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Riflessione

Di Stefano Venditti

Ieri insieme alla mia famiglia abbiamo preso parte al matrimonio della cugina di mia moglie nella splendida terra d’Abruzzo. Un matrimonio perfetto sotto ogni punto di vista che ha visto, come ovvio, assoluti protagonisti Silvia e Paolo i novelli sposi ai quali auguro tutto il bene possibile ed un percorso matrimoniale, di coppia e di futuri genitori ricolmo d’amore e di gioia di vivere. Un matrimonio, come detto, perfetto in ogni singolo dettaglio. Uno di questi dettagli, però, ha attirato in particolar modo la mia attenzione, anzi per meglio dire la mia anima e il mio cuore. Forse perché oramai ho anche io una certa età, forse per la bellissima atmosfera di festa e di calore familiare che si respirava in lungo e in largo nella cerimonia mi sono fatto coinvolgere e la mia mente ha iniziato a pensare e a ragionare. Ora mi spiego meglio.

Organetto

Ad un certo punto della festa lo zio del papà della sposa, 80 anni, in maniera del tutto spontanea ha deciso di dedicare un momento musicale ai novelli sposi. Ha imbracciato il suo organetto e precisando che era del tutto autodidatta, ha iniziato a suonare tutte melodie riconducibili alla migliore tradizione musicale e canora abruzzese. Melodie e suoni di un passato che non hanno affatto stonato con il contesto del matrimonio, anzi. Hanno dato quel quid in più che ha reso speciale il matrimonio stesso. Prova ne è il fatto che poi, tutti sono scesi in pista a ballare le note e la musica che sapientemente usciva dai tasti dell’organetto, giovani e meno giovani. Con il medesimo entusiasmo, con il medesimo trasporto.

La musica tradizionale, la musica folkloristica che ha magicamente unito diverse generazioni semplicemente grazie alla bravura e ad una memoria invidiabile di uno di quei magnifici custodi della nostra storia, delle nostre tradizioni, delle nostre radici che sono racchiuse nei piccoli borghi della nostra Italia ed in particolar modo sull’arco dell’Appennino italiano. Non nego di essermi emozionato e commosso e mi auguro di cuore che tutti i presenti alla festa abbiano potuto comprendere quanto siamo stati fortunati a poter vedere dal vivo una simile e coinvolgente esibizione che definire semplicemente musicale è dire poco. Sono proprio questi antichi custodi e questo strepitoso patrimonio culturale, storico, tradizionale che ho tentato di evidenziare e di difendere nel mio ultimo libro “L’Italia capovolta”. Ieri ne ho avuto una prova ancor più tangibile. Non dobbiamo permettere che questo patrimonio vada a dissolversi lentamente ed in maniera inesorabile. Dobbiamo tramandarlo alle nuove generazioni prima che possa scomparire in maniera definitiva con la dipartita degli ultimi custodi delle nostre radici e del nostro essere più profondo abitanti e figli della nostra amata Italia, di quello scrigno di preziosi piccoli borghi incastonati nelle aree più interne del nostro Paese.