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Enews, mercoledì 28 novembre 2012

Di Matteo Renzi

Vi scrivo da Palazzo Vecchio dove seguo l’evolversi della vicenda maltempo a Firenze. La situazione è sotto controllo e devo ringraziare i lavoratori della Protezione Civile, della Polizia Municipale, della direzione mobilità, di Publiacqua, della Sas e di tutto il nostro team.

Siamo intervenuti immediatamente, evitando situazioni peggiori. Certo, abbiamo creato disagio al traffico bloccando i sottopassaggi. E mi scuso. Ma preferisco “aver paura che buscarne” come diciamo dalle nostre parti. Meglio prevenire prima che piangere poi. Nel frattempo però un pensiero va alla situazione difficile in tutta Italia, specie a quella di Taranto dove – dramma nel dramma – lo stabilimento dell’ILVA vive ore di drammatica emergenza.

Oggi si svolge il confronto finale con Pierluigi Bersani (Rai Uno, ore 21.10). In molti sono preoccupati che i toni non siano civili. Personalmente invece sono molto sereno: i toni almeno da parte mia saranno molto rispettosi. E – soprattutto – il confronto non è sulle regole. Una parte dei media, sospinta dagli amici di Pierluigi, continua a dare centralità alla questione delle regole. Che è assurda, sia chiaro. Ma non è lì che si gioca la diversità tra i due candidati.

Noi vorremmo in queste ore caratterizzarci per le nostre idee, non per le regole. Tra noi e loro ci sono molte differenze. Questo non impedisce di stare in squadra domani insieme. Ma gli italiani devono sapere che noi abbiamo un’idea diversa non solo su chi deve essere l’allenatore, ma anche sulla tattica, sulla squadra, sulla formazione. Se vinciamo noi non mandiamo solo in tribuna qualche vecchia gloria (concetto che spero ormai sia passato), ma anche il modo catenacciaro di vivere il centrosinistra. Basta con il finanziamento pubblico ai partiti, con la logica dei vitalizi, con gli investimenti sulle grandi opere, sulle riforme che non riformano nulla, sugli inciuci e gli accordi, sulle nuove costruzioni anziché sul recupero ambientale del territorio. Basta con questa RAI – lo dico con molta franchezza il giorno del confronto – che si fa dettare la linea dai portavoce di partito, che nomina i direttori tenendo conto del bilancino, che spende male i propri soldi e le proprie professionalità, se vinciamo noi la Rai farà servizio pubblico, senza consultare le segreterie dei partiti.

Se vinciamo noi non ci saranno inciuci con Casini. E non siamo tra quelli che cercano di accontentare un po’ tutta la generazione dei politici di oggi da Vendola – che domani sarà sul palco di Napoli con Bersani – fino alla Bindi e D’Alema. Se vinciamo noi la foto di gruppo del centrosinistra sarà quella del futuro non quella di chi in questi vent’anni ha parlato a lungo di coesione e poi ha mandato a casa due volte Prodi. Ha finto di contrastare Berlusconi e poi non ha fatto neanche la legge sul conflitto d’interessi. Loro sono rassicuranti, noi vogliamo cambiare. Loro hanno esperienza, noi vogliamo la speranza. Loro curano le radici, noi vogliamo volare. Non è detto che siamo meglio noi o che siano meglio loro. Siamo diversi. È un referendum sul futuro quello di domenica. Io penso che questo Paese debba svoltare. Se continua con le stesse facce, gli stessi slogan, gli stessi dirigenti degli ultimi vent’anni, l’Italia vede il declino perché continueremo con gli stessi problemi. Se proviamo a cambiare si vive un’incognita, ma torniamo a crescere. Lo ha spiegato bene ieri un amico come Lorenzo Jovanotti.

Per tutti questi motivi io rispetto profondamente coloro che hanno votato Bersani. Perché ne capisco l’ansia di sicurezza. Ma credo che oggi l’unica cosa sicura da fare sia cambiare. L’unico rischio che corriamo, paradossalmente sarebbe proprio quello di non cambiare.

Sono concetti più importanti delle regole. Le regole le ha fatte Bersani, come un giocatore che fa anche l’arbitro. Sono diverse dal passato e infatti ha votato meno gente. A distanza di quattro giorni non sono online i verbali dello spoglio. In un Paese civile i verbali sono pubblici, non le aggregazioni fatte dai segretari provinciali. Però noi proviamo a vincere con queste regole. Con un sorriso, non con il rancore. Se gli italiani vogliono cambiare possono farlo anche con queste regole, nessun alibi. Ovviamente ci aspettiamo dal partito una cosa semplice: l’elenco ufficiale degli autorizzati a votare. In troppe parti d’Italia girano e svolazzano fogli e foglietti. Un’organizzazione seria – immagino – inserisce tutti i nomi in un file che è a disposizione di entrambi i candidati. Altrimenti le primarie non sono serie, no? Sapere quanti hanno votato, chi ha votato e garantire che nessuno faccia il furbo. Non mi pare una cosa così difficile: si chiama democrazia.

Domanda secca: può votare anche chi non ha votato al primo turno? Sì, può votare anche chi non ha votato al primo turno. Occorre andare personalmente nelle sedi dei Coordinamenti Provinciali. Se uno non può andare fisicamente basta che mandi un’email specificando che non ha potuto votare per “motivi indipendenti dalla sua volontà” Si tratta di una novità molto positiva, basta un’email. Questo è sufficiente perché si possa andare a votare (portando con sé l’email). Comunque chiunque abbia voglia di darci una mano (magari controllando i seggi in tutta Italia) o voglia votare e non l’abbia fatto al primo turno o voglia segnalare amici che hanno problemi può scrivere all’email:

ballottaggio@matteorenzi.it

Quanto a chi dice: parlano di regole, perché non hanno proposte. Bene. Chi ha tempo da perdere segua questa trasmissione di Porta a Porta (che ieri – peraltro – ha fatto il record di share) dove per un’ora e mezzo discuto di politiche economiche, di ILVA, di progetti per il Paese.

I numeri ufficiali del PD dicono che la differenza di votanti al primo turno è meno di 300mila voti. Bene, ci sono 600mila voti in libertà tra chi ha votato altri candidati. Ce ne sono altri di quelli che potranno registrarsi anche se solo entro venerdì: io sono certo che saranno almeno altri 200mila come minimo.

E poi ci sono più di un milione di voti di Bersani che potrebbero cambiare opinione, il che varrebbe doppio. Perché? Perché vedono nella vicenda delle regole la paura. Noi siamo in una crisi profonda: un leader non può aver paura.

Se uno ha paura delle registrazioni online come farà domani a rinnovare la burocrazia pubblica puntando sulla digitalizzazione dopo che per votare ci hanno fatto firmare cinque moduli cartacei?

Se uno ha paura della partecipazione al secondo turno (in Francia, il caro Hollande ha visto aumentare la partecipazione al secondo turno del 10%: lui non ha avuto paura) come potrà coinvolgere i cittadini nella partecipazione dopo?

Se uno ha paura del voto dei sedicenni come farà domani a cambiare la scuola?

Mi spiace perché in tempi di crisi la paura è l’unica cosa che non possiamo permetterci. In ogni caso noi gambe in spalla e sorriso. Andiamo a vincere con il coraggio, che è contagioso, e con l’entusiasmo di chi deve riportare tutti a votare, di chi deve convincere, di chi deve coinvolgere. Al massimo possiamo perdere le primarie. Ma almeno non perderemo la faccia. E, se vinciamo, l’Italia con noi cambia davvero.

Un sorriso
Matteo

P.S. Finalmente una buona giornata per gli annunci di sostegno. Ieri a me è arrivato oltre a quello di Jovanotti anche quello di Margherita Hack. A Bersani, poveretto, quello di Emilio Fede. Tutta la mia solidarietà a Pierluigi!