andarsene, dopo aver constatato che la nave alla deriva è destinata ad affondare, consolata da spettrali sagre che fanno pensare all’ultimo concerto tenuto sull’RMS Titanic in fase d’inabissamento.

A chiosa, non resta altro da fare che ammirare chi a suo tempo ha lasciata qualcosa ai posteri, sperando che questi non la sbranino per cupidigia, ma soprattutto per constatata ed arrogante incapacità d’emulazione dei Maestri del passato.