Di Stefano Saliola
E’ stato un successo il terzo clinic Città di Campobasso organizzato dal Cus Molise e dall’ufficio Unisport dell’Università degli Studi del Molise. Una tavola rotonda moderata magistralmente dal professor Germano Guerra con in cattedra il professor Andrea Capobianco responsabile tecnico delle nazionali giovanili maschili e 3×3 maschili e femminili di pallacanestro e il mister dell’Italfutsal Massimiliano Bellarte.
Tema del confronto che ha avuto come protagonisti anche gli studenti dell’Unimol è stata la prestazione sportiva in campo internazionale. Universo maschile e femminile a confronto.
Dopo i ringraziamenti ed i saluti del professor Guerra, è intervenuto il cittì dell’italfutsal, partito da lontano (è stato giocatore di calcio e pallacanestro ndr) e diventato allenatore di calcio a cinque, disciplina con la quale ha realizzato il suo sogno.
“Grazie dell’invito ad un evento di grande caratura come questo. Nel 2004 in seguito ad un incidente stradale nel quale ho rischiato di perdere la vita – spiega – ho iniziato ad allenare nei campionati regionali di futsal realizzando poi strada facendo quello che penso sia il sogno di tutti, arrivare in nazionale. Per quanto concerne l’universo femminile, ho allenato la Salinis, squadra con la quale ho vinto uno scudetto. Nell’approccio ad un mondo che per me era nuovo, sono stato aiutato e agevolato parecchio dal fatto che mia moglie (Nanà ndr) è una giocatrice di futsal e mi ha indirizzato nel migliore dei modi. Per realizzare un sogno bisogna sempre cercare di apprendere cose nuove e lavorare per arrivare in fondo provando a migliorarsi giorno per giorno”.
“Sognare è bello, ma bisogna farlo con i piedi per terra – rimarca Capobianco – il sogno si costruisce con il confronto. Alla base di tutto c’è un aspetto importante: noi allenatori abbiamo a che fare con degli esseri umani, allenare vuol dire anche dare forza. E la forza si costruisce lavorando parecchio sui propri limiti e sui propri errori cercando di esaltare i pregi”.
A proposito degli errori che si possono commettere nell’arco di un allenamento o di una partita, Bellarte rimarca che: “Un tecnico deve essere bravo a non sottolineare l’errore al giocatore ma trovare una soluzione per portarlo a migliorare”.
L’attenzione si è poi spostata al modo di rapportarsi del coach con l’universo maschile e con quello femminile. “Fare l’allenatore è stupendo, ma allo stesso tempo difficile – spiega Capobianco – è normale che ci siano delle differenze e molte volte non sono tecniche, ma sono quelle che influenzano la tecnica. Se ad esempio in campo maschile si può fare un passaggio teso a tutto campo, a livello femminile è più difficile che ciò avvenga, quindi non bisogna lavorare sul gesto tecnico, ma su qualche altra cosa, tipo accorciare le distanze del passaggio per renderlo funzionale. In questo caso un allenatore interviene per capire qual è la soluzione migliore da adottare. Altri tipi di problematiche che possono esserci le ho trattate allo stesso modo sia al maschile che al femminile. Ho allenato, per esempio, giocatori che all’inizio non si passavano la palla. In questo caso la capacità di un allenatore deve essere quella di creare un qualcosa di positivo, un buon rapporto a livello emotivo tra i due in mezzo al campo perché così il passaggio avviene in maniera più semplice. Per me prima di una partita il riscaldamento vero è quello mentale e non quello fisico. Con le ragazze avevo un problema: mentre riscaldavo la parte mentale, partivano a cento all’ora e rischiavano infortuni perché per loro in palestra si va sempre al massimo. Questa, a livello metodologico, è l’unica cosa che ho dovuto cambiare”.
“Nella mia esperienza alla Salinis con cui abbiamo vinto lo scudetto, cosa che ha portato tanto di positivo e nascosto magari le cose negative – spiega Bellarte – ho capito una cosa importante: l’apprendimento così come l’allenamento è emozionale e si distingue per tre cose: per il rapporto maestro-allievo, per il rapporto e quindi l’interazione che hanno le giocatrici e i giocatori tra di loro e soprattutto il fatto che la giocatrice si identificasse nel processo di allenamento e nel gioco. Creare un rapporto allenatore-giocatrice è molto difficile, entrare in quella che è una relazione empatica tra due giocatrici è ciò che un tecnico non deve mai fare. Quando c’erano discussioni in atto io non sono mai intervenuto, ma aspettavo che terminassero per riprendere l’allenamento. Questo è stato il mio modo di rapportarmi all’universo femminile”.
Successivamente i relatori hanno risposto con competenza alle domande della platea con tanti altri temi trattati e un passaggio anche al mondo del volley per quanto concerne l’aspetto organizzativo. L’Italvolley ha lasciato il segno non solo a livello tecnico.
E’ stata insomma una mattinata importante destinata a rimanere a lungo nella mente di appassionati, addetti ai lavori e studenti.