Di Jula Papa
Trovare Strumenti Più Vincolanti Per Rispetto Tempi D’Attesa Nel Canale Pubblico
Circa il 33% in meno di prestazioni sanitarie erogate in regime intramoenia nel 2020 rispetto al 2019 e circa il 26% in meno nel canale istituzionale. È questa la riduzione in percentuale dei volumi di prestazioni erogate, certificata dal Report ALPI presentato oggi da AGENAS. Nello specifico, nel 2019, le prestazioni erogate in libera professione intramoenia erano 4.765.345 e nel 2020 sono state 3.204.061, mentre nel canale istituzionale sono state 58.992.277 nel 2019 e 43.398.623 nel 2020.
“Dati che ci confermano, una volta di più, la necessità di recuperare quanto è stato sospeso a causa del covid e la necessità per i cittadini di tornare alle cure ordinarie. In particolare occorre accelerare da parte delle regioni l’approvazione dei Piani straordinari per il recupero delle prestazioni sospese a causa del covid, vigilare e rendere trasparenti i dati sull’andamento dei recuperi, sui modelli organizzativi adottati dalle regioni per garantire il ripristino delle prestazioni, sulle tempistiche previste e sull’utilizzo dei fondi stanziati”, dichiara Valeria Fava, responsabile coordinamento politiche della salute di Cittadinanzattiva, intervenuta oggi alla presentazione del Report, frutto delle rilevazioni effettuate secondo le “Linee Guida per il monitoraggio ex ante delle prestazioni prenotate in ALPI” predisposte da AGENAS in collaborazione con il Ministero della Salute, Cittadinanzattiva, Istituto Superiore di Sanità ed esperti delle Regioni e Province Autonome in materia di liste di attesa e ALPI.
“Sono 11 le regioni che per le prenotazioni utilizzano esclusivamente l’agenda gestita dal sistema CUP, nelle altre vi sono ancora casi in cui si prenota tramite agende cartacee gestite dal singolo professionista o dalla struttura e questo a discapito della trasparenza sulle liste di attesa. Inoltre in alcune realtà il rapporto tra prestazioni erogate in intramoenia e nel canale istituzionale, (che non deve superare il 100%, ossia per ogni prestazione erogata nel canale intramurario ce ne deve essere almeno una erogata nel pubblico), evidenzia che per i cittadini il ricorso all’intramoenia non è una libera scelta, ma una scelta obbligata. Il rapporto certifica infatti che in 13 regioni su 21, si rilevano situazioni in cui il suddetto rapporto è superiore al 100% soprattutto nell’ambito della visita e della ecografia ginecologica”. Succede ad esempio che in una Asl della Campania per una visita cardiologica ed elettrocardiogramma si è passati da un rapporto fra attività erogata in ALPI e quella erogata in regime istituzionale pari al 72% nel 2019 e al 206% nel 2020, il che significa che per una prestazione erogata nel canale istituzionale ce ne sono due erogate in intramoenia; in una azienda marchigiana per la visita urologica il rapporto è passato dal 147% nel 2019 al 228% nel 2020, per la mammografia in un’azienda piemontese si passa dal 16% nel 2019 al 142% nel 2020.
“Per questo – conclude Fava – occorre pensare a strumenti più vincolanti perché Asl e Regioni garantiscano un vero recupero delle liste d’attesa, rispettino i tempi massimi di attesa e ai cittadini siano garantiti gli stessi diritti, soprattutto in termini di accesso alle prestazioni, indipendentemente dal territorio in cui vivono”.