Di Vittorio Venditti
Che Si Comporta Quasi Come L’Erasmo Da Rotterdam!
Senza acquisire dal noto filosofo vissuto a cavallo fra il quindicesimo ed il sedicesimo secolo, ne la filosofia (per l’appunto), ne l’omosessualità giovanile, mai dichiarata, ma chiaramente leggibile dai documenti a nostra conoscenza, mettendomi nei panni di questo Erasmus di tradizioni sufficientemente libertine, provo ad analizzare il perché del fallimento conclamato di quel progetto che indegnamente porta il nome di un teologo che durante i migliori e più produttivi anni della propria vita, si è trovato ad essere “Voce fuori dal coro”.
L’Erasmus resta a secco: debiti per 10 miliardi – Skuola – Tgcom24.
Prendendo la macchina del tempo e spostandoci in avanti di cinque secoli, scopriamo che il viaggiare di studenti, più o meno capaci di studiare, non è cambiato affatto, se non per i mezzi di trasporto e di comunicazione utilizzati dagli “eruditi viaggiatori”.
Allora come ora, si viaggiava, a loro dire, per imparare gli usi ed i costumi dei popoli visitati, “per aumentare il bagaglio culturale” (dicono loro), per aumentare il periodo di dipendenza e non lavoro a discarico degli “eruditi viaggiatori” appena nominati che se nel millecinquecento riuscivano ad arrangiare qualche lezione privata da impartire ai molti analfabeti, nell’era informatica, al massimo possono guadagnare un soldo di cacio, insegnando a giovani molto più eruditi di questi improvvisati “maestri”, come fare per riuscire a completare tutte le fasi di un videogioco, arte più studiata, in paragone alle materie per le quali i nostri “eruditi viaggiatori” acquisiscono borse di studio, utili alla loro emigrazione verso terre alle quali molti dei loro genitori arrivavano senza soldi, accolti dal disprezzo più bieco degli autoctoni, quanto dico io.
Per dirne una, poco più di quarant’anni fa, (ed è il racconto più breve), mio padre e mia madre, aventi rispettivamente l’altisonante titolo di studio di Sesta e Quinta elementare, (in quanti ricorderanno questi titoli di studio non lo so e non lo voglio sapere), fatta la proverbiale valigia di cartone, si avviarono per poter partecipare al loro progetto “Erasmus”, basato sul dover lavorare in un cantone della Svizzera tedesca, per poter imparare i locali usi e costumi e la lingua del posto.
I miei furono fortunati, perché sapendo fare il lavoro di bassa manovalanza riservato a tal tipo di studenti, riuscirono a guadagnare il rispetto degli abitanti di quella zona, evidentemente in grado di comprendere chi sapeva e voleva lavorare, discernendo e separando benevolmente costoro dal resto della plebaglia.
Per la cronaca, mia madre, incinta di mia sorella fu espulsa dalla civilissima Confederazione Elvetica, e mio padre, poco dopo, terminato il suo progetto “Erasmus”, la seguì nel patrio rientro, con il sincero e sommo dispiacere del di lui datore di lavoro, ciò, per mettere a frutto l’esperienza acquisita e lavorare rispettivamente da coltivatrice diretta e da manovale edile, nel nostro paesello, acquisendo i portentosi diritti dati anche dallo studio di cui sopra, che hanno riversato nelle tasche dei miei, lauti e saltuari guadagni durante la vita lavorativa, ed una congrua e giusta pensione, che ne riempie le casse, rispettivamente per quattrocent’ottanta e cinquecentoventicinque lussuosissimi euro mensili, ai quali aggiungere la rispettabile somma di ventisette euro annui, che mio padre riceve dalla civilissima Svizzera, previa l’ovvia comunicazione autocertificata della propria esistenza in vita.
Forse aspettano che muoia?
Da tutta questa storia, ho potuto notare che i miei genitori hanno tratta una vera ed importante conclusione:
Per vivere, bisogna lavorare e bisogna saperlo fare egregiamente, pena: il morire di fame o di elemosina.
Venticinque anni dopo questo primordiale progetto, patito da molti italiettani che magari oggi si lamentano della presenza di gente che viene da noi, in numero altamente inferiore alle cifre che ci hanno riguardati direttamente, magari solo per transitare verso terre più redditizie, ecco che a qualche buontempone in vena di forzare un’integrazione europea che non funzionerebbe neppure nel “libro Cuore”, viene l’idea di prelevare annualmente parte delle tasse che ogni abitante degli stati che si dicono europei, evitando di farsi guerra per quieto vivere, ha versato per ricevere servizi, ciò, per creare borse di studio che, a dire di queste “teste… pensanti”, dovrebbero servire a formare la “nuova generazione europea”.
Ho avuto modo di conoscere diversi fruitori e diverse fruitrici di tali contributi.
In cinque casi, (quattro femmine ed un maschio d’italica provenienza), ho potuto riscontrare un vantaggioso guadagno in termini di erudizione, guadagno che ha portati questi studenti a coronare il sogno di Lavorare (con la L maiuscola), nei campi derivati dai progetti seguiti dai Nostri.
Ho conosciuti invece altri studenti di ambo i sessi che il progetto in questione non lo hanno neppure terminato.
Tutti però, indistintamente tutti, compresi quelli che hanno poi onorato l’impegno preso, hanno dichiarato, senza remore, che andare a vivere al di fuori dell’Italia, è significato innanzitutto “acquisire l’agognata indipendenza”, che ridotta in termini terra-terra, è significato per la maggior parte del tempo dedicato a tali trasferte, il giusto sfogo sessuale, unito alla vacanza che in casa propria costoro avrebbero sognata con l’uso del binocolo.
Da dire che ho avuto modo di “apprezzare” l’impegno profuso da chi, utilizzando il medesimo progetto ma scegliendo da nazioni limitrofe di venire ad espletarne i contenuti nel nostro “Bel Paese”, ha avuta la libertà di comportarsi in maniera identica a chi, dei nostri concittadini, si è divertito al di fuori dell’Italia.
Esperienza diretta.
PER CERTE COSE NON C’E’ BISOGNO DELL’ERASMUS!!!
Personalmente, con tutti i limiti che mi vengono imposti dal mio status e dalla mia discutibile appetenza fisica, so per certo che questo tipo di “emigrazione”, porti la reale integrazione fra cittadini di diversi Stati, solo quando, magari per errore, si è arrivati a creare una seconda, se non terza generazione di cosiddetti abitanti europei…
Tornando però al discorso “studio”, visto che questo progetto è in essere da venticinque anni, (ricordo che siamo partiti già da altri venticinque anni precedenti), dicevo: questo progetto, costato un bel gruzzoletto, almeno nel considerare lo studio, avrebbe dovuto creare fra i fruitori italiani dei veri geniacci, facendo sì che la nostra piccola Italia, gloriosa più che mai, si dovesse fregiare del titolo di nazione più industrializzata dell’universo, permettendosi e permettendoci di guardare la Valchiria Angela dall’alto in basso!……………
Stendiamo una pietosa cappa, per evitare che esca quel residuo d’intelligenza sognatrice, che ha visto l’intelligente e capace popolino italico, soccombere all’atto pratico in diverse occasioni proposte dalla storia, non solo recente.
Io, in questi anni, oltre ad aver conosciuti giovani davvero capaci nel proprio lavoro, (gente che non ha avuta la raccomandazione per acquisire certe borse di studio, ma che è in grado di lavorare senza chiedere soldi a nessuno, genitori compresi), ho avuta la disgrazia di avere a che fare con studentelli che non sono stati neppure in grado di approntare i documenti che li avrebbero iscritti agli atenei poi di rado frequentati, e che oggi, alla mia quasi stessa età, si lamentano di dover mettere a frutto l’esperienza di camerieri e simili professioni, acquisita in quei posti dove, andati per studiare, tutto hanno fatto, tranne quanto appena detto.
Conosco gente laureata e plurilaureata, che disperata passeggia per il corso di Campobasso, o che è sparita dai piccoli borghi d’origine, per evitare di non poter uscire di casa, visto il “Successo” di certi progetti…
Conosco gente che, plurilaureata, si permette di additare chi scrive per qualche errore di ortografia, scappato nelle farneticazioni che ti ostini a leggere, ma nasconde la propria realtà, fatta di lavoretti saltuari, in grado di venir espletati da chi, cinquant’anni fa, ha dovuto, suo malgrado, ottemperare ad un progetto “Erasmus”, portato a termine a proprie spese e non a carico di enti che ora si lamentano di un fallimento che speriamo arrivi liberatorio, restituendo ad un lavoro non o mal eseguito, tanti e tanti impiegati della pubblica amministrazione, cui il deretano già fa Giacomo-Giacomo, per i giusti siluri sparati da chi, europeo per capacità, sta cercando di riportare, a colpi di rapine, l’Italia ad una vita meno sprecona e più seriamente in grado di essere vissuta.