Di Neuromed
Lo studio, al quale ha partecipato l’I.R.C.C.S. Neuromed, ha individuato gli amminoacidi D-serina e L-serina come importanti indicatori della patologia
Una ricerca internazionale che ha visto l’importante contributo dell’I.R.C.C.S. Neuromed ha individuato due indicatori che potrebbero segnare un importante passo avanti nella comprensione e nel trattamento della malattia di Parkinson. Pubblicata sulla rivista scientifica Neurobiology of Disease, la scoperta è stata condotta grazie ad una collaborazione tra prestigiose istituzioni scientifiche internazionali, tra le quali, oltre al Neuromed, vi sono l’Università della Campania Luigi Vanvitelli, il Ceinge di Napoli, la Columbia University di New York, la Keio University School of Medicine di Tokyo, l’Istituto di Neuroscienze di Bordeaux, le università di Roma Tor Vergata e Cattolica di Roma, la ‘Federico II di Napoli e l’Università di Cagliari.
Al centro della ricerca che potrebbe portare al disegno di nuove terapie in grado di contrastare l’evoluzione della malattia, due amminoacidi: D-serina e L-serina. I ricercatori hanno potuto dimostrare che nelle persone affette da Parkinson i livelli di queste due molecole sono aumentati in determinate regioni cerebrali, un fenomeno che potrebbe instaurarsi per compensare la progressiva perdita dei neuroni che producono la dopamina, il neurotrasmettitore che svolge un ruolo fondamentale nel controllo del movimento. I due aminoacidi, quindi, potrebbero rappresentare dei veri e propri indicatori del progresso della malattia, ma allo stesso tempo potrebbero essere punti di partenza per nuove terapie.
“L’osservazione di queste alterazioni nel cervello dei pazienti affetti da Parkinson apre nuovi orizzonti per la terapia di questa patologia – dice il professor Diego Centonze, Responsabile dell’Unità di Neurologia del Neuromed e direttore della Scuola di Specializzazione Psicomed – e in quest’ambito vediamo un potenziale di nuovi approcci terapeutici che potrebbero migliorare significativamente la qualità della vita dei pazienti”.
La scoperta potrebbe portare a superare i limiti della terapia più utilizzata contro il Parkinson, basata sulla somministrazione di L-Dopa, il farmaco precursore della dopamina sviluppato nei primi anni ’60. Nonostante la L-Dopa mostri buoni risultati nelle fasi iniziali della terapia, il suo utilizzo prolungato provoca effetti collaterali disabilitanti, come disturbi del movimento.
“La nostra speranza – aggiunge Centonze – è che queste scoperte possano tradursi in nuove terapie per il Parkinson. L’obiettivo è sviluppare trattamenti che non solo allevino i sintomi della malattia, ma possano anche rallentarne la progressione”.