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Paralimpiadi Di Cina. Doppio Oro, Doppio Argento: Premio Alla Semplicità

Di Vittorio Venditti

Intervista A Giacomo Bertagnolli

L’uomo è tale quando sa esserlo. Non è una massima filosofica ‘astratta’, ma la conclusione alla quale si arriva quando si è di fronte a chi ha vinto il conquistabile e sa tenersi il vanto per sé, presentandosi al mondo come una persona normale con tutta l’umiltà di chi non si mette sul piedistallo nonostante ne avrebbe ogni donde, dimostrando tutta la maturità che deriva da tal performance.

Giacomo Bertagnolli

Si sta parlando del pluricampione paralimpico Giacomo Bertagnolli che dagli ultimi giochi di Cina ha riportate a casa quattro medaglie su sette conquistate dalla compagine italiana, in un momento nel quale tutto era volto a guardare ben altro. Ecco la breve intervista.

Qual è stato il bottino derivato dalla tua forza profusa in Cina?
“Un sesto posto in discesa libera, poi due argenti in super-gigante e gigante ed altrettante medaglie del metallo più pregiato in super-combinata e slalom”.

Si è parlato di sette medaglie complessivamente riportate dall’Italia, vuol dire che di queste, quattro sono le tue?
“Esattamente, sono mie, sì, sì – Risponde sorridendo -”.

Ogni campionato, prima di quanto mostra di sportivo, rispecchia il tempo nel quale vive. Tolta la geo-politica, tu come hai vissuta la manifestazione vera e propria dal suo interno?
“Le paraolimpiadi, come le olimpiadi arrivano una volta ogni quattro anni; è l’evento al quale tutti gli atleti aspirano ed arrivarci è sempre un grande obiettivo, un grande traguardo ed una grande soddisfazione per cui sicuramente è stato bello. Siamo stati abbastanza bene lì a Pechino. Tutto è stato organizzato meglio anche perché le piste erano vicine al villaggio paralimpico. Direi che è stato molto più soft dal punto di vista mentale e di stress rispetto a Pyongyang, – (giochi precedenti tenuti in Corea del nord: ndr) -. Anche lì ho prese quattro medaglie su cinque della squadra, un bronzo, un argento e due ori, per cui mi sento contento, perché sono riuscito a rimanere al passo del livello che si sta alzando sempre di più, il che vuol dire che del lavoro è stato fatto. Sono consapevole del fatto che posso fare ancora meglio, posso migliorare ancora di più. C’è ancora tanto lavoro da fare soprattutto nella tecnica di sciata e quindi su come poi affrontare le piste dal punto di vista tecnico, mentre dal punto di vista mentale, oramai, diciamo che l’emozione c’è, però riesco sempre a controllarla e soprattutto riesco a controllare anche l’ansia”.

A margine dei giochi, come vengono viste in Cina le persone deficitarie, non necessariamente a livello sportivo?
“Riguardo gli atleti, vengono trattati sicuramente bene. Per il resto, ci sono ancora tante altre cose che sicuramente non funzionano: già solo riportandoci allo sport paralimpico, in particolare allo sci alpino, le paralimpiadi sì, sono viste, sono seguite, però siamo ancora a livelli di visibilità e quant’altro di simile, indietro anni luce rispetto a quello che secondo me dovremmo essere. – Siamo in Italia in poche parole! – E’ così ed è una cosa che fa molto dispiacere. Te la posso dire in prima persona perché quando arrivi ai massimi livelli e vinci tutto quello che c’è da vincere, magari molto di più dei colleghi normodotati e poi trovi: zero solidarietà da parte degli atleti normodotati che dovrebbero sostenerti, – aggiunge con una puntina polemica, – come io sostengo loro quando fanno le loro gare in coppa del mondo ecc., comunque il tifo glie lo fai, dall’altra parte, – dal loro punto di vista, – zero, zero, zero, proprio… manca l’interesse, in primis dagli atleti normodotati, poi da tutti gli altri, intesi come eco su giornali e televisioni più o meno importanti. Questo, riferendomi al nostro paese. Per quanto riguarda la Cina, non te lo so dire perché praticamente nei dettagli non abbiamo fatto interazione con nessuno. Eravamo chiusi nel villaggio e di cinesi non ho avuto modo di conoscerne tanti. So che loro si sono dati molto da fare per arrivare a questi giochi perché erano in casa, quindi per questo, hanno data una certa importanza all’evento. So che per incentivare i loro concorrenti danno premi molto importanti: in Cina, la medaglia d’oro, prevede un premio equivalente al milione di euro in Italia, per cui gli atleti di casa erano anche ben motivati dal punto di vista economico. Lì hanno un’altra mentalità e non ti lasciano tanta scelta. Se vedono che sei capace, disabile o no, ti prendono, ti mettono lì e finché non tiri fuori il risultato ti tengono lì. Loro hanno tirato fuori delle belle performance che speriamo di replicare a Milano-Cortina anche noi fra quattro anni”.

Da quest’esperienza, alla quale hai partecipato in maniera soprannaturale, cosa speri di trarre in ogni senso per il tuo prossimo futuro?
“Già detto in parte, aggiungo che la principale cosa che vorrei veder cambiare, è l’interesse dell’opinione pubblica in ciò che stiamo facendo dal punto di vista sportivo ad ogni livello. Man mano che ci si avvicina a Milano-Cortina, vorrei che ci fosse sempre maggior interesse da parte della gente, ma soprattutto da parte dei media che ‘se ne sbattono altamente’, (per usare un francesismo: ndr). Io son tornato e nonostante le quattro medaglie al collo riportate per la seconda volta da una paraolimpiade con anche i miei compagni di squadra che hanno riportate altre tre medaglie… non si è mai fatto sentire nessuno, a parte i giornalisti radio, – aggiunge giacomo con aria visibilmente affranta e delusa, – però… di tv ecc., mai sentito nessuno, nessuno si è mai interessato di niente, anche perché oggi gli argomenti da trattare sono la guerra, il covid e come al solito il calcio. La gente guarda solo quello purtroppo e quindi io spero che in questi anni cambierà qualcosa. Io continuerò ad allenarmi per portar risultati perché coi risultati, oltre alla passione che ci metti ecc., riesci a trasmettere dei valori, cosa però che per arrivare ad un pubblico più ampio, dovrebbe venir veicolata meglio e con maggior interesse da parte di chi opera nell’informazione con approfondimenti sensati e non come si fa oggi, proponendo una semplice domanda per poi mandare l’intervistato a casa perché il problema di coscienza è stato trattato. Questa secondo me è la cosa sulla quale si dovrà lavorare di più a livello di federazione; poi noi atleti ci mettiamo del nostro per essere presenti a tutte le manifestazioni, considerando che a noi comunque piace portare la nostra esperienza da offrire alle altre persone. Dal canto mio, io quello che faccio lo faccio gratis anche perché è convinzione di tutti che al di là degli sport altamente ripagati, noi quello che facciamo lo dobbiamo fare gratis, ma sarei ben contento se venissi chiamato in qualche spot pubblicitario a far vedere che al di là di quanto viene mostrato, c’è altro da far vedere”.