Di Jula Papa
“Garantiremo che le persone che hanno il diritto di rimanere siano integrate e si sentano accolte. Queste persone devono costruirsi un futuro e hanno competenze, energia e talento”. (Presidente Von der Leyen sullo stato dell’Unione, 2020)
Partire dalle parole del Presidente von der Leyen per parlare di Accoglienza e integrazione e di quanto c’è ancora bisogno da fare nel Molise, affinchè le sue parole possano diventare realtà nella nostra comunità. La voce di un ragazzo, residente nel Molise, ma ancora senza cittadinanza, presso lo Sportello di Ascolto e tutela di Cittadinanzattiva, ha voluto denunciare una comunità ancora poco incline alla solidarietà, all’accoglienza, all’umanità e all’integrazione.
La sua è una storia molto triste, sicuramente come tante altre che forse non hanno il coraggio di essere raccontate, forse perché si crede sia giusto subirle. La sua voce molto pacata, ma piena di forza e speranza, perché è padre di 3 bambini (dei quali 2 biologici) e una compagna che può vedere solo saltuariamente. Peccato che i suoi bambini non possono stare con lui mentre lei al momento si trova presso un Istituto.
Tutto inizia nel 2017, quando la compagna con la sua primogenita, avuta da una precedente relazione, si reca ad un colloquio di lavoro, peccato che probabilmente era falso; ci viene precisato che il caso non è ancora del tutto chiuso e questo per lui può essere una speranza per avere giustizia. La sua compagna non ricorda niente e quando si sveglia si ritrova in una cella con addosso abiti non suoi, ma non sa cosa le sia successo. La sua bambina non è con lei e da quel giorno non l’ha più vista perché è stata dichiarata la sua adottabilità e quindi sicuramente affidata ad un’altra famiglia. 8 i mesi in carcere, poi viene liberata, ma non si sa ancora quali le motivazioni dell’arresto e del rilascio. Il fatidico giorno “del colloquio di lavoro”, la sua bambina viene trovata dalla Polizia (in seguito ad una segnalazione) con evidenti ematomi ed è questa probabilmente l’accusa attribuitale, cioè quella di “aver picchiata brutalmente” la sua bambina. «Ad oggi non sappiamo ancora niente di certo», ci racconta il compagno con un nodo alla gola, «Quando venne rilasciata venne dichiarata come una ragazza alcolizzata e drogata». Da quel giorno la sua compagna è seguita dagli assistenti sociali e rimane, per loro, sempre una ragazza alcolizzata e drogata, ma ci racconta che lei non ha mai bevuto e mai fatto uso di stupefacenti. Tra l’altro, analisi specifiche che confermerebbero questo, non sono state fatte, o meglio, non sono mai state rese note. Nel frattempo la coppia ha avuto altri due bambini, ma sempre sotto stretta sorveglianza degli assistenti sociali che non perdono occasione per discriminare sia lui, in quanto una persona di colore nero, ritenuto non idoneo ad essere padre ed essere congiunto con una persona di colore bianco, e sia lei, perchè ormai acclamata alcolizzata e drogata.
Questo vuol dire stigmatizzare, bollare, marchiare, segnare una persona per tutta la sua vita. Oggi i loro bambini sono stati affidati ad altre famiglie, tranne l’ultimo che ha pochi mesi e al momento è con la madre in un istituto che molto probabilmente dovrà lasciare per andare non si sa dove, perché “marchiata”. Quindi una famiglia completamente separata senza conoscere ancora oggi, a distanza di 5 anni, cosa sia successo, chi sono i responsabili per quel vuoto di memoria. Il risultato è che siamo di fronte ad un’emergenza da superare, recuperare una comunità verso un paradigma comprensivo, umano e solidale. Non riguarda solo la cittadinanza attiva, ma iniziare proprio da chi ha il ruolo negli interventi di carattere sociale.
L’augurio che vogliamo fare a questa famiglia è che presto possa essere congiunta e che riesca a trovare una comunità rinnovata al sentimento della solidarietà.