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Belle Parole, Ma…

Di Vittorio Venditti

Utopia Allo Stato Brado

A volte, dopo aver preparato l’argomento da trattare per il giorno successivo, si ricevono comunicazioni che stravolgendo ogni intenzione, costringono a riflettere proprio su ciò che si scrive e su come tal prodotto viene proposto anche da organi di stampa ad alta tiratura o mezzi di comunicazione di massa tout court con ampio bacino d’utenza.

Ordine Dei Giornalisti

E’ il caso di quanto sta girando in Rete e che ha come fonte l’Ordine dei giornalisti (a livello nazionale) che a proposito d’approcci non sempre felici, propone come Comunicare la disabilita. Questa è una davvero gran bell’azione da offrire alla sensibilità di chi fa parte dell’ordine in questione, perfettibile perché al momento e tra le altre cose prevede di dover risolvere problemi ritenuti inerenti la buona educazione personale, in realtà di carattere squisitamente culturale che in questo caso e per non tediare troppo chi legge, verranno estrapolati in minima parte restringendo il campo a quanto si dice sui ciechi, atteso che per esporre le proprie tesi, sia necessario ed onesto agire con cognizione di causa e senza entrare in campi altrui:

Pagina 32. – “… Persone con disabilità visiva Parlando con persone cieche o ipovedenti, identificare sempre te stesso e gli altri con cui sei. È possibile, per esempio, dire: «Sono Tizio e alla mia destra c’è Caio». È molto importante anche fare una descrizione verbale di cose che stanno accadendo e si possono vedere. Una persona cieca, o ipovedente, non è in grado di cogliere le espressioni del volto, o i gesti: fare in modo di essere compresi con la parola. …”. Chi scrive può testimoniare che ancora oggi e non solo a Gambatesa, incontrare soggetti che esordiscono col dire: “Ciao! Mi riconosci?” è quanto di più normale possa accadere e ciò per non parlare del gesticolare, spesso al fine di nascondere le reali intenzioni della discussione da intavolare, tanto che almeno in un paio di casi sono state usate le mani come risposta e non per salutare.
“… Annunciare il proprio arrivo, la partenza e qualunque movimento importante per dare modo alla persona con deficit visivo di comprendere il suo ruolo nello spazio. …”, fortuna vuole che sempre chi sta redigendo questo resoconto, al massimo della gravità del suo deficit, abbia imparato a saper distinguere quando chi sta interloquendo ha smesso di farlo… La cosa sinceramente più sconcertante la si può notare nel fatto che a comportarsi in tali modi che definire rivoltanti vuol dire voler comunque bene a certi ‘interlocutori’, sono molto spesso i giovani che a differenza di chi è avanti con l’età, dovrebbero avere una migliore predisposizione a saper assorbire determinate ‘diversità’ che sono tali, quasi sempre per effetto dell’accentuare particolari comportamenti.

Pagina 44. – “Non fare domande alle persone sulla loro disabilità.
Ricordare che la disabilità e il corpo di una persona rientrano nella sfera personale: non chiedere dettagli sulla disabilità di una persona, il modo in cui il suo corpo si muove, la sua salute,o altre informazioni personali. Come non si farebbero domande personali a una persona senza disabilità sul suo corpo o sulla sua storia medica, usare lo stesso atteggiamento con le persone con disabilità intellettiva. …”. Sarebbe come dire ‘fidanzarsi in modalità Arrigoni’, vale a dire ‘a scatola chiusa’. Certe forme d’ipocrisia, lasciando il tempo che trovano, diventano se si vuole ancor più deleterie e controproducenti. Se chi pone determinati quesiti evitasse simili approcci, difficilmente riuscirebbe a confezionare servizi che riguardano chi non si conosce e si prova ad evitare d’indagare perché “tanto poi chi incontra nuovamente questa gente?”, il che significa ad esempio che prima d’arrivare a sconsigliare di porre simili domande, si dovrebbe giungere ad evitare che si chiedesse ad una persona (sia questa deficitaria o no) coinvolta in una disgrazia, come la stessa si stia sentendo o come abbia vissuto l’evento nel quale si è trovata ad esserne involontariamente protagonista. Chissà quanto spazio bianco verrebbe lasciato alla riflessione degli ascoltatori/telespettatori durante molti radio/telegiornali non necessariamente ne solo nazionali… allo stesso modo: quanta carta si risparmierebbe ogni giorno nel confezionare giornali il più delle volte utilizzati nella migliore delle ipotesi per incartare salumi? In Molise capita molto spesso! Se poi nello scrivere su o di persone disabili si provasse a firmare gli articoli che parlano dell’argomento, un tal portentoso risultato sarebbe già un passo in avanti più interessante di quello fatto dall’umanità dopo l’allunaggio del millenovecentosessantanove.

Altro punto importante toccato dal libretto è quello che riguarda il ‘tra noi’ o il ‘dopo di noi’ che viene quasi sempre presentato non certo dal punto di vista di chi ne è involontariamente protagonista: questo fatto obbliga chi assurge ad oggetto il doversi arrabbiare e se a sua volta giornalista, il redigere l’ovvio sfogo, (qui l’ultimo del caso con anche i precedenti collegamenti ipertestuali) perché poi queste sono storie che servono a dar da mangiare ai cosiddetti ‘volontari assistenti’), doglianza che pare non sia molto gradita nemmeno a livello politico regionale, tanto che la risposta indiretta è stata: “questo non s’accontenta del grasso che cola!”, repellente e spesso olezzo lipide in putrida liquefazione ovviamente in favore di protetti, gementi e leccanti d’ogni risma, accoliti di questi personaggi grassi loro da far schifo e non solo in riferimento alle viscide trippe che per girare sulle strade comuni avrebbero il dovere d’esporre il segnale di ‘sporgenza eccezionalmente autorizzata.

L’ultimo punto, ma davvero non ultimo, riguarda proprio la redazione del documento che oggi è sotto il focus di questa testata. Un ‘dietro le quinte’ poco conosciuto, (se non da chi ne legge le obiezioni), sta nel fatto che chi fa uso di lettori di schermo, gradirebbe che tali scritti non venissero recapitati in pdf e ciò, non per antipatia nei confronti di quel formato, quanto perché al momento della lettura del contenuto che viene trattato, le parole che arrivano quasi tutte attaccate l’una all’altra, difficilmente vengono distinte ed ancor più in maniera complicata possono venir declamate dallo screen reader, obbligando chi ascolta alla perdita della concentrazione, quando non addirittura alla non comprensione del testo. E’ per questo che il vostro cronista, cieco lui per primo, ha la costrizione di comunicare a chi spedisce articoli da pubblicare (facendolo solo mediante l’uso del pdf) di aggiungere una versione in formato testo di qualsiasi altro tipo, atteso che dover poi rileggere e dar spazio parola per parola sia foriero del cestinare scritti a volte importanti o solo belli da permettere di poter venir consultati. Quanto costa in termini temporali se non economici aggiungere una seconda versione ai comunicati inviati alle redazioni tout court? Com’è stata presentata la guida di cui al collegamento ipertestuale proposto sopra? Per inciso: quanto nei virgolettati commentati in alto, ha dovuto subire proprio il trattamento appena descritto anche perché oltre alle parole spesso attaccate l’una all’altra è stato possibile trovare parole giustappunto, legate tra loro o con trattini posti a metà di queste, punteggiatura che rende ancor più complicata la lettura. Diverso è quando a venir consultate sono scartoffie come deliberazioni e o determinazioni promulgate da enti pubblici perché queste sedi sono infestate dalla criminalità disorganizzata, quella politica che sicuramente non ritiene di dover proporre cose leggibili a chi deve avere la costrizione di non capire e di conseguenza di patire, in maniera da mettere in pratica quanto proferito dal compianto Leonardo Sciascia, quando scrisse che “La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini”, per cui dai politici in genere, bisogna difendersi senza se e senza ma, evitando persino d’esporsi ad una mediata possibilità di colloquio risolutivo allo scopo d’appianare situazioni costruite in tal guisa per poter poi imporre ogni forma di burocratico ostacolo al semplice ‘vivere’ dignitosamente da parte di chi ha l’obbligo di sottostare, fino al raggiungimento del limite della sopportazione che poi porta alla ribellione.

Per dirla con una soggetta, croupier che opera nella bisca denominata ‘tribunale di Campobasso’:
“In ‘cappuccetto rosso’, il lupo, a volte è anche buono’”.
Aggiunge chi scrive: Finché Non S’Incazza!

Intelligenti Pauca.