Di Matteo Renzi
Torno alla newsletter dopo qualche settimana. E mi scuso del prolungato silenzio. Non volevo invadere la vostra casella di posta elettronica come fanno tutti in campagna elettorale: il nostro filo diretto va avanti in molti casi da anni, non è uno spot per prendere due voti. E dopo – alla luce dei risultati – ho cercato con cura di non finire nel tritacarne delle dichiarazioni e dei pastoni studiati con cura dagli addetti ai lavori.
A forza di stare zitto, però, mi attribuiscono di tutto. Intrighi, progetti, desideri. In attesa che qualcuno scriva della mia candidatura al prossimo conclave, allora, torno alle Enews, per dire ciò che penso davvero, con l’impegno di ripartire con cadenza fissa. Ma prima di parlare delle beghe di casa nostra, permettetemi di dire l’emozione di queste ore a proposito di ciò che è accaduto in Vaticano. Ho chiesto ai miei figli di accendere la tv insieme e abbiamo guardato le immagini del vecchio Papa che lascia, che se ne va, che saluta prima delle dimissioni. Non avrei mai immaginato di assistere alla scena di un Papa che dice basta. Che lui non è più in grado di farcela. Che giura obbedienza al suo successore. Che si ritira in clausura, a pregare. Lasciando il trono, il soglio pontificio. Ci sarà tempo per riflettere su cosa significhi questo evento per la Chiesa, se non per il mondo. Intanto, però, voglio condividere con gli amici delle Enews un sentimento che frulla insieme emozione, rispetto, inquietudine.
Le elezioni. Niente giri di parole: il centrosinistra le ha perse. La vittoria numerica alla Camera non è sufficiente e lo sappiamo. E non si dica: “Ah, gli italiani si sono fatti abbindolare, non ci hanno capitoâ? come ha detto qualche solone dei nostri in tv nelle ore della débâcle. Gli italiani capiscono benissimo i politici: casomai non sempre accade il contrario.
Io quello che avevo da dire l’ho detto alle primarie. Non ce l’ho fatta, mi sono preso la mia responsabilità. Ho praticato la lealtà in tutta la campagna elettorale: non perché mi convenisse, ma perché è giusto rispettare i risultati, sempre. Perché credo che lo stile abbia un ruolo persino in politica. Oggi non dirò: “Ma io ve l’avevo dettoâ?. Quelli che sono stati zitti durante le primarie e che poi ci spiegano che loro avevano capito tutto sono insopportabili: passi saltare sul carro del vincitore, ma adesso affollare quello del perdente mi suona ridicolo. Io ho combattuto Bersani a viso aperto quando non lo faceva nessuno, guardandolo negli occhi. Non lo pugnalo alle spalle, oggi: chiaro? Nello zoo del Pd ci sono già troppi tacchini sui tetti e troppi giaguari da smacchiare per permettersi gli sciacalli del giorno dopo.
Quando durante le primarie chiedevamo di abolire il finanziamento pubblico ai partiti o ai parlamentari e consiglieri regionali di rinunciare ai vitalizi fino alla richiesta di non considerare appestati quelli che la volta prima avevano votato Lega o PDL (le primarie si vincono convincendo la tua gente, ma le elezioni si vincono convincendo anche quelli fuori dal tuo recinto) o fino alla proposta di far uscire i partiti dalla RAI, noi eravamo chiari. Ma non abbiamo avuto la capacità di convincere. Colpa mia, l’ho detto. Adesso però non abbiamo il copyright su queste proposte. Mi piacerebbe che li rilanciassimo noi, non per raccogliere il voto di qualche parlamentare grillino ma per recuperare un rapporto con il Paese, con gli italiani. La priorità infatti è rimettersi in sintonia con gli italiani, non giocare al compro baratto e vendo dei seggi grillini. Togliere il finanziamento pubblico ai partiti, subito, come primo atto del nuovo Parlamento, con efficacia immediata sarebbe come dire ai cittadini: Ok, abbiamo capito la lezione. Adesso scriviamo una pagina di storia nuova.
Queste cose le abbiamo dette da un camper. E non era il camper di Grillo, era il nostro camper. Trovo sbagliato e dannoso inseguire Beppe Grillo sul suo terreno, quello delle dichiarazioni ad effetto. Quello della frase di tutti i giorni. Tanto lui cambia idea su tutto, la storia di questi ultimi 30 anni lo dimostra. Grillo non va rincorso, va sfidato. Sulle cose di cui parla, spesso senza conoscerle. Vogliamo riflettere sull’utilizzo della rete in politica? Bene, il nostro comune è un comune che è leader negli open data. Ne parliamo? Vogliamo parlare delle donne in politica? Bene, noi abbiamo la maggioranza di donne in giunta: altrove cacciano le assessore se rimangono incinta. Ne parliamo? Vogliamo parlare di innovazione ambientale? Bene, noi abbiamo fatto il primo piano strutturale a volumi zero, senza mattoni, di una grande città. Ne parliamo?
Oggi – proprio oggi che il sistema dell’informazione sta toccando il fondo come spiega benissimo Massimo Gramellini su La stampa, chapeau! – siamo in grado di fare una riflessione più seria? Da vent’anni l’Italia non cresce. Lo inventiamo un nuovo modello di sviluppo sostenibile o continuiamo a sognare grandi opere e piccoli risultati? L’Istat dice che c’è il record di disoccupati, le aziende falliscono perché gli Enti Locali non pagano per colpa del patto di stabilità, fior di investitori potrebbero intervenire in Italia ma sono bloccati dalla crisi del sistema politico e dalle incertezze del sistema burocratico. E noi che facciamo? Pensiamo di uscirne vivi offrendo a Grillo la Camera e a Berlusconi il Senato, secondo gli schemi che hanno già fallito in passato? Come se non bastasse – diciamola tutta – per la prima volta un Paese europeista come l’Italia vede affiorare un voto antieuropeo, che è un fatto molto pericoloso di cui anche i commentatori si sono occupati poco. Qualcuno inizia a credere al fatto che i problemi italiani derivano dall’eccesso di Europa nella nostra vita quotidiana quando in realtà è vero il contrario: c’è poca Europa, non troppa Europa.
Per tutti questi motivi, da italiano, sono pronto a partecipare a una discussione vera su quello che serve al Paese. Ma se devo andare ai caminetti di partito sulle indiscrezioni della stampa o a partecipare al festivalbar delle candidature, beh, scusate, ma da queste parti abbiamo da lavorare. Mentre a Roma si discute, nelle città si affrontano i problemi, dalle emergenze occupazionali fino alle buche nelle strade.
Mi piacerebbe raccontarvi lo sforzo di queste ore sulla città, dal regolamento urbanistico all’investimento sulla cultura. Ne parleremo in una prossima enews, comunque. Altrimenti la faccio troppo lunga.
Alla prossima settimana, allora
Un sorriso,
Matteo
Pensierino della sera. Nel discorso sullo Stato dell’Unione Obama ha detto molte cose interessanti. Il passaggio per me più bello è stato quello sulla scuola: “Un dollaro investito nella scuola di qualità produce un risparmio di sette euro perché riduce disoccupazione e criminalità.â? Quando arriveremo anche in Italia a considerare i soldi (ben) spesi sulla scuola come un investimento sul futuro anziché come una spesa corrente del presente?