Di Marco Frosali
Migrazione Al Sud: Terza Tappa
Martedì, 7 settembre. – Dopo qualche apprensione dovuta alla pioggia che ieri sera, al momento di andare a dormire era ancora presente, oggi la giornata sembra promettere bel tempo. Un rumore di fotocamera mi sveglia poco prima delle otto: forse il Rondone si è fatto ancora riconoscere!
Dopo aver fatta la colazione ed essermi sistemato, alle nove e un quarto io e il Rondone lasciamo il camping e imbocchiamo la SS585 fino allo svincolo di Lauria, dove ci dirigiamo per percorrere un tratto di autostrada da Lauria Sud a Lauria Nord per imboccare la SS653 Sinnica, un’arteria abbastanza scorrevole e molto panoramica
che costeggia appunto il fiume Sinni e il grosso invaso di Monte Cotugno, strada che percorriamo fino all’uscita di Valsinni
per inerpicarci fino al cucuzzolo di una collina rocciosa ed andare a visitare il particolare paese di Colobraro
il quale ha numerose leggende sul suo conto: innanzitutto il nome deriva dal latino Coluber (serpente) in quanto il borgo era infestato da serpenti e a giudicare dai massi a valle vorrei ben vedere! C’è poi una leggenda che narra di un lampadario rotto e altre particolari circostanze (streghe e magie) che valsero al paese l’appellativo di ‘paese porta sfortuna’. Sulla parte alta del paese c’è però un castelletto che io ed il Rondone cerchiamo di raggiungere percorrendo una stradina molto ripida e tortuosa non senza difficoltà, tanto che ad una curva mooolto a gomito e mooolto ripida, a momenti si cadeva entrambi: vuoi vedere che porta sfiga davvero? Nonostante tutto riusciamo ad arrivare nei pressi del castello che è anche aperto, in modo tale da poterlo visitare liberamente e così, posteggiato il Rondone sotto lo sguardo curioso di alcune vecchiette, mi appresto a visitarlo con un po’ di apprensione: come cavolo faremo a scendere da quella stradina al ritorno?
Ovviamente anche il castello ha una leggenda legata alla presenza di un fantasma di un bambino piuttosto dispettoso, chiamato U’ Monachicchio! Dalla terrazza scoperta del Castello di Colobraro, data la posizione molto in alto, si gode di una vista bellissima sia sulla Val Sinni che sul paese stesso.
Terminata questa breve e interessante visita, vado dal Rondone pensando a come scendere a valle, ma la presenza di una delle due vecchiette di prima mi convince a chiedere se ci fosse una strada alternativa. La signora, con un dialetto molto simile al nostro mi conferma che la strada c’è ed è sempre un po’ stretta e ripida, indicandomela. Facendo attenzione, io e il Rondone scendiamo a valle attraverso gli stretti vicoletti dove potrebbe transitare solo una Panda o una Cinquecento, rischiando di passare anche sotto la scala di un elettricista che stava effettuando dei lavori! Nonostante gli ostacoli arriviamo comunque alla piazza principale, dove mi fermo al baretto locale per dissetarmi un po’,
prima di ripartire scendendo a valle, sempre affrontando pendenze superiori al dieci percento e ricollegandoci così con la SS Sinnica.
Usciti all’altezza di Tursi, io e il Rondone percorriamo strade poco frequentate che attraversano paesaggi tipici del sud, come campi di grano ormai trebbiati, cespugli secchi e arbusti con bacche, fichi d’india e masserie abbandonate che mi fanno venire in mente la canzone di Rino Gaetano “A me ad esempio piace il Sud” che mi ha accompagnato come colonna sonora ‘mentale’ per gran parte di questo viaggio.
Piano piano giungiamo anche alla seconda tappa di giornata, il borgo fantasma di Craco,
il cui spopolamento inizia dai primi anni sessanta fino agli anni ottanta, a causa delle numerose frane e smottamenti dovuti alla particolare conformazione del terreno, come testimoniano i numerosi calanchi scavati dall’erosione dell’acqua piovana presenti nella zona.
Posteggio il Rondone nei pressi del Polo museale vicino la Chiesa di San Pietro
e mi informo chiedendo agli addetti alle informazioni turistiche se fosse possibile visitare Craco e se c’è bisogno di fare il biglietto, ma con dispiacere apprendo che le visite all’interno del paese sono temporaneamente sospese a causa del pericolo di crolli che mettono a repentaglio l’incolumità dei visitatori, come visibile anche dal video che testimonia come qui tutto si sia fermato al momento dell’abbandono. Peccato davvero, mi sono dovuto accontentare di fare le foto dall’esterno e così come me, anche un gruppetto di turisti Polacchi!.
E’ mezzogiorno e mezzo e come al solito, il cielo inizia a diventare abbastanza nuvoloso. Così, per non rovinare il resto del giro, io e il Rondone riprendiamo il cammino sempre attraversando paesaggi aridi
e sbagliando un uscita della Basentana passiamo dalla (per me) mitologica Ferrandina (mi ricordo una trasferta del Campobasso di circa vent’anni fa in serie “D”, partita giocata in un campo in terra battuta dentro ad una specie di dirupo!).
Ricongiunti alla Basentana, io e il Rondone usciamo all’altezza di Accettura/Campomaggiore e iniziamo a salire verso le spettacolari Dolomiti Lucane,
raggiungendo il borgo di Pietrapertosa,
incastonato nelle rocce della montagna e famoso per il ‘Volo dell’Angelo’ nel quale giustappunto si vola sospesi a dei cavi d’acciaio verso la dirimpettaia Castelmezzano.
Parcheggiato il Rondone, vado subito a rifocillarmi presso il vicino baretto dove acquisto un gustoso panino con speck e mozzarella locali,
dopo di che mi fiondo nel piccolo centro dominato dalle rocce!.
Passando davanti ad una casa ‘particolare’ di cui nessuno ricorda bene il numero civico visto che il proprietario lo ha scritto più volte e in tutti i modi,
arrivo al sentiero che porta al Castello sulla cima della roccia. Sbuffando e sudando, inizio a percorrere quelle pendenze esagerate (a quanto pare, in Basilicata ci vanno pesanti con le pendenze!).
Un’arzilla signora che stava discendendo a valle mi da una bella notizia: il castello è chiuso, per cui tiro una foto da metà strada e torno indietro, rischiando di cappottarmi almeno in un paio di circostanze! Ma una ringhiera per aggrapparsi no? Fatta un’altra scarpinata per raggiungere le poste (rigorosamente nella parte più bassa del paese, dove altro sennò?) vado a recuperare il Rondone e passando nei pressi di un’altro sentiero per salire al castello,
sotto i cavi del famoso volo dell’Angelo,
andiamo a riprendere la SS 407 Basentana per recarci verso l’ultima tappa di giornata che avevo dimenticato di segnare sul mio percorso, ma dato che non è complicato raggiungerla ci dirigiamo lì per un blitz fotografico ai Palmenti di Pietragalla, delle particolari strutture risalenti al diciannovesimo secolo, nelle quali avveniva la pigiatura dell’uva e la fermentazione del mosto, strutture che sembrano delle casette tipo quella dei Flintstones!
Sono ormai le diciassette e un quarto e, mancando ancora centocinquanta chilometri al campeggio, io e il Rondone ci affrettiamo a rientrare potendo contare su strade sulle quali il limite è di novanta chilometri orari, oltre all’autostrada che prendiamo ad Atena Lucana e che raggiungiamo passando da Brienza, dove ho scattato un paio di foto al locale castello.
Lungo la strada del ritorno, noto che questa è piuttosto umida: probabilmente la pioggia che si preannunciava prima a Craco e poi a Ferrandina si è spostata verso il mare. Difatti, giunti al campeggio dopo ben quattrocentoquarantaquattro chilometri, troviamo la strada completamente bagnata così come la tenda, ma il tramonto con quelle nuvolacce è veramente bello da vedere con i suoi colori!
Peccato per il tempo e per essere rientrati tardi perchè un bel bagnetto in questo mare me lo sarei fatto molto volentieri.
Faccio rapidamente una doccia e mi fiondo al ristorante dove stasera mi butto sul pesce: ricco antipasto e abbondante impepata di cozze, accompagnando il tutto con un buon vino bianco e terminando con un ottimo Brancamenta come digestivo, il tutto a ventotto euri!
Dopo la sigla della baby dance e un piccolo spettacolo improvvisato dagli animatori (stasera il tempo lo permetteva) vado a dormire in vista della tappa di domani.