Di Associazione Italiana Persone Down
Il presidente nazionale dell’associazione commenta la notizia che arriva da Milano: due giovani con sindrome di Down, fidanzati da oltre 4 anni, non riescono a trovare una casa in affitto, nonostante i contratti di lavoro a tempo indeterminato: “Queste persone possono, devono e vogliono vivere in autonomia”
“Le persone con sindrome di Down possono, devono e vogliono avere una casa e vivere in autonomia. Lo diciamo e lo dimostriamo da 40 anni, con i nostri corsi e progetti di educazione all’autonomia”. Così Gianfranco Salbini, presidente nazionale di AIPD, commenta la notizia, riportata dal Corriere della Sera, della coppia di persone con sindrome di Down che da un anno cerca invano di affittare una casa.
Nonostante il supporto dell’associazione di riferimento e il contratto a tempo indeterminato di entrambi, Paolo Sesana, 35 anni e Carlotta Sganga, 39, fidanzati da oltre 4 anni, non ottengono ciò di cui hanno bisogno e a cui hanno diritto: una casa in cui poter vivere insieme.
“Tanti sono i soci delle diverse sedi di AIPD che opportunamente formati e accompagnati, oggi condividono una casa e con il supporto degli operatori, hanno conquistato l’autonomia abitativa e lavorativa e hanno costruito una relazione e una vita affettiva. – riferisce Salbini – Eppure, lo stigma resiste e le persone con sindrome di Down ancora incontrano resistenze e ostacoli, nella ricerca di un’abitazione: ci lascia amareggiati e sconcertati la notizia che arriva da Milano: le porte che si chiudono davanti a Paolo e Carlotta sono un’offesa alla cultura dell’inclusione che da 40 anni cerchiamo di costruire e un insulto al lavoro di tante associazioni come la nostra e all’impegno di tutte le persone con sindrome di Down e delle loro famiglie”.
Ricorda Anna Contardi, già coordinatrice nazionale AIPD: “Abbiamo avuto già in passato situazioni analoghe in cui coppie o piccoli gruppi di persone con sindrome di Down che iniziando un percorso abitativo, si sono visti negare la disponibilità all’affitto. Al di là delle singole storie, crediamo che la responsabilità di questa reticenza non sia individuale, ma collettiva: dobbiamo imparare a riconoscere le persone con sindrome di Down come persone con gli stessi diritti e bisogni degli altri, incontrandole al supermercato, alla riunione di condominio, in palestra. I mass media hanno in questo una grossa responsabilità e ci auguriamo che sempre più raccontino non solo le vicende spiacevoli come questa, ma anche le storie di convivenza positive che cominciano a nascere. Oggi ribadiamo con forza che la casa è un diritto per tutti, nessuno escluso e che negarlo alle persone con sindrome di Down è discriminazione”.