Di Vittorio Venditti
Lo Stress: Freno Per Chi Lavora, Forza Di Chi Non Lo Fa
Ieri è iniziata l’ennesima settimana lavorativa; se da una parte devo ringraziare Dio per la fortuna che mi dà concedendomi di viverla nel senso letterale del termine e non solo, dall’altra, considerando che la routine mi costringe a non assaporare più il senso della vita stessa, mi verrebbe voglia di bestemmiare il giorno nel quale lo stesso Padre eterno ha deciso di obbligarmi a passare il guaio di venire al mondo.
Se volessi doparmi con un po’ d’oppio dei popoli, forse riuscirei a trovare una spiegazione masochistica a tutto ciò, accettando supinamente lo scorrere degli eventi; non volendo però sottostare alla religione per il fatto conclamato che sarei il solo a farlo, (è noto che i primi a non credere a ciò che ci propinano sono proprio i propinatori di tal ideologia, almeno nel luogo nel quale vivo), provo a chiedermi come poter uscire dall’ingorgo, cercando di farmi il minor danno possibile.
Non volendo guardare al passato e far mio il detto: “si stava meglio quando si stava peggio” o idiozie simili, guardo al presente per cercare di capire fino a che punto ciò che facciamo lo portiamo avanti in piena libertà e qual è il confine oltre il quale, più che di libera azione, si debba parlare di schiavizzazione della vita.
Se ci fai caso, oggi soprattutto, qualsiasi nostra azione, qual si voglia nostro Dire, viene tenuto in considerazione alla stessa stregua del due di spade quand’è briscola denari.
Se proviamo a lamentarci in qualsiasi modo, magari provocatorio, non riceviamo alcuna risposta: positiva o negativa che sia.
Secondo me, se arrivassimo a qualche azione sconcertante, forse vedremmo la reazione di chi viene messo sotto attacco, ma solo ed esclusivamente secondo canoni imposti dall’alto e sicuramente senz’alcuna analisi del fatto in sé; insomma: per bene che ci possa andare, verremmo presi per terroristi, intendendo tale termine come “rompi scatole”.
Oggi dunque, la vita, più che vissuta, potremmo definirla in attesa d’altro, altro che ovviamente non può che scivolarci come accade del resto per ogni cosa che ci circonda.
Se oggi si parla di lavoro, il fatto stesso che non ve ne sia per buona parte di noi italiani, non provoca quella reazione armata e di orgoglio che in un paese civile dovrebbe fungere da Bandiera, solo perché siamo talmente stressati, comunque, anche senza lavoro, che il solo fatto di doverci far pensare a reagire, aumentando lo stress, ci ferma in partenza.
Di contro, a chi il lavoro è sembrato sempre qualcosa da delegare ad altri, (parlo di chi filosofeggia sulle debolezze del Prossimo e con queste si costruisce un potere sugli altri, potere che altrimenti non avrebbe), lo stress crea un effetto “Red Bull” in grado di mettere il “non lavoratore” in condizioni di supremazia verso chi invece vuole lavorare.
In definitiva: Se mai ce ne fosse bisogno, pur non pensandola come lui, stando così le cose, devo dare ragione a Mario, quando dice che “più che vivere, al tempo d’oggi, si debba campare”.
Una cosa però mi rincuora e per questa continuo a vivere: Il fatto che quando vai a toccare i nervi scoperti di questi “Campatori di professione”, (non parlo di Mario che è un caso a sé stante, ma farnetico di coloro che, a differenza della nostra Mina vagante, fanno come lui ma ipocritamente si nascondono dietro veli ormai più che trasparenti), questi campatori per l’appunto, “s’incazzano”, mettendosi in ridicolo di fronte a chi cerca di vivere, con una goffaggine da circo, cosa che a chi vive, ridà la forza per andare avanti per la propria strada, nonostante il “logorio della vita moderna”.