Di Luca Giordano
Era una calda sera di fine maggio di due anni fa quando la Roma allenata da Josè Mourinho tornava ad alzare un trofeo europeo dopo ben cinquantanove anni. Ovviamente in quella notte, festeggiamenti imponenti in tutta la città ed il nome di quell’allenatore corrispondeva ad un nuovo Cesare dell’impero romano.
Oggi, due anni dopo (ed una finale di Europa League Persa), il tecnico portoghese che è uno dei più vincenti e conosciuti della storia del calcio è stato esonerato per gli scarsi risultati arrivati da questa prima parte di stagione (pesano in ciò i derby capitolini persi contro la Lazio che a Roma sono le partite dell’anno) e sarà sostituito da Daniele De Rossi, bandiera romana e soprattutto romanista in campo, ma che in panchina è praticamente un’esordiente.
In questa società dove tutti vogliono apparire come dei vincenti e che il fallimento e mal sopportato in qualsiasi campo (che sia lavorativo o affettivo), il calcio può insegnare che prima o poi tutti incapperemo in un insuccesso che è una tappa obbligatoria della vita di ognuno.
Bisogna ammettere che Mourinho è sempre stato un vincente e il suo albo d’oro parla chiaro: Due Champions League, due Europa League, Una Conference League appunto con la Roma e poi tornei e coppe nazionali dei maggiori campionati europei. Eppure un personaggio così vincente negli ultimi anni sta collezionando esoneri dopo esoneri (segno che il massimo della sua carriera lo ha già raggiunto), e nonostante tutto, lui ogni volta si rimette in gioco voltando subito pagina, accettando sempre nuove sfide.
Di storie di fallimenti il calcio ne è pieno. Dal rigore fallito di Baggio in finale Mondiale, alle finali di Champions perse da Buffon, la finale persa di coppa del mondo di Messi (e poi vinta l’anno scorso) all’esonero di Ancelotti al Napoli, mister che oggi allena il Real Madrid.
Fallire è umano, ma fermarsi è diabolico.