Di Vincenzo Cimino
La scuola “riscopre” le tradizioni religiose e popolari della città
La Scuola “Colozza”, in sinergia con il Parroco Don Ugo Iannandrea della Parrocchia di Sant’Antonio Abate di Campobasso che ha accolto con entusiasmo la collaborazione del Coro “Voci Bianche dei Giovani Sanniti”, torna a vivere l’attesissima Festa del 17 gennaio in cui piccoli e grandi rivivono l’antica tradizione religiosa. La festa ha il suo scenario obbligato nella chiesa del quartiere, mentre sul sagrato vengono ammassati i ciocchi di legna che al tramonto si accendono e che continuano ad ardere per tutta la serata, sancendo ufficialmente l’inizio del Carnevale.
Gli alunni della “Colozza”, guidati dai loro docenti, hanno riscoperto le antiche leggende dell’eremita dalla lunga barba bianca, hanno realizzato creativamente disegni sul personaggio e su scene leggendarie ad esso legate e si sono dati appuntamento intorno al falò per riscoprire pienamente emozioni che sembrano antiche, ma che continuano a nutrire l’anima di tutti. La Messa delle ore 18:00 è stata celebrata da sua Eccellenza Monsignor Giancarlo Bregantini. Ad animare la liturgia hanno pensato i trenta ragazzi del Coro dell’Istituto“Colozza” che nel corrente anno scolastico, hanno intrapreso lo studio di un repertorio finalizzato ad accompagnare le celebrazioni religiose del proprio territorio con l’obiettivo di comprenderne maggiormente il significato e contestualmente avvicinarli alla pratica e allo studio della musica sacra e polifonica.
Le ricerche condotte dagli alunni della “Colozza” sulla ricorrenza del 17 gennaio ci ricordano che “Sant’Antonio Abate fu un eremita egiziano vissuto nel III secolo dopo Cristo che dedicò la sua esistenza alla preghiera e all’aiuto verso i bisognosi.
Il Santo lasciò presto la sua agiata famiglia per donare tutti i suoi beni ai più poveri e per molti questo lo accomuna a San Francesco. Ben presto, affidata la sorella ad una congregazione religiosa, si rifugiò in un fortino nel deserto e da eremita pregava giorno e notte e si teneva compagnia con animali e uccelli. Così, visse oltre vent’anni. Per questa ragione, molti lo chiamano Sant’Antonio del Deserto.
Sant’Antonio oltre che Anacoreta, così venivano chiamati gli eremiti al tempo, fu anche taumaturgo: ben presto, infatti, molti uomini accorsero al suo fortino per chiedergli il miracolo della guarigione da malattie e possessioni demoniache. La sua figura fu così importante che Sant’Antonio divenne il riferimento spirituale per molte comunità d’eremiti formatesi nel deserto.
Si dice che Sant’Antonio Abate morì così, solo tra i suoi animali e il suo orto, all’età di 105 anni, rimanendo però eterno nella storia del calendario cristiano che ogni anno, il 17 gennaio, lo ricorda come santo protettore degli animali domestici, patrono dei maiali e della stalla, dei salumai e dei macellai.
Attorno al Santo aleggiano tantissime leggende, quasi tutte legate al simbolo del fuoco e del maiale. Per molti, lui è Sant’Antonio del Fuoco, dove le fiamme indicano il rinnovamento e il buon auspicio per il raccolto e ancora oggi nelle campagne lo si venera come simbolo del passare delle stagioni. In tanti luoghi in onore del Santo si accendono dei falò la notte del 17, per cacciare via il male che ardendo nelle fiamme, può lasciare spazio al nuovo. La simbologia del fuoco si lega a Sant’Antonio però anche per i suoi miracoli; infatti, in antichità molte malattie della pelle venivano chiamate ‘fuoco’.
Legate al maiale sono tante le storie. Si dice che mentre Antonio era in viaggio attraverso il mare, una scrofa lasciò ai suoi piedi un maialino molto malato; il Santo lo guarì con la preghiera e da lì in poi divenne il suo compagno inseparabile.
Di storie che vogliono Sant’Antonio Abate raffigurato con un maiale e le fiamme ce ne sono altre; ad esempio, una leggenda racconta che questi scese all’inferno per affrontare Satana e mettere in salvo alcune anime e per distrarre il diavolo mandò il suo maiale con una campana legata al collo. Sant’Antonio riuscì così a rubare il fuoco infernale e donarlo agli uomini sulla terra. Un’altra leggenda legata alla notte del 17 gennaio dice che quella notte, quando il Santo era in vita, gli animali attorno a lui acquisirono la capacità di parlare; quest’evento, secondo la leggenda, segnò l’immaginario collettivo come un segno di mal augurio e così le persone presero l’abitudine di starsene alla larga dalle stalle la notte del 17 gennaio”.