Di Associazione Italiana Persone Down
Alla presenza del ministro Locatelli e dei rappresentanti dell’associazionismo, delle istituzioni e del mondo della ricerca, sono stati presentati i dati dell’indagine “Non uno di meno”. Tra le priorità, “studiare risposte per le persone adulte con sindrome di Down e favorire l’informazione e la conoscenza dei servizi”
“I dati emersi siano un punto di partenza per migliorare le condizioni delle persone con sindrome di Down in tutta Italia”: così Gianfranco Salbini, presidente nazionale di AIPD, ha aperto ieri l’incontro di presentazione dei dati dell’indagine “Non uno di meno”, realizzata da Censis e Aipd tra circa 1.200 caregiver di persone con sindrome di Down in tutta Italia.
“A tal proposito, colgo l’occasione per ribadire l’urgenza di rivedere i Livelli essenziali di assistenza – ha detto – al fine di garantire quell’omogeneità delle prestazioni che oggi, come l’indagine dimostra, manca completamente, essendoci fortissime differenze tra regione e regione. Sollecitiamo anche l’applicazione della legge 328/2000 che prevede la realizzazione di un Progetto di vita per ciascuna persona con disabilità con lo scopo della piena inclusione: anche questo, un traguardo ancora lontano, come la stessa indagine dimostra. Altro elemento preoccupante che emerge dalla ricerca è la mancanza di riferimenti: troppo spesso i famigliari sono lasciati soli nella ricerca e nel coordinamento di interventi abilitativi e riabilitativi, in assenza di un chiaro percorso per sopperire alle mancanze di quei territori sprovvisti di servizi e specialisti. Le famiglie sono così costrette, in molti casi, a continui e faticosi spostamenti fuori regione. Il lavoro che presentiamo oggi – ha detto ancora Salbini – potrà fornire utili indicazioni da un lato alla ricerca, anch’essa in campo per il miglioramento delle condizioni di vita delle persone con sindrome di Down, dall’altro alle istituzioni e alla politica che hanno il compito di rispondere ai bisogni concreti e reali attraverso norme, misure e risorse. Colgo l’occasione – ha concluso Salbini – per offrire al ministro Locatelli che oggi ha voluto essere presente al nostro incontro, tutta la nostra disponibilità a collaborare, per cercare insieme nuove strade e nuove risposte, a partire dalle richieste che questa indagine ha contribuito a intercettare e raccogliere”.
Proprio sulle ricadute politiche dell’indagine si è soffermata Anna Contardi, già coordinatrice nazionale di AIPD: “L’indagine non si esaurisce certo nella raccolta e nella presentazione dei dati – ha precisato –, ma intende fornire uno strumento per conoscere e capire, di conseguenza, come rispondere ai bisogni reali e alle carenze esistenti che l’indagine stessa mette in evidenza. Occorre anche fare un lavoro importante d’informazione, perché le risorse e i servizi sono poco conosciuti. Quello che ci interessa è soprattutto ciò che succederà da domani in poi”, ha detto.
Ketty Vaccaro, ricercatrice del Censis che ha quindi presentato i dati principali emersi dall’indagine, di cui è qui disponibile una sintesi. “E’ evidente – ha detto – come i problemi crescano con l’età: la percezione della disabilità da parte del caregiver si aggrava quando i figli crescono, la valutazione della scuola peggiora, la disponibilità dei servizi diminuisce, tanto che il 45% degli over 44 trascorre il proprio tempo prevalentemente a casa, trovando una sponda solo, in alcuni casi, nei centri diurni. Carente, in generale, la presenza e l’utilizzo dei servizi: meno della metà del campione – che scende a un terzo al Sud e nelle isole – riferisce che nella propria Asl è presente un servizio pubblico per la disabilità intellettiva. Da notare anche che chi ha un basso livello d’istruzione è anche meno consapevole dell’esistenza dei servizi. Gravissimo che il Progetto di vita sia praticamente sconosciuto: solo la metà del campione (peraltro un campione sensibile e attivo, visto che intercettato in ambito associativo) sa cosa sia e appena il 20% dichiara che questo sia stato formulato. Inadeguati e insufficienti le terapie riabilitative: a parte neuropsicomotricità e logopedia per i bambini, dai 15 anni in su non c’è praticamente nulla: il 60% del campione dichiara di non ricevere alcun intervento. Al contrario, quasi il 45% dichiara di fruire di interventi educativi extrascolastici in ambito associativo: il 61% ha dovuto fare per conto proprio, nella ricerca e nell’attivazione di riabilitazione o percorsi educativi extrascolastici. Riguardo la visione del futuro, con il crescere dell’età dei figli, arriva il disincanto dei genitori: se chi ha bambini fino a 6 anni pensa, nel 55% dei casi, a una vita futura autonoma, chi ha figli adulti li immagina per lo più affidati ai fratelli o comunque in ambito familiare. Cresce anche, pur restando marginale, la quota di chi pensa a un futuro in istituto. Infine, per quanto riguarda gli strumenti da potenziare, le famiglie chiedono soprattutto servizi per la promozione dell’autonomia e l’inserimento lavorativo e sociale”.
Anche Luca Trapanese ha fornito il suo contributo alla lettura dei dati, nella doppia veste di Assessore alle politiche sociali del comune di Napoli e di papà adottivo di Alba: “Questo studio eccellente mette in luce dati sconfortanti – ha detto – Le risposte per l’inserimento lavorativo, la scuola, la vita indipendente arrivano soprattutto dagli enti del terzo settore che di fatto sostituiscono lo Stato. Alla fine del percorso scolastico, i ragazzi con sindrome di Down e in generale con disabilità, non ricevono risposte dai servizi, ma piuttosto dalle attività del terzo settore. Credo che sia sbagliato avere un ministero della Disabilità: piuttosto, bisognerebbe avere uno sguardo sulla disabilità in ogni ministero. Dobbiamo costringere le istituzioni a fare proprie le nostre buone pratiche, a partire dall’inserimento lavorativo, oggi regolato da una legge che di fatto è inutile, perché non permette di rendere i lavoratori con disabilità delle vere risorse. Quello che di buono oggi c’è per le persone con disabilità, nasce dalla fatica e dalla disperazione dei genitori: le istituzioni devono valorizzare queste esperienze e trasformarle in politica. Io sono a disposizione di AIPD e di chi altro vorrà condividere e mettere in rete strumenti, esperienze e riflessioni”.
Anche la ricerca medica svolge un ruolo importante nel miglioramento delle condizioni di vita delle persone con sindrome di Down: a darne testimonianza, è intervenuto Eugenio Barone, ricercatore del Scienze Biochimiche “A. Rossi Fanelli”: “Attualmente, stiamo studiando l’Alzheimer in relazione alla sindrome di Down: un ambito poco esplorato, ma da cui possono arrivare importanti indicazioni. Allo stesso tempo, cerchiamo di studiare la possibilità di curare non la sindrome di Down, ma le comorbilità ad essa associate: i trial clinici in corso, tre in Italia e uno in Europa, sono una possibilità di speranza per le famiglie. Sono orgoglioso di annunciare che nel 2024 ospiteremo, a Roma, la Conferenza internazionale sulla sindrome di Down che abbiamo fortemente voluto: sarà fondamentale, naturalmente, il ruolo delle famiglie e delle associazioni”.
A parlare d’inclusione scolastica, è intervenuto l’avvocato Salvatore Nocera che ha messo in luce le principali criticità, prima fra tutte “la scarsa preparazione dei docenti e il malfunzionamento dei servizi. AIPD ha, dal 1998, un Osservatorio dedicato che fornisce utili supporti alle famiglie e al mondo politico, sia sul fronte pedagogico sia sul fronte giuridico. La scuola continua ad avere molti problemi dal punto di vista dell’inclusione: il Pei spesso viene formulato solo dall’insegnante di sostegno, le famiglie si trovano a rincorrere i gestori dei servizi, alcuni, per fortuna pochi, addirittura chiedono il ritorno alle scuole speciali. Io credo che l’inclusione scolastica sia come la caduta del muro di Berlino: ha salvato dall’isolamento migliaia di studenti disabili: deve essere chiaro che non si possono fare passi indietro”.
A parlare di lavoro e d’inclusione lavorativa, è intervenuto Franco Deriu, ricercatore dell’Inapp che ha sottolineato l’importanza dei “progetti personalizzati, previsti dalle Linee guida per l’inserimento mirato. Fondamentale è la valutazione multidimensionale da parte di un’équipe multidisciplinare. Occorre avere dei Leps, per la standardizzazione dei servizi e delle prestazioni”.
“Molto c’è ancora da fare, soprattutto per i più grandi, le fragilità determinate dal territorio o dalle età devono essere affrontate al più presto – dice Anna Contardi – al tempo stesso però dobbiamo riconoscere che molte cose sono cambiate, le ancora poche esperienze lavorative ci indicano una strada possibile per molti, l’attenzione data dalle famiglie di adolescenti e giovani ai progetti di autonomia fa dire che si comincia a credere in un’autonomia possibile per queste persone, il fatto che il 46% dei genitori della fascia 0-6 anni abbia conosciuto la diagnosi in gravidanza, ma sia andata avanti indica che la realtà e l’immagine sociale delle persone con SD sta cambiando”.
A chiudere l’incontro, per “aprire un confronto più approfondito e certamente costruttivo” è intervenuta Alessandra Locatelli, ministro per le Disabilità: “Vorrei davvero che il mio ministero un giorno non debba più esistere – ha detto – per lasciare il posto a un’attenzione alla disabilità da parte di tutti i ministeri. Nel frattempo, cerco di incontrare tutte le associazioni e ho letto con attenzione questi dati, raccolti da Censis e AIPD. Da dove dobbiamo iniziare, per creare risposte a partire da quanto emerso? Alcuni strumenti già ci sono, come la legge 68/99, che però va adeguata alla realtà di oggi, per permettere alla persona con disabilità di portare ricchezza nelle aziende. Gli esempi virtuosi che spesso incontro nelle associazioni possono e devono essere un modello per le istituzioni. Le risorse però non devono mancare, possiamo attingere anche dal Fondo sociale europeo: è importante quindi che continuiamo a incontrarci, per costruire insieme nuovi percorsi. Non dobbiamo mollare: io sono a disposizione”, ha concluso.