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Presentata La II Indagine Di Cittadinanzattiva Sul Diabete

Di Jula Papa

Poca Prevenzione E Forti Differenze Regionali
Costi Privati A Carico Del Cittadino
Assistenza A Scuola Trascurata
Tecnologie E Farmaci Innovativi Ancora Poco Utilizzati
Il Testo Integrale Dell’Indagine E L’Abstract

Il 40% dei cittadini con diabete segnala la sospensione delle visite specialistiche anche per un anno a causa della pandemia, il 53% non è inserito in un PDTA specifico, oltre l’86% paga di tasca propria sensori e dispositivi di ultima generazione per il monitoraggio della patologia o per eseguire visite ed esami. Soltanto nel 6% delle scuole è prevista l’assistenza infermieristica, oltre il 13% delle famiglie reputa inadeguato il menù servito nelle mense scolastiche rispetto alle esigenze dietetiche dei piccoli pazienti e quasi la metà rinuncia ad utilizzarle. Ci sono forti differenze tra Nord e Sud del Paese, ci si ammala di più se si appartiene a fasce di popolazione più disagiate, meno se si risiede in una regione del Nord, come Trentino e Veneto che registrano il numero minore di persone con diabete. La mortalità è più elevata al Sud.

Sono alcuni dei dati della II Indagine civica sul diabete “Disuguaglianze, territorio, prevenzione, un percorso ancora lungo”, presentata oggi da Cittadinanzattiva con il contributo non condizionato di Medtronic Italia; la stessa fa riferimento a 7.096 questionari completati (6.743 da cittadini, persone con diabete o genitori di bambini o adolescenti con diabete, 353 da professionisti sanitari). Il 78% di chi ha risposto è affetto da diabete di tipo 2, il 18% da diabete di tipo 1, lo 0,3% da diabete gestazionale, il 2,5% da altre forme.

Dati di contesto. – In Italia le persone con diabete sono circa 3,4-4 milioni, quasi il 6% della popolazione. Si stima anche che 1-1,5 milioni di persone non sappia di avere il diabete e che altri 4 milioni siano a rischio di sviluppare la malattia. Le regioni con più elevata prevalenza di diabete sono la Calabria (8%), il Molise e la Sicilia (oltre il 7%) rispetto alla media italiana del 5,8%, mentre P.A. di Bolzano (3%), P.A. di Trento (4%) e Veneto (circa il 5%) presentano i valori migliori. Mortalità: per le regioni del Sud (4,48 per 10.000) e le Isole (4,26) è significativamente più elevata rispetto alle regioni del Centro (2,61) e del Nord (2,20). In Campania (5,53), Sicilia (4,93) e Calabria (4,43) i dati di mortalità per diabete più alti, in Lombardia (1,95) e P.A. di Bolzano e di Trento (1,60) quelli più bassi. Ancora oggi in Italia muoiono ogni anno più di 20.000 persone a causa del diabete.

“Investire sulla prevenzione, a cominciare dai corretti stili di vita, promuovere un accesso diffuso alle tecnologie, ridurre le differenze significative tra le Regioni che sono all’origine di disparità e disuguaglianze nell’accesso alle cure. Sono gli ambiti che i dati di questa indagine ci indicano come prioritari per i cittadini con diabete. La gestione delle persone con diabete dovrebbe diventare un esempio concreto del lavoro di riorganizzazione ed integrazione dei modelli di assistenza sul territorio di cui parliamo con insistenza da anni e che la pandemia ha mostrato in tutta la sua emergenza”, commenta Francesca Moccia, vice segretaria generale di Cittadinanzattiva. “Il Piano nazionale sulla malattia diabetica è ancora lì, a quasi dieci anni dalla sua approvazione, e le Regioni lo stanno attuando in ordine sparso e con modalità diverse. Un peccato, tanto più che il valore del Piano risiede soprattutto nella proposta di una impostazione comune su tutto il territorio nazionale, che dovrebbe contribuire ad assicurare maggiore omogeneità e garantire eguale diritto di accesso, qualità e sicurezza alle cure e all’assistenza alle persone con diabete. È il momento di rispolverare quel documento, riattualizzando e confermando con politiche concrete gli impegni assunti ormai quasi un decennio fa”.

Ottima rete di centri diabetologici, manca il raccordo fra medici di famiglia e specialisti. – Quasi la metà delle persone con diabete è in cura presso un centro specialistico dedicato solo al diabete, il 28% presso un reparto ospedaliero che si occupa anche di diabete, ma tre su quattro sono costretti a fare da raccordo fra i servizi di cure, infatti solo il 6% segnala l’esistenza di procedure formalizzate di coordinamento tra diabetologi e altri specialisti e medici di medicina generale o pediatri di libera scelta. Chi è inserito in un PDTA ne dà una valutazione positiva (64%), perché lo percepisce come una maggiore attenzione del servizio sanitario verso la persona con diabete (65%), dispone di più informazioni (43%), apprezza la maggiore organizzazione e continuità della presa in carico (73%), ha un maggior controllo della malattia (52%), nota un accesso più semplice a dispositivi e tecnologie per l’autocontrollo della glicemia (7%). In crescita la prenotazione di visite ed esami di controllo direttamente dal centro o ambulatorio presso il quale si è in cura (73%), mentre se ne occupa il cittadino attraverso il CUP regionale quasi nel 20% dei casi o il CUP dell’Azienda sanitaria (6%). La quasi totalità dei Centri diabetologici è aperta sei giorni a settimana per 38/40 ore, con apertura in alcune giornate anche nel pomeriggio oltre le 17,00. Quanto alla distanza dal luogo di residenza o di lavoro, le risposte oscillano tra i 3-5 km e i 100 km.

Costi privati: fino a 3mila euro l’anno a carico del cittadino. – L’86% segnala di pagare privatamente strisce reattive, lancette pungidito, gel glucosio convertito, cerotti e sensori per il monitoraggio della glicemia, perché non prescritti o forniti in numero insufficiente, o in ritardo, ed esami di laboratorio e visite specialistiche. Circa il 13% segnala una spesa di 100 euro l’anno, il 33% di 300 euro, il 6% di 450 euro, il 7% di 1.000 euro, il 19% di 1.500 euro, con punte sino a 3.000 euro. La spesa di maggior rilievo riguarda i sensori e i dispositivi per il monitoraggio in continuo della glicemia. Il 13% paga un ticket per i farmaci (da 1 a 2 euro per confezione), il 4% paga una differenza per ottenere il farmaco di marca anziché quello equivalente.

Curarsi in pandemia, cosa è cambiato. – Più della metà degli intervistati ha segnalato sospensioni dei servizi offerti da Centri o servizi diabetologici, per l’intero periodo del lockdown (6%) e da 6 mesi (13%) a un anno (13%). Il 46% dichiara aver utilizzato un Centro una sola volta nel 2020, il 28% si è recato invece presso un reparto ospedaliero che si occupa anche di diabete. Più accessibili gli ambulatori delle ASL (il 12% ha ottenuto da 3 a 5 appuntamenti). Sospensioni delle visite diabetologiche nel 40% dei casi, per periodi che variano da 4 mesi ad un anno: in due casi su tre l’interruzione si è protratta da 6 a 9 mesi.  In un terzo dei casi si segnala l’attivazione di controlli a distanza nelle fasi più dure della pandemia (tramite telefono, chat di messaggistica, collegamento web o piattaforme di telemedicina). Per il 58% dei pazienti queste modalità proseguono ancora oggi.

Scarso accesso ai farmaci innovativi e tecnologie per l’automonitoraggio della glicemia. – Oltre la metà degli intervistati segnala difficoltà ad ottenere terapie e/o dispositivi utili per la gestione della patologia. Il 90% degli intervistati segnala limiti nella prescrizione di strisce reattive, con marcate differenze tra Regione e Regione per quanto riguarda il tetto previsto per le differenti tipologie di pazienti: per i cittadini con diabete di tipo 1 si va dalle 25 strisce mensili garantite in Sicilia alle 250 di Abruzzo, Molise e Toscana, dove si arriva a garantirne 300 per i pazienti al di sotto dei 18 anni. Anche i pazienti con diabete di tipo 2 in terapia insulinica basale segnalano limiti mensili di 25 strisce nelle Marche, in Friuli-Venezia Giulia, Sicilia, Veneto, Trentino-Alto Adige.

Oltre il 53% utilizza software specifici per la gestione del diabete (+20% rispetto all’indagine precedente), ma solo il 28% utilizza i sensori per il monitoraggio continuo e il 10,7% dichiara di utilizzare microinfusori insulinici con sensore. Queste tecnologie pur essendo a carico del SSN in tutte le Regioni, prevedono molte limitazioni.

Insulina e farmaci orali si confermano le terapie più diffuse tra gli intervistati, prescritti nel 73% dei casi con piano terapeutico (il cui rinnovo è segnalato come burocratico, frammentato e con troppe autorizzazioni dal 20% degli intervistati). Poco prescritti ancora i farmaci appartenenti alle classi più innovative e soprattutto, con grandi differenze da Regione a Regione.

Poca attenzione per stili di vita ed educazione terapeutica. – Oltre la metà degli intervistati dichiara di non svolgere alcuna attività fisica con regolarità (era circa il 43% nell’indagine precedente). Più della metà di quanti non svolgono attività fisica con regolarità si concentra nella fascia di età tra 20 e 39 anni (14%) e tra 40 e 64 anni (42%).

Ha partecipato a corsi di formazione sulla gestione della terapia solo uno su cinque degli intervistati, su argomenti come l’autocontrollo della glicemia (83%), l’utilizzo dei nuovi dispositivi (circa il 71%), l’alimentazione (20%), la conta dei carboidrati (18%) e l’attività fisica (16%).

Bambini con diabete: poca l’assistenza nelle scuole, carente la formazione. – I genitori sono circa il 16% del totale dei partecipanti all’indagine: la maggior parte deve farsi carico della misurazione della glicemia e della somministrazione di insulina a scuola. Oltre la metà segnala la mancanza di formazione del personale scolastico, o che le informazioni sulla gestione delle ipoglicemie (72% dei casi) spesso sono fornite dagli stessi genitori. L’assistenza infermieristica per la somministrazione di insulina è presente solo nel 6% delle scuole. Per il 13% dei genitori la mensa scolastica è inadeguata per la gestione della patologia, mentre uno su tre sceglie di non usufruirne. Solo il 15% ha partecipato ad iniziative di informazione/formazione o eventi per la promozione dell’attività fisica a fini di prevenzione. Riferisce di aver ricevuto sostegno psicologico il 24% delle famiglie, in gran parte ad opera delle associazioni dei pazienti (63%), per il 19% attraverso i centri diabetologici o altre strutture delle ASL, e per il 17% ricorrendo a proprie spese ad uno psicologo privato.