Di Associazione Italiana Persone Down
AIPD chiede che i gestori dei social rimuovano video e commenti offensivi e privino gli influencer del proprio profilo, quando diffondono un linguaggio osceno come quello di Sdrumox.
“Interventi nelle scuole e in famiglia per prevenire, ma anche maggiori controlli sui social.
Come associazione siamo indignati, noi e le nostre famiglie: questi personaggi fanno troppo rumore, andrebbero isolati”
“Abbiamo atteso qualche giorno per intervenire nel dibattito, consapevoli che l’obiettivo di certi personaggi della rete sia proprio quello di far parlare di sé: le provocazioni e gli insulti sono funzionali a suscitare critiche per stare al centro dell’attenzione e aumentare le visualizzazioni. Prenderne le distanze è doveroso, in difesa delle famiglie che si sono sentite offese. Infatti AIPD ha prontamente segnalato il video, utilizzando gli strumenti messi a disposizione da YouTube. Ma attenzione a non essere cassa di risonanza per questi personaggi a caccia di click”: così Gianfranco Salbini, presidente dell’Associazione italiana persone Down, commenta l’intervista video di Sdrumox”. Il video, ora rimosso, prendeva di mira con parole oscene e offensive le persone con disabilità, in particolare le ragazze con sindrome di Down.
“Sappiamo da tempo che internet è un mondo virtuale con pericoli reali – commenta Salbini – Per questo bisogna informare e formare con attenzione gli utenti, soprattutto i più giovani, visto che il web fa parte della quotidianità, internet fornisce l’accesso a molti servizi e contenuti, le comunicazioni e le informazioni avvengono con rapidità nelle proprie mani o strumenti. I social network sono accessibili a tutti e ormai non c’è quasi chi non ne faccia uso: specialmente i più giovani, ne fruiscono ormai quotidianamente. E’ spaventoso pensare a quante migliaia di ragazze e ragazzi abbiano potuto vedere quel video, assistere a quella fiera della volgarità e dell’insulto e magari sorridere per quelle battute offensive e di pessimo gusto. Come associazione e come famiglie di persone con sindrome di Down, questo ci ferisce e ci preoccupa profondamente”, aggiunge Salbini.
La figura degli influencer, poi, richiede una seria riflessione: “La rete è ormai per molti un lavoro e una carriera, un palcoscenico con una platea spesso molto numerosa: il sogno, per tanti giovani aspiranti influencer, è di collezionare migliaia e milioni di like. A questo scopo, è spesso funzionale anche la provocazione, l’insulto, il tema o l’opinione che nel bene o nel male porti visualizzazioni, commenti, insomma visibilità. Per monetizzare questa visibilità, tanti sono disposti anche a calpestare la dignità delle persone, accanendosi proprio sui più deboli, trasformati in facili bersagli”.
Che fare allora? “Innanzitutto dobbiamo proteggerli e proteggerci: per questo, chiediamo ai gestori dei social non solo di rimuovere i video e i commenti offensivi, come ora hanno fatto con il video incriminato, ma di bloccare i profili e i canali che adottano linguaggi e atteggiamenti insultanti e discriminanti: i social sono armi vere e proprie, per maneggiarli ci vorrebbe una licenza, ma se questa licenza non c’è, occorre almeno sottrarli a chi ne fa cattivo uso. Il linguaggio dei social, infatti, condiziona enormemente la crescita e il bagaglio di valori delle nuove generazioni: dobbiamo quindi vigilare e fare in modo che non siano trasmessi messaggi devianti, tramite canali che hanno tanta risonanza e penetrazione sociale, soprattutto tra i più giovani. Da un’indagine svolta da Save The Children è emerso che la percentuale di bambini tra i 6 e i 10 anni che si connette ad Internet è del 54%, per arrivare fino al 94% nella fascia d’età tra i 15 ed i 17 anni”.
Poi c’è l’arma difensiva e preventiva per eccellenza, ovvero la formazione: “Abbiamo bisogno di promuovere e rinforzare interventi precoci non solo in famiglia, ma nelle scuole di ogni ordine e grado, senza mai abbassare la guardia. La prevenzione è l’unica arma con cui possiamo creare e difendere un contesto sociale più dignitoso e responsabile nei confronti di tutte le persone. Perché non dimentichiamo che le persone con sindrome di Down non sono la loro sindrome: sono prima di tutto persone”, conclude Salbini.