Di Vittorio Venditti
Se Dio Vuole!…
Il fatidico e da tanti atteso, “Diciassette marzo”, se Dio vuole è passato; passato, portando con sé tutta la retorica, l’ipocrisia e le falsità storiche, abbondantemente propinate agli Italiani, (con la I maiuscola), pazienti come quel cinese che si ferma sul greto del fiume per attendere che passi il cadavere del proprio avversario, più che attaccarlo de visu.
Il ben pensante di turno, l’elettore, (in questi casi, ancor più altruista) e forse anche il solerte magistrato, in vario modo e in base ai propri compiti di “buoni cittadini”, mi staranno già maledicendo, auspicando per me il “meritato esilio”.
Spiacente per voi, ma sono e resto qui a tediarvi!!!
Ma perché ce l’ho con questa festa?
Per il fatto che si è persa una buona occasione per fare qualcosa di utile per l’Italia, lavorando e producendo, ognuno secondo i propri compiti.
Per il fatto che il pavoneggiarsi di tanti politici e politicanti, ladri faccendieri o massoni, ha prodotto per me il danno della perdita di un giorno di ferie, obbligato secondo i loro voleri e non più a mia libera discrezione; alla faccia della Democratia!
Per il fatto che, nonostante il bilancio disastrato , si sono spesi soldi in nome della patria, ma a vantaggio dei soliti “pochi”.
Visto però che sono abituato a vedere il bicchiere mezzo pieno, tralasciando quanto già centocinquant’anni fa (1863) scrisse Giuseppe Massari a proposito degli umori di una buona parte degl’”italiani” in fieri, poi definiti dalla storia dei vincitori “Briganti”, e bypassando gli ulteriori ricattucci di un morente Camillo Benso Conte di Cavour, (27 marzo 1861: “ … libera Chiesa in Libero Stato … ”, frase compresa in un discorso con cui, senza mezzi termini si faceva capire a pio IX che era venuto il tempo di lasciare Roma ai Savoia), vado a divertirmi nel considerare gli innumerevoli arzigogoli con cui, ormai chiunque, anelando a quel poco che resta nelle esauste casse di enti più o meno importanti, siti nella “festeggiata Patria”, con l’avidità degna di una tenia, inventa ogni genere di manifestazione per ricordare improbabili gesta di altrettanto improbabili “patrioti”, (soprattutto se si parla e si scrive utilizzando tale qualifica a proposito di gente molisana, contemporanea dei garibaldini).
Avrai chiaro ormai che ieri, tutto ho fatto, tranne che “festeggiare”.
Sì, ho pazientemente atteso che passasse quest’inutile orgia, per vedere (di nascosto) “l’effetto che fa”.
L’ho visto l’effetto!
Oggi, da buoni e veri Italiani, coloro che dovrebbero andare a lavorare, se non proprio lontani mille miglia dal posto di lavoro, hanno pensato di mettere in pratica la vera Maestrìa in cui l’italiano è primo senza timor d’avversari: Il far il Ponte, quel bel Ponte che non ha nulla da invidiare all’omonimo e più blasonato che si vorrebbe costruire, (almeno col pensiero) da duemila anni e più, sullo stretto di Messina.
Che dire poi di quei pezzenti che approfittando di feste ed inaugurazioni varie, magari con piccoli sotterfugi, riescono solo in questi frangenti a mettere qualcosa sotto i denti, per riempire le loro pance a nostre spese?
O degli stessi pezzenti di cui sopra che, dopo aver approfittato gratuitamente degli spettacoli pagati con i soldi di tutti, si lamentano delle stesse rappresentazioni?
Potrei continuare così per un bel pezzo, ma ti confesso che mentre scrivo mi sta venendo il voltastomaco e rischio seriamente di vomitare il cibo che ho appena preso.
A proposito:
Mentre scrivo, sono circa le tredici e trenta di martedì quindici marzo.
Sto scrivendo queste poche farneticazioni durante l’ora d’intervallo dal lavoro.
E per fortuna che nelle mense azziendali sono vietati gli alcolici!
Diversamente, sarei stato più capace d’intendere e di volere, e non avrei espressi i pensieri da pazzo di cui stai leggendo.
Quest’articolo viene pubblicato approssimativamente attorno alle ventuno e trenta di venerdì diciotto marzo.
Sarà che quanto scritto è stata solo la previsione perfettamente azzeccata fatta da un pazzo?