Di Ouday Ramadan
IL RAZZISTA: Io, Lui Oppure Lei?
Vi voglio raccontare due episodi avvenuti nel terzo millennio. Per trent’anni, e fino al 2010, sono stato molto impegnato in un movimento di lotta per il diritto alla casa. La nostra era una lotta sfegatata contro ogni forma di sfruttamento. In 30 anni ho assistito a tantissimi episodi di vita istituzionale, politica, culturale e sociale.
A capo della nostra associazione di volontari c’era un Compagno valido, di tutto rispetto, il quale aveva un solo difetto fisico-strategico: era troskista. Tuttavia adoperava metodi stalinisti, che personalmente adoro.
La nostra organizzazione operava in Italia, su tutto il territorio nazionale. Noi volontari dell’area pisana eravamo considerati da tutti dei sovversivi, e bollati con varie etichette, tipo “nazi-rossi”, “stalino-comunisti”, e altre ancora. Tali appellativi erano stati meritatamente guadagnati sul campo. Rompevamo le uova nel paniere a destra e a manca. Cominciammo inveendo contro le riforme bertonottiane, e finimmo con l’uscita da Rifondazione Comunista. Lo stalinista vice capo degli eversivi pisani ero io, talmente eversivo e dalla mente contorta, che non esitavo ad adoperare i banchi del Consiglio Comunale per lanciare attacchi, critiche, e talvolta anche qualcos’altro, nei confronti di una Sinistra che ha creato, negli anni, tantissimi carrozzoni mangia soldi, ma non ha mai condotto politiche sociali reali in favore dei ceti deboli, né ha mai adottato misure per tentare di ridurre la povertà che si stava diffondendo a macchia d’olio sul territorio comunale. Ma questa è un’altra storia.
Arrivo al primo episodio. – La signora Carmela, un giorno si presenta nel mio ufficio, presso l’associazione. Racconta di essere stata cacciata di casa dal padre, e pretende l’assegnazione della casa popolare, come soluzione ai suoi problemi abitativi. Con cortesia, le premetto che non sono io ad assegnare le case popolari, e le dico che esistono delle procedure e dei regolamenti per l’assegnazione. Ad esempio, si deve avere in mano l’ingiunzione di sfratto, “sentenziata” quindi da un Tribunale, e altre cose che non sto qui a dire. Quello che tentavo, gentilmente, di far capire alla signora, erano le regole per entrare nella graduatoria delle case popolari, sottolineando il fatto che io ero un volontario che poteva aiutarla a compilare la domanda nel modo ottimale, ma che appunto, come già premesso, non ero io ad assegnare le case popolari. La signora però era come sorda alle mie parole e non aveva idea di come io mi chiamassi: non poteva quindi sapere le mie origini.
Ad un certo punto la signora comincia ad inveire contro di me , dicendo “Fate proprio schifo, date le case agli stranieri e noi italiani rimaniamo a bocca asciutta” e poi giù una serie di insulti e parolacce nei confronti degli stranieri, che vi risparmio. Mi sono alzato e l’ho accompagnata alla porta, dicendole di non tornare più nel mio ufficio.
Ed ecco il secondo episodio, avvenuto sempre nell’ambito del volontariato. – Ricevo, questa volta e sempre nello stesso contesto, una coppia di nordafricani. Lei è tutta velata, obesa tanto che sarà pesata almeno un quintale e mezzo e con due bambini in braccio. Lui, dal fisico molto asciutto, ha vistosi occhiali Ray Ban sugli occhi, ed ha in mano un pacchetto di Marlboro e l’immancabile accendino di marca zip. Nell’altra mano regge l’ingiunzione di sfratto esecutivo, previsto per l’indomani. Si rivolge a me dicendo: “Io avere sfratto, tu dare casa popolare a me, io avere diritto”. Io, sempre con gentilezza, ripeto tutta la solita manfrina sui regolamenti, le procedure, sul fatto che io sono un volontario e che non assegno io le case popolari, ecc… Gli dico poi che per quanto riguarda lo sfratto esecutivo, avrebbe dovuto presentarsi prima, in quanto quel documento era nelle sue mani da almeno tre mesi, e che era impossibile aiutarlo così all’ultimo momento, un giorno prima dello sfratto. Aggiungo infine anche che l’unica cosa che posso fare è presentarmi il giorno dopo sotto casa sua, e fare un picchetto di fronte alle Forze dell’ordine, nella speranza che non ci manganellino, prima me e poi lui. Lui, come la signora Carmela, non aveva idea né di come mi chiamassi, né delle mie origini. Non sospettava quindi che io capissi l’arabo dialettale che parlava, dialetto col quale, ad un certo punto, si rivolge alla moglie, dicendole: “Questo faccia di culo di italiano dice che non ci dà la casa popolare”. La moglie che si dava tante arie di osservante religiosa, di docile e perfetta mogliettina, pudica col suo bel velo, risponde, sempre in arabo dialettale al marito: “Ma a questo finocchio di italiano, cosa gli costa darci una casa?” A quel punto mi alzo dalla sedia, prendo l’ometto per il bavero e in arabo gli dico: “tu e questo sacco di spazzatura che ti sei portato dietro, uscite da questo ufficio e non metteteci più piede “.
Sono trascorsi 21 anni e ancora non ho capito chi sia il razzista: la signora Carmela, l’ometto nordafricano oppure io.
Lascio a voi la risposta.