Di Ouday Ramadan
IL PANE DI SEGALE
Mentre camminavo per le strade di Tartus, ha attirato la mia attenzione un operatore ecologico, dall’aspetto trasandato. L’ho avvicinato, spinto da una curiosità innata, per chiedergli informazioni sugli aspetti della sua vita.
L’uomo ha 55 anni, operaio con uno stipendio di circa 70.000 lire siriane, l’equivalente di 7 euro. Padre di 5 figli, di cui ben tre maschi chiamati al servizio di leva, da circa tre anni. Combattono con l’Esercito al fronte, contro le orde terroristiche. Le altre sono due femmine minorenni che studiano presso le scuole siriane.
Gli ho chiesto se con quel misero stipendio riesce a tirare avanti la famiglia, in quelle condizioni. La sua risposta è stata devastante: “Prima della guerra con quello stipendio vivevo dignitosamente, con la mia famiglia, senza che ci mancasse nulla. Oggi non riusciamo a sbarcare il lunario neanche al terzo giorno del mese perché in Siria ogni merce è diventata rara e costosissima. Lo Stato riesce a fare quello che può in queste condizioni. La guerra ha prodotto vampiri ed approfittatori, che stanno prosciugando il nostro sangue”.
Non potevo trattenermi dal chiedergli come mai non è migrato verso altri paesi, come hanno fatto in tanti. La sua risposta è stata: “Preferisco mangiare il brodo dei sassi e il pane di segale nella mia terra che non i migliori arrosti ed il pane bianco negli altri Stati. Qui sono nato, e voglio chiudere gli occhi sotto questo cielo. Il mio corpo dovrà essere sepolto in questa terra”.
Questi sono i Siriani.
Non disertano la loro terra.
In essa sono nati, e in essa ritorneranno.
Tenetevi voi le ricchezze, tenetevi gli immigrati ben nutriti ed “ifonati”.