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Ricordi Di Un Viaggio

Di Vittorio Venditti

Per Scaramanzia
Argentina Batte Brasile In Casa Del Brasile E Vince La Coppa D’America
Italia Batte Inghilterra In Casa Dell’Inghilterra E Porta A Casa Il Campionato Europeo
Assembramenti? Se A Settecento Euro Pro Capite Sono Autorizzati, Legittimi Anche Gratuitamente Per Tifare Italia
Dovendo Comunque Morire: Meglio Raggiungere L’Obiettivo Con Soddisfazione E Vincenti

Esattamente nove anni fa, da blogger ed in maniera completamente diversa in fatto di editazione, scrissi i Ricordi Di Un Viaggio che trent’anni prima mi aveva regalato un miracolo, ma soprattutto aveva raccontata un’avventura nell’avventura, consistente nell’aver dovuto tradurre dallo spagnolo all’italiano a beneficio dei miei compagni di viaggio giustappunto, una partita, anzi, la Partita che avrebbe decretata la vincita del terzo mondiale per la nazionale di calcio italiana. Oggi, solo per scaramanzia, dopo aver riletto lo scritto cliccabile sopra in originale ed avervi aggiunta qualche ovvia e si spera comprensibile nota di redazione, lo ripropongo, sperando di assistere da spettatore e non traduttore, alla conquista della perfida Albione, senza guerra, ma mediante una partita leale e non rubata come accaduto ai nostri avversari mercoledì scorso, quando gli stessi si sono aperte in maniera non proprio sportiva a danno della Danimarca, le porte per cercar di far bella figura in casa loro stasera.

Buona Lettura.

A Trentanove Anni Di Distanza

Prefazione. – Oggi si compiono gli esatti trent’anni dal giorno in cui la nazionale italiana di calcio ha vinto il campionato mondiale disputato in Spagna, per me invece, si compiono i trent’anni dall’arrivo a Lourdes, dove, guarda tu alle volte il caso, mi sono trovato al centro dell’attenzione anche per merito di quella memorabile partita. Quanto racconterò, oltre al ricordo, conterrà la mia personale convinzione sul Miracolo ricevuto dalla Madonna, al di là di ciò che possa pensare la chiesa cattolica, il cui parere, sinceramente mi scivola come il miglior olio lubrificante, considerati anche gli ultimi episodi che mi hanno visto in contrapposizione alla sezione locale di tale partito. Le foto che ti mostro, mi sono state fornite dal mio valente collaboratore, il giornalista Stefano Venditti, ed ovviamente sono state tratte dalla Rete, visto che: 1°: All’epoca, non avevo una macchina fotografica; 2°: Non esistevano macchine fotografiche digitali, perché non esisteva, (credo di poter dire: a livello civile), ancora il formato digitale. Il mio, non vuol’essere un racconto da utilizzare per avvicinare alla Fede chi che sia, (soprattutto perché quella Fede, nel frattempo è andata persa a seguito di ovvi motivi, NDR), è solo un diario differito di personali ricordi, riletti e pubblicati dopo tanti anni, utilizzabile da te che mi leggi esclusivamente per passare un po’ di tempo, spero in maniera piacevole.

Lo Strano Segno. – Era l’otto dicembre millenovecento ottant’uno. Il mondo comunista cominciava a traballare, ma nello stesso tempo provava a difendersi con inutili colpi di coda, predisposti dall’allora governo polacco, comunque ben orchestrati per evitare una nuova Praga. La notte precedente, forse ancora suggestionato dall’esperienza che avevo vissuto qualche giorno prima durante l’incontro ravvicinato con Papa Giovanni Paolo II, considerato che allora non bevevo ne birra ne altre sostanze del genere, ne avevo mangiato pesante la sera prima, (i collegi, in questo senso erano allora più che spartani), fatto sta che sognai la Madonna, proprio secondo la figura che ho sulla mia scrivania, (statuetta che mi fu donata nel dicembre millenovecento settantuno, quando, con la maestra e gli altri compagni di collegio, fummo ricevuti presso la radio vaticana, per registrare uno di quei programmi che mettevano in mostra i problemi dei bambini portatori d’handicap, (cosa che ai nostri giorni non accade più…), quella stessa figura che si vede presso la grotta di Massabielle. Al risveglio, sinceramente diedi poco peso alla cosa, pensando più volentieri al fatto che di lì a poco, vista la giornata festiva, avrei incontrata chi allora mi voleva bene, non prima però di essere andato a Messa, ciò, non certo a seguito di quanto avvenuto la notte appena trascorsa, ma più meschinamente per evitare di dover attirare l’attenzione su di me e su ciò che stavo per fare, per poi spiegare agli assistenti di collegio, cose che era meglio far restare segrete. Per inciso: Il rischio di essere scoperto, lo avevo già subito un paio di settimane prima, quando, (ed era cosa più che rara per me), venne a trovarmi un gambatesano che ora è nel mondo della verità, e per poco, ma veramente per poco, rischiai di non essere in sede, con i successivi e relativi “Annessi e connessi”. Come Dio ha voluto, alle dieci circa, riuscii ad evadere (nel vero senso della parola) e incontrato il mio Amore, dopo l’adeguato saluto, incominciammo a parlare del più e del meno. In quel frangente, non so bene il perché, mi lasciai scappare quanto si riferiva al sogno, quasi con una puntina di fastidio, pensando:
“Questa, adesso mi prenderà in giro a suo modo!” e cose simili. Al sentire il mio breve racconto, lei mi disse solo: “Se l’hai sognata, vuol dire che è vero, allora tu ci vai!”. Chiudemmo lì il discorso, anche perché a quindici anni, tutto hai voglia di fare, ma certo non ti va di discutere con la tua fidanzata dei massimi sistemi. Il successivo periodo, per ragioni che esulano dal tema, vide per me tutta una serie di cambiamenti radicali, fra i quali il mio lasciare tutto ciò che riguardasse la mia vita romana, per trasferirmi, armi e bagagli, a Gambatesa (paese natio) ed iniziare a vivere in un posto che fino ad allora conoscevo quasi di sfuggita, solo per il fatto di venirci in vacanza. Nel febbraio del millenovecento ottantadue, arrivò anche a Campobasso il musical di Michele Paulicelli “Forza Venite Gente”. Con gli allora amici dell’Azione Cattolica, si decise di andarlo a vedere e lì, incontrai suor Giuseppina, (appartenente al Convento delle Immacolatine di viale Elena, sempre in Campobasso), che per varie ragioni mi conosceva. Questa, nel parlare del più e del meno, con naturalezza mi chiese: “Ma tu, sei mai stato a Lourdes?” Ed io di rimando: “No, ma prima di tutto non ho soldi per andarci e poi, che dovrei andare a fare! Ma davvero credi che mi possa accadere qualcosa di buono con la fortuna che mi ritrovo?”. Lei, con un fare rassicurante, mi chiese d’incontrarci il giorno successivo, visto che nel parlare le avevo confidato che sarei tornato a Campobasso con mia madre e ci saremmo potuti incontrare prima dell’inizio della scuola. Il giorno dopo c’incontrammo come previsto e suor Giuseppina, senza tanti preamboli, mi disse che se avessi voluto, avrei potuto fare il mio viaggio a Lourdes gratuitamente, mentre per mia madre che mi avrebbe dovuto accompagnare, ci sarebbero volute centotrentamila lire, somma, in verità, pesante per la mia famiglia, ma che venne fuori, nonostante qualche problema.

Il Viaggio Verso La Meta. – Giunse dunque il periodo propizio per partire. Due o tre settimane prima, comunque, a fine anno scolastico, in una delle solite riunioni che vedevano impegnato il gruppo dei giovanissimi dell’Azione Cattolica gambatesana, visto che tutti sapevano della mia imminente “avventura”, si discusse della cosa e Don Peppino, credo a nome di tutti mi chiese: “Che hai da dire?” A me venne solo una risposta istintiva: “Pregate per me”. Al che Don Peppino disse: “Tu vai a Lourdes e vuoi che noi preghiamo per te? Dovrebbe essere l’esatto contrario!”… Così, continuò una discussione che vedeva contrapposto un sedicenne al proprio Parroco che allora aveva l’età che mi vede presente in questi giorni, forse con un’esperienza diversa da quella del Quarantenne Don Peppino, ma più o meno con quegli anni sulle spalle. Sabato dieci luglio, in una mattinata che prometteva caldo, caldo e caldo, arrivammo alla stazione ferroviaria di Campobasso. Il treno dell’unitalsi, era talmente lungo, che mi venne da esclamare: “Ma lo dobbiamo anche spingere per l’avvio?”. Aveva un’infinità di vagoni e due locomotori a gasolio in testa, che avrebbero dovuto tirarlo fino alla stazione di Vairano (BN). Partimmo alle otto, e mentre il treno si avviava, a me venivano in mente le immagini che in tanti film, mostrano le partenze dei treni piombati, verso i campi di concentramento tedeschi. Su quel treno, grazie a Dio, non erano ammassati prigionieri in carri bestiame, ma pellegrini, ognuno con la propria Croce, diretti verso una bella Meta, ma pur sempre stipati in un veicolo non degno della dignità umana. Le carrozze infatti, non avevano aria condizionata, non albergava in esse il massimo della pulizia, (nel portacenere di bordo trovai un biglietto delle ferrovie lombarde), e quello che avremmo passato durante i due giorni di viaggio, l’avrebbe detta lunga sui sacrifici che si devono fare per raggiungere il Paradiso. Il nostro scompartimento, oltre a me e mia madre, ospitava due coppie, con le quali, di lì a qualche minuto, avremmo fatta amicizia, per restare uniti durante tutto il soggiorno presso la città sui Pirenei. Giovanna, era moglie di un maresciallo dei carabinieri, e veniva a Lourdes in compagnia del figlio Giuseppe, un ragazzo fortemente ritardato e con altri problemi.
Di Teresa invece, non ricordo la professione, ma ricordo che era una persona molto dolce, che faceva questo viaggio in compagnia della sua seconda figlia, Claudia, se vogliamo, ancora più inguaiata di Giuseppe, tanto che qualche anno dopo il viaggio in tema, fu “graziata” e presa dalla Madonna con sé in Paradiso. Da dire, e l’ho saputo in quel frangente, che di Teresa conoscevo già la prima figlia, Pina, che frequentava la mia stessa scuola, anche se un anno avanti rispetto a me. Sul treno c’era un mondo a sé stante; c’era il ricco, il povero, l’acculturato e l’ignorante, tutti però uniti in un abbraccio fraterno, in vista della Meta da raggiungere. Fu bello vedere che persone della cosiddetta Campobasso Bene, si mischiavano tranquillamente a noi popolani, stranamente, senza mai salire sul piedistallo. Viaggiavano con noi anche un paio di politici del tempo, uno dei quali appartenente ad un partito che non si poteva definire certo vicino alla religione; anche questi, sembravano normali. C’era il Vescovo, Monsignor Pietro Santoro, che ci chiese di chiamarlo solo Don Pietro, con il quale, durante il viaggio, ebbi l’onore, (perché veramente di onore si trattò), di discutere, secondo quanto era permesso alla scarsa intelligenza di un ragazzo che si affacciava alla vita, ma che non la conosceva ancora bene. Con Sua Eccellenza, c’erano altri sacerdoti, Don Armando, Don Giovanni Battista ecc., che insieme a Don Pietro, diressero le preghiere durante il viaggio e per tutta la settimana di soggiorno. Il treno si avviò, come detto, alle otto in punto, e subito cominciammo a recitare il primo degl’innumerevoli Rosari che unitamente a diverse messe, ci accompagnarono, specialmente durante il viaggio d’andata. Il treno si avviò, ma non prendeva velocità, per cui mi ricordai della precedente esclamazione, e cominciai seriamente a pregare la Madonna, fiducioso comunque del fatto che avendomi chiamato, lei mi avrebbe fatto arrivare a destinazione. Strada facendo, il treno continuò ad accogliere i pellegrini che risiedevano lungo il tragitto, ciò fino a Venafro, dove arrivammo verso mezzogiorno. Ti sembrerà strano, ma è tutto vero. Si andava così lenti, perché le ferrovie molisane non potevano ospitare convogli di così grossa capacità, per cui, o si andava lenti o si deragliava. Nulla a che vedere con le ferrovie di oggi!… Verso le due, arrivati a Vairano, sotto un sole cocente, cominciai a chiedermi quando avremmo mangiato. Da dire che nell’organizzare il viaggio, ci fu detto di non portare da mangiare, visto che i cibo ci sarebbe stato fornito sul treno. Mai ubbidire quando si parla di sopravvivenza! Fra l’altro, il fesso che ti sta tediando, non facendo tesoro di quanto sta scrivendo, ha ricevuto un bidone non troppo dissimile qualche anno dopo, in altra disavventura che nulla ha a che vedere con questo racconto. Tornando a bomba, il cibo non arrivò, ma tutti pensammo che forse i rifornimenti sarebbero stati caricati a Roma, dove comunque sarebbe stato collegato al treno il vagone cappella, in cui si sarebbe poi celebrata la Messa. Alle cinque del pomeriggio, come Dio ha voluto, arrivammo a Roma Tiburtina. Lì, ma non potevo darlo a vedere, (mi sarebbe costato troppo in spiegazioni), mi venne quasi da piangere, ricordando ciò che da pochi mesi avevo lasciato. Il treno si fermò e fu agganciato il vagone cappella, oltre ad un altro paio di locomotori, più potenti ed alimentati a corrente. Pensai: “sta a vedere che finalmente si cammina!”. In effetti si notò subito un radicale cambiamento; almeno si potevano tenere aperti i finestrini per far circolare un po’ d’aria! Da Campobasso a Roma,(seppi in seguito), il treno aveva viaggiato a quindici – venti chilometri orari, ora finalmente, si cominciava a parlare di una velocità accettabile, che avviava il convoglio verso il litorale tirrenico. Mancava qualcosa? Sì, da mangiare e a questo punto anche da bere. Iniziava anche l’impazienza dei numerosi bambini, o di coloro che per varie ragioni, erano impossibilitati a connettere e ragionare, e si registravano le prime lamentele. Le Dame ed i barellieri, (fra questi ultimi ebbi il piacere di conoscere Amedeo, poi medico in vista della Campobasso bene), cercarono di tranquillizzare un po’ tutti, dicendo quella che si sarebbe dimostrata in seguito una piccola bugia: “C’è stato un disguido che capita nelle migliori famiglie, ma il problema si risolverà a Viareggio, dove finalmente tutti potremo mangiare qualcosa; prendiamo questo problema, come una prova a cui la Madonna ci sta sottoponendo, per vedere fino a che punto sappiamo essere pazienti”. Da dire che pur essendo su un treno, eravamo tutti nella stessa barca, vescovo incluso. Alle otto pomeridiane di un sabato caldo ancora a quell’ora, arrivammo alla stazione di Viareggio, e ci fermammo proprio su quei binari che qualche hanno fa sono saltati in aria, provocando la tragedia tristemente in cronaca. Furono cambiati ancora una volta i locomotori, non fu permesso a nessuno di scendere e dopo mezz’ora il treno ripartì, ovviamente senza i viveri. A quel punto, perdonami, ma riaffioravano in me i ricordi delle immagini relative ai treni in partenza per la Germania durante la seconda guerra mondiale, forse per le allucinazioni derivanti dal fatto che ero digiuno dalla sera prima. Erano circa le dieci, quando arrivammo a Genova, per ripartire dopo una breve sosta. A Genova, ci fu detto di preparare le carte d’identità, perché probabilmente a Ventimiglia la dogana le avrebbe richieste per controllo. Io pensai di richiedere alla dogana qualcosa da mangiare, ma arrivati dopo la mezzanotte a Ventimiglia, il treno si fermò, senza che nessuno salisse a bordo. Fra Genova, Savona e Ventimiglia, il treno passò su una ferrovia che se a destra presentava un muro quasi verticale, alternato a campi coltivati per lo più a fiori, a sinistra mostrava un mare limpido su cui navigavano belle barche e navi, che io non vedevo, ma che lasciarono un bel ricordo a chi ebbe la fortuna di poterle osservare, mia madre in primis. Passata la frontiera, furono sostituiti ancora una volta i locomotori, e lì s’incominciò a vedere veramente la differenza fra le ferrovie italiane e quelle francesi. Oltre ai mezzi, fu sostituito anche il personale viaggiante, i cui macchinisti avviando il convoglio attaccarono una corsa che sembrava di stare su una pista di formula uno. Fummo costretti a chiudere i finestrini perché il vento che rientrava era troppo. Arrivammo prima a Nice Ville, che poi in italiano sarebbe Nizza, (dov’erano ancora visibili i danni fatti dai viticoltori francesi qualche tempo prima, stanchi di ricevere la concorrenza del vino italiano, a più basso prezzo), e poi a Marsiglia, dove il nostro treno fu accolto dall’annuncio di una speakerine, che avrei desiderato incontrare di persona per ben altre ragioni. In quel frangente, mi incominciò a tornare la voglia di avere il Baracchino, Quella radio ricetrasmittente che fino a quand’ero a Roma avevo, quel dispositivo quasi sconosciuto a Gambatesa, se non si considera Vincenzo Iadarola (massarott), che ne possedeva uno e che lo utilizzava con il QRZ di Corsaro Nero, quell’apparato che qualche mese dopo il viaggio che ti sto raccontando, (era il giorno di San Francesco), ricomprai e ancora oggi, mi accompagna nella vita, quel baracchino che tante soddisfazioni mi ha date e mi continua a dare, a prezzo però di tanti problemi contingenti, non ultimo quello derivato dal mio emanciparmi dal controllo che una fazione di gambatesani pretendeva e tutt’oggi pretenderebbe di avere sulla mia persona, e sul mio modo di far politica. Avrei voluto avere il Baracchino, per poter contattare chiunque trovassi per strada, anche perché, dalla mattina precedente, su quel treno, a parte non mangiare ne bere, non si era fatto altro che pregare, cosa giusta per quel viaggio, ma sinceramente seccante, se aggiunta al risentimento che serpeggiava fra i pellegrini, verso gli organizzatori del convoglio, dovuto proprio alla mancanza di generi di conforto. La domenica mattina, mentre il treno si avvicinava alla Francia centromeridionale, lasciando la costa Azzurra, ovviamente non poté mancare la Messa, che noi ascoltammo con la rassegnazione per non aver mangiato, e la speranza di arrivare presto a destinazione, proprio per compiere quel gesto che ci era stato negato durante tutto il tragitto. Oltre a diverse altre stazioni, in cui il convoglio rallentava, passammo Tolosa fermandoci e alla ripartenza sentii che il treno incominciava a salire, rallentando un po’, ma andando sempre veloce, se si considera la tratta italiana, e non parlo di quella parte che da Campobasso ci ha portati a Vairano e poi a Roma. Pensai e dissi: “Finalmente i Pirenei, siamo quasi arrivati”. All’una e ventinove pomeridiane di domenica undici luglio millenovecento ottantadue: Lourdes. Il viaggio era finito, e i prigionieri, pardon! I pellegrini, potevano scendere e sgranchirsi un po’ le gambe, sui marciapiedi di una stazione che si vedeva lontano un miglio, era costruita con tutti i crismi, e soprattutto senza nulla di sacro, ma tutto, veramente tutto di commerciale.

Il Primo Incontro Con La Madonna. – Scesi dal treno, fummo divisi in gruppi ed inviati non nei forni crematori, ma ognuno verso il proprio albergo, per acquartierarci. Io e mia madre, fummo destinati all’ospedale “Salus Infirmorum”, una struttura che più che un ospedale, assomigliava ad un più rassicurante alberghetto, luogo pulito e semplice che mi piacque subito. Arrivati in questo posto ed espletate le varie vicissitudini burocratiche, (che ad un certo punto mi fecero anche arrabbiare), finalmente in camera, e posate le valigie, io, avrei voluto mangiare, ma arrivati là dove ci era stato comandato di tornare per “espletare le ultime formalità”, fummo avvertiti che la cena era per le otto, e che potevamo uscire per fare un primo giro di perlustrazione della zona. Il bidone continuava? Ci riunimmo ai nostri compagni di scompartimento, e decidemmo per prima cosa di andare presso la grotta di Massabielle a trovare la Madonna, finora solo nei nostri pensieri, almeno per ringraziarla di averci permesso di arrivare indenni a destinazione, affamati, assetati, ma sani e salvi. Un cielo nebuloso, un clima umido che ci accompagnò per tutta la settimana, ci accolse, mettendomi addosso quella malinconia, tipica di giornate ugiose anche in Italia. Nel gruppo, l’unico che masticava un po’ di francese ero io, ma va detto che la gente del luogo, ormai abituata, conosceva lingua ed esigenze di noi italiani, e più di qualcuno già dal primo momento ci guardò con sospetto, quel sospetto proposto forse per lavoro, non certo per religione,, (almeno spero) che ci veniva rivolto da chi, di seguito, si dimostrò essere più ladro di noi. Le strade erano pulite, ma costellate di una miriade di negozi di souvenir, dal più economico al più costoso, negozi che pur essendo attigui l’uno all’altro, avevano alla cassa sempre una commessa di bella presenza, mai libera per una parola, perché impegnata continuamente ad incassare o a cambiare il danaro dei pellegrini, con l’allora franco francese, con l’ovvia “commissione” a carico del viandante. In uno di questi negozietti, lavorava una ragazza poco più grande di me, che poi mi si presentò come Emilie, con la quale feci amicizia, vista la mia capacità di calcolare la conversione delle monete, cosa a lei ostica. Altri esercizi, avevano modalità diverse per mungere il pellegrino medio, quello gestito dalla mia nuova conoscenza, aveva una particolarità che mi faceva sorridere, ma nello stesso tempo mi permetteva di ammirare chi, una “formula commerciale” del genere, aveva ideata. Si trattava di vendere ogni oggetto ad un prezzo leggermente superiore, per poi, far vedere di offrire un piccolo omaggio, a dire della nostra ragazza, senza che il padrone del negozio se ne accorgesse. Peccato che la nostra venditrice ed il titolare dell’esercizio in questione fossero la stessa persona. Tornando brevemente ai giorni nostri, mi vengono in mente due brevi riflessioni: 1°: Ma è solo coincidenza, o per avere la capacità di abbindolare il Prossimo, chi è in grado di farlo, deve soddisfare anche la condizione di avere uno, e solo quel, nome di battesimo? 2°: Visto il nome di battesimo in questione, ed il luogo in cui eravamo arrivati, politicamente importante, ma più incline a quella parte di Gambatesa che si occupa di religione, che sarebbe successo o che accadrebbe in caso d’inciucio? Tremo al solo pensiero! A parte gli scherzi e tornando a bomba, accettammo il gioco, ma poi, in un francese che la mia nuova “amica” mostrò di apprezzare, (se non altro, almeno per lusingarmi), chiesi alla Nostra d’indicarmi come arrivare alla grotta di Massabielle. La cosa ci fece scoppiare a ridere, visto che Emilie, per spiegarci quale strada percorrere, lo fece in un italiano che lei parlava meglio di noi tutti. Ci salutammo, con il proposito di rivederci il giorno successivo, (cosa che avvenne più volte durante l’intera settimana), e con il mio gruppetto c’incamminammo verso la grotta.

Madonna Di Lourdes

Lì, arrivammo verso le sei pomeridiane, quando la Messa, (una delle tante giornaliere), era appena finita.
Mi trovai di fronte al formato originale della piccola statua che avevo ed ho ancora a casa, e sinceramente, la cosa quasi non mi toccò. Dopo qualche minuto però, ebbi una stranissima sensazione. Ero quasi preso dalla noia, oltreché dalla stanchezza per un viaggio durato ventinove ore e mezza ed una fame ad esso associata, quando sentii quasi che mi mancasse l’aria. M’inginocchiai sulla terra nuda, così, come fecero i miei compagni e mi assalì uno strano pensiero, sintetizzabile con una frase che potrebbe suonare pressappoco così: “Tu pensi di essere arrivato; in realtà, è in questo momento che inizia il tuo viaggio”. Ebbi quasi paura, ma non dissi niente, visto che già dalla partenza del treno, in parecchi ci ammorbavano con il loro desiderio di miracolo da ricevere. Personalmente, i segni che oggi ricordo e che oggi mi danno da pensare, allora li vivevo quasi con fastidio, tanto da evitare di raccontarli, anche agli allora amici più stretti. Da quando ho cominciato a non essere più “innocente”, molte cose della mia vita, ho evitato di raccontarle perché ho sempre ritenuto che scoprirsi completamente, fosse una forma di debolezza, e tante volte ho avuta la massima ragione; parlare di quei segni invece, mi dava un senso di vergogna, quindi cercavo di rimuovere ogni motivo di discussione in merito…

Nazionale Italiana Di Calcio 1982

L’Italia Campione Del Mondo. – Rientrati finalmente per la cena, si avvicinava anche il momento di andare a dormire. All’epoca, la tecnologia miniaturizzata era ai primi passi, per cui, pur di avere qualcosa che sia pur solo in ricezione mi collegasse al mondo, portai con me una radiolina A. M./F. M., marca C G E, che di lì a poco mi sarebbe stata necessaria. Alle otto e trenta infatti, se la mente non m’inganna sull’ora d’inizio, in quella domenica, andava in scena allo stadio Santiago Bernabeu di Madrid, la finale dei campionati mondiali di Spagna, finale alla quale erano arrivate, non senza difficoltà, Germania federale e Italia. Nella cittadina composta per la maggior parte dei fabbricati da negozi ed alberghi, (parlo di Lourdes), in quel tempo, mancava quasi del tutto l’offerta radiotelevisiva, analogica e terrestre come in tutto il resto del mondo. La televisione mostrava un solo canale, sul quale, non so quanto la cosa fosse voluta, vista la recente eliminazione della Francia, non fu trasmessa la partita. La radio, in modulazione di frequenza, riceveva solo il primo canale della radio di Francia, su cui quella sera si poteva ascoltare, (se non ricordo male), un concerto di musica, che era un miscuglio fra classica e leggera. Già allora avevo un po’ di dimestichezza con il radiantismo, per cui, visto che comunque ero un italiano, e che si trattasse di una finale da vincere con onore, mi attrezzai e riuscii, sia pur con effetti ballerini ed estremamente basati sul provvisorio, a sintonizzarmi in A. M. sulla frequenza della radio nazionale di spagna. Qualcuno si accorse della cosa, ed immediatamente affluì dalle parti nostre quasi tutto il contenuto umano ed italiano dell’albergo. A quel punto, non fosse altro che per carità Cristiana, fui costretto, non senza difficoltà, a tradurre la radiocronaca dell’Enrico Ameri di Spagna, per dare a tutti la possibilità di gioire per i goal italiani, di soffrire per quello tedesco, e poco ci mancava, anche di bestemmiare per il calcio di rigore sbagliato, (se la memoria mi viene bene in soccorso), da Cabrini. La stanchezza era ai massimi storici, ma fu una domenica che non potrò mai dimenticare, visto che in quel momento avevo potere di vita o di morte, su un manipolo di pellegrini, che non sembrava, ma era abbastanza numeroso. Altro inciso: Sono passati trent’anni, (oggi trentanove, NDR), ma ancora oggi non ho avuto l’onore ed il piacere di sentire quella partita per intero in italiano.

Le Solennità Ed Il Commercio. – Si dice che già dai tempi di Bernadette, il commercio attorno alla figura della Santa di Lourdes, si era sviluppato e dava da mangiare a molti. Il primo che approfittò dell’occasione, comprendendo la potenzialità di un simile affare, fu proprio uno dei fratelli di quella bambina, tanto che quando la nostra veggente lo seppe, probabilmente accese il fuoco per mettere il “sangue del suo sangue” su una graticola e mangiarselo ossa comprese. E’ in quest’ottica che la Madonna, con tanta pazienza, ha dovuto accogliere tanti ospiti, primo fra tutti il Danaro, Dio per molti, portatore di ben’essere terreno per tutti. Potrei scantonare parlando dei vantaggi che questo Dio ha portato principalmente alla chiesa cattolica, sia a Lourdes, sia in altri santuari, non ultimo quello costruito in San Giovanni Rotondo, attorno alla figura di chi, prima arrestato e deriso, poi è stato fatto santo, e nello stesso tempo è stato derubato di qualcosa che doveva servire per aiutare l’umanità, cosa che da tanti è donata, e da pochi, sempre gli stessi è presa, (magari utilizzando la pubblicità, che se per i comuni mortali, essendo l’anima del commercio risulta peccaminosa, per la chiesa, essendo qualcosa su cui glissare, può essere, solo da questa, fatta propria ed utilizzata, per carità! Per alti scopi!), con l’arroganza di chi si ritiene depositaria della Verità Assoluta che a suo dire, dà a lei ed a chi per lei, un potere, sicuramente non previsto dall’insegnamento impartito da Gesù cristo. Sto parlando di quel Santo che dispone della proprietà di bilocazione, che mi sarebbe servita lo scorso Sant’Antonio nella chiesa madre di Gambatesa… Potrei! Ma passerò oltre, tanto mi fa schifo quest’andazzo. Detto quanto sopra però, non posso non rimarcare che a Lourdes, già allora, c’era differenza fra pellegrino e pellegrino, per cui già allora, esistevano bar ed alberghi a cinque o sei stelle, dove si pagava una cifra infinita, (un botto), si stava divinamente, ma ci potevano andare a soggiornare solo “pellegrini” che si ritenessero più vicini degli altri alla Padrona di casa. Il lunedì, dopo aver seguite le prime funzioni religiose, decidiamo con Giovanna, Teresa, mia madre ed altri, di avventurarci per le stradine di Lourdes, laddove normalmente non si andava, proprio per vederla meglio, visto che non volevamo credere che quella città potesse essere adibita ad un immenso multi negozio, quasi un ipermercato con prezzi elevati, per bassa bigiotteria e simili. Infatti, oltre ai negozi, fu possibile trovare anche delle piccole officine o localini di quella risma, in cui il materiale mollato ai turisti, viene prodotto in serie; o meglio: veniva, visto che sono arciconvinto del fatto che oggi, anche la produzione di questi oggetti, così come avviene a Roma, ed è avvenuto per lo scorso Giubileo, arrivi dalla più pragmatica Cina. Negli spiazzi che ogni tanto si trovano lungo la propria strada, si possono trovare sedie e panche, che noi credevamo fossero a disposizione di chiunque ne avesse bisogno. Ingenui! Giovanna, era un po’ stanca e così, decidemmo tutti di fermarci per un momento, sedendoci su quelle panche. Quasi immediatamente, giunse presso di noi un cameriere, che con modi gentili ma decisi, mi disse, (essendo l’unico che lo capiva), che le sedie potevano essere occupate esclusivamente previa consumazione, che ovviamente costava l’ira di Dio. Se non avessimo voluto consumare: “prego, andare”. Giovanna era originaria di Palermo, e tu m’insegni che il siciliano medio è persona molto educata e rispettosa del Prossimo, ma non accetta dictat; non a caso la mafia che comanda, proviene da quelle terre. Noi, senza perdere tempo ci alzammo e così fece anche la nostra amica. Ferita nell’orgoglio però, un secondo dopo essersi alzata, Giovanna esclamò, quasi in siciliano stretto: “E io mi ci rrisiedo! Vogghio vedere proprio sto fesso che dice!”. E’ inutile dire che questo fatto scatenò l’ilarità generale. Dopo cinque minuti, riposata e calmata Giovanna, decidemmo di continuare la nostra esplorazione, tanto che fummo in grado di perderci in Lourdes. Dopo poco, incontrammo un altro gruppo di pellegrini, a cui io, con il mio “portentoso” francese, chiesi lumi per il ritorno alla base.
Dall’altra parte, con un francese collega al mio, una ragazza mi rispose e riuscimmo a capirci, tanto che poi ritrovammo la strada verso l’ospedale. Ma che c’era di strano nel nostro discutere? Nulla, se non si consideri il fatto che: 1°: Noi eravamo italiani; 2°: che la controparte era austriaca. Lo scoprimmo quando ci stavamo salutando, visto che tutti i pellegrini, noi compresi, dovevamo, per necessità organizzative, portare sul petto il gagliardetto con la bandiera appartenente allo stato d’origine di ogni persona. Così, andammo avanti per un paio di giorni, conoscendo fra noi, sempre nuova gente, con tanti problemi, ma con tanta volontà di vivere in pace e in comunità con altri. La gente ci capitava a tiro ogni momento, anche quando decidemmo di fare un’escursione presso un punto del quale si dice che fosse l’ultima casa in cui duemila anni fa circa, soggiornò Maria Maddalena. Il punto era vicino al confine con la Spagna, ma io e mia madre, pur in grado di captare e seguire la partita in quella lingua, fummo costretti a fermarci alla frontiera, visto che all’epoca, per entrare in Spagna era ancora necessario il passaporto, che noi non avevamo. Puniti dalla legge del contrappasso, ci fermammo dunque, ed attendemmo i nostri amici al rientro, cosa che avvenne dopo pochi minuti, non essendoci dall’altra parte niente di particolare da ammirare.

Angela. – Ma poi mangiammo? Per quanto riguarda questo problema di primaria importanza, eravamo rimasti a prima della partita, di cui ho già proposto il resoconto. Quando arrivammo al Salus Infirmorum, ci accorgemmo che il nostro gruppo del Molise, era stato abbinato al gruppo di pellegrini proveniente dalla Sardegna. Quasi per caso, appena entrati nel refettorio, io e mia madre ci trovammo fianco a fianco con un gruppo, dal quale si staccò una ragazza piccolina, piuttosto bella e sicuramente molto loquace. Angela aveva vent’otto anni, era insegnante elementare e subito fra noi nacque uno strano feeling per via del fatto che neppure a me mancasse la voglia di discutere. Lei, com’è ovvio entrò a far parte del nostro gruppo ristretto, (del quale sto pubblicando le gesta), e risultò veramente un dramma salutarci alla fine della settimana che ci ha visti uniti in territorio straniero. Detto di questa bella persona, e per tornare al cibo, noi molisani con gli amici sardi, apprezzammo soprattutto la baguette. Il resto fu di ordinaria amministrazione, anzi, visto che in una caserma della legione straniera probabilmente si sarebbe mangiato meglio, mi preme rimarcare quanto accadde il mercoledì, quando ci fu una mezza sommossa. Come detto, il cibo era catalogabile come mezzo per la sopravvivenza, e col senno di poi, certo non avremmo potuto pretendere nulla di più, visto che comunque si trattava di un pellegrinaggio, con tutti i limiti che il caso impone. La proverbiale e pecoreccia sottomissione del molisano medio però, cozzò con la determinazione sarda. Questa infatti, fu protagonista di un diverbio fra i gestori del Salus Infirmorum e un paio di signore di mezza età provenienti dalla “Grande Isola”, che ebbe effetto già dal giorno successivo. Infatti, quantomeno si ottenne un miglior condimento di ciò che ci veniva offerto per sopravvivere. Anche se ormai mancavano due giorni alla partenza, a noi andò bene così.

La Rappresentanza Politica. – Fra funzioni religiose, (mentre scrivo, mi è scappato un lapsus: stavo scrivendo finzioni), e vie Crucis, fra le quali una molto suggestiva, partecipata anche da noi su una strada brecciata, molto lunga e faticosa, non poteva mancare la parte politica del viaggio. In quel frangente, fra le varie persone conosciute, si unì a noi Ugo Mastropietro, una persona che possedeva un esercizio commerciale, molto noto, (per dirla con il compianto radiocronista sportivo Sandro Ciotti), nella parte nevralgica di Campobasso. Ugo, quel mercoledì, decise di portare tutto il nostro gruppo nuovamente nello spiazzo nel quale si era scatenato il siculo orgoglio di Giovanna, questa volta però per prendere un gelato, ovviamente di produzione italica. La cosa m’impressionò, perché ci fu portata una coppa, di misura media, con un contenuto bigusto ed un biscotto infilato in cima. Eravamo in otto, Ugo compreso, e ricordo come fosse ora, che il Nostro consegnò al cameriere d’oltralpe, la ragguardevole somma di cinquantamila lire, non avendo voglia di convertire il danaro in franchi e dovendo, (visto che all’estero è un obbligo morale), lasciare una mancia. Ricordo bene questo fatto, perché fra le altre cose, io ed Angela eravamo talmente in soggezione che quasi non riuscivamo a mangiare il gelato. Mia madre, grazie a Dio, mangiava beatamente, non avendo capito il discorso. Il nostro imbarazzo, derivava dal fatto che avevamo sentito ed anche capito il cameriere francofono che comunicava ad Ugo che i gelati in questione costavano cinquemila lire l’uno, (si ricorda che si sta parlando del valore della lira nel millenovecentottantadue: NDR). Sembrava che stessimo mangiando dell’oro! Al di là di tutto ciò, nel discutere con Ugo, seppi da lui che avrebbe avuto l’Onore di portare il gonfalone della regione Molise, in testa alla fiaccolata che si sarebbe tenuta quella sera, prima della Messa internazionale, celebrata in simultanea da Don Pietro, il suo omologo appartenente al gruppo di Sardegna ed altri prelati residenti nel luogo che ci stava ospitando, oltre ai sacerdoti molisani e sardi, facenti parte dei due gruppi. Ad Ugo venne L’idea: “Perché non vieni con me e porti tu il gonfalone visto che sei il doppio di me in altezza?”. Devo dire che la cosa m’inorgoglì non poco; mi sentii onorato di tale proposta, non tanto per il fatto in sé, quanto perché una persona dell’importanza del mio nuovo amico, si fosse ribassata a considerarmi, oltreché suo amico, degno di un tal gesto, in rappresentanza di un’intera regione. Fu suggestivo, e toccai il cielo con un dito, anche perché l’episodio in sé, contribuì non poco ad aumentare la considerazione in cui ero tenuto dalla ormai onnipresente Piccola Sarda, che quella sera non si staccò più da me, fra l’altro, fregandosene altamente di partecipare al corteo della sua regione. Quella sera, mi trovai fra le autorità molisane presenti a Lourdes, politici, religiosi e la borghesia più importante, e già allora, nonostante la squisitezza delle persone di cui ho parlato, montava in me quella repulsione per la politica che oggi periodicamente si sprigiona dalle mie farneticazioni. Fra le varie cose che nonostante tutto, quella sera così come in seguito, risultarono dissonanti, una campeggia su tutte. Stando anche all’osservazione di mia madre, se si fosse usciti per Campobasso in tempi non sospetti, sarebbe stato quasi impossibile vedere persone in carrozzina o deficitari di altro genere, tanta era la vergogna dei propri familiari nel dimostrare di avere in casa simili “Prove”. Si cominciarono a vedere le rampe per le carrozzine sui marciapiedi campobassani, un paio d’anni dopo il viaggio di cui sto rendendoti conto. A Lourdes invece, si videro moltissime persone fino ad allora quasi segregate, ma la cosa che mi diede più da pensare, fu l’estrema semplicità e la voglia di mettersi a servizio, proposta da tanti altolocati, ipocrisia che mi faceva star male, e della quale, già il giorno prima avevo discusso con Angela che chissà perché, era sempre d’accordo in tutto e per tutto. Col senno di poi, mi viene quasi da proporre: Perché non mandare a Lourdes e lasciarceli, tutti i politici mondiali? Sta a Vedere che il mondo ci guadagnerebbe, anche se al prezzo dell’estrema e più totale forma di becera ipocrisia, (ma a tutto c’è un limite e forse la Madonna perderebbe la pazienza… NDR).

Il Ritorno. – Immersi dunque in questa voglia di fratellanza a tutti i costi, arriviamo al fatidico sabato diciassette. Erano le otto e dopo aver ricomposte le valige, cariche di panni da lavare, oltreché di oggettini comprati per quello, piuttosto che per quell’altro che avremmo ritrovato a Gambatesa, spedite le rituali cartoline a mezzo mondo, ci apprestammo a lasciare il nostro temporaneo rifugio. Aiutata anche la nostra ospite di camera, (in camera con me e mia madre, avevamo anche un’anziana, cui per tutta la settimana offrimmo fraterna assistenza), ci preparammo al doloroso compito di salutare chi, per tutto il periodo, non si staccò da me, se non per andare a dormire in camera sua. Parlando di un viaggio a sfondo religioso, evito di affrontare determinati temi che poco avrebbero a che vedere con l’argomento principale. Lascio però ovviamente alla tua intelligenza, ogni considerazione da farsi, sul breve ma intenso rapporto intercorso fra me ed Angela, e su come questo si sarebbe potuto evolvere, in altri frangenti, nonostante il fatto che lei avesse solo sette anni meno di mia madre e dodici più di chi scrive. Come già detto, ognuno doveva avviarsi con il proprio gruppo verso il relativo treno, il nostro, sarebbe partito alle dieci, mentre il convoglio che avrebbe riportata la mia amica in Sardegna, era per le undici. Ci salutammo, con la promessa (mai mantenuta) di scriverci; ci baciammo sulle guancie, con un’intensità che non lasciava adito a pensieri diversi da quelli che avranno colpita la tua Intelligenza, pensieri i cui effetti si vedevano lontano un miglio, e di cui si erano accorte anche le mura del luogo che stavamo per lasciare. Un secondo dopo, io feci per girarmi per un ultimo saluto, ma sentii lei che con la voce rotta dal pianto, m’implorava di non girarmi… Risalimmo sul treno che ci aveva portato dalla Madonna una settimana prima, ovviamente dopo esserci riforniti di viveri, per paura di uno scherzo simile a quello che ci era toccato la settimana precedente. Alle dieci in punto, incominciammo a muoverci e prendemmo immediatamente velocità, per ripercorrere al contrario la strada già descritta, in un clima di saluto e smobilitazione, lungo, per tutto il tragitto di ritorno, ma breve, nel riportarci alla vita normale per quanto concerne i giorni successivi. Per curiosità infatti, qualche giorno dopo il rientro a casa, smaltita la sbornia del racconto, almeno di quanto ho voluto allora raccontare, mi venne quella “Strana Voglia”. Siccome già allora compresi quali fossero i veri obbiettivi di certa politica, con l’aiuto di mia madre che era stata testimone del mio viaggio, tornai a Campobasso e la prima cosa che feci, mi misi a gironzolare senza una meta precisa. Il sogno era svanito; I malati erano stati riportati ai relativi rimessaggi; Ora non erano più utili alla causa. Durante la “Settimana” di cui ho narrato, fra le tante cose che ci eravamo confidate, io ed Angela, senza mezzi termini, avevamo raggiunta una convinzione che a nessuno dei due andava giù: “questi poveretti, verranno richiusi nei loro cofanetti, ed infiocchettati da belle speranze, verranno riportati alla luce solo con il prossimo viaggio purificatore”. Furono parole proferite dalla mia amica, parole che ricordo come fossero state dette oggi, parole che condivisi allora e che ancora oggi ritengo mie. In questi ultimi tempi per la verità, forse per le innumerevoli battaglie portate a termine da pochi scemi come chi scrive, forse per una generale presa di coscienza da parte di persone normodotate, appartenenti ad una generazione di cittadini ormai rinnovata, fatto sta che è più facile incontrare gente che ha problemi, ed è più possibile che la società civile, dedichi a queste persone più attenzione. All’epoca invece, troppi erano i divari ed i pregiudizi, poca era la volontà di superare entrambi.

Risultato Del Viaggio. – Cosa ne ho guadagnato? Tornato a Gambatesa e ripresa la vita normale, tutto ricominciò quasi come se quel viaggio non fosse mai avvenuto. Per un po’ di tempo, mi capitò d’incontrare e salutare le persone molisane che avevo avute per compagni d’avventura, sacerdoti compresi. Fra le cose accadute a ridosso del viaggio di cui ho parlato, va sicuramente ricordata la bella giornata che ebbi modo di passare con gli scout Agesci di Campobasso, in occasione dell’anniversario di sacerdozio, festeggiato da Don Armando. Fui infatti invitato in un campo scout, in prossimità di Guardiaregia, dove ritrovai il bel clima che fino a pochi mesi prima ebbi modo di sperimentare a Roma, unitamente al gruppo scout al quale apparteneva la mia fidanzata. La cosa, andò via via affievolendosi, per chiudersi qualche tempo dopo. Ciò che non sospettavo invece, cominciò ad accadere pian piano, in maniera sempre più drammaticamente presente, in modo sempre più fortemente doloroso, andando avanti durante la mia vita, e costellando questa di prove sempre più forti, che mi avrebbero portato nel duemiladue a comprendere che sia pur senza accorgermene, quel viaggio mi aveva permesso di ricevere il Miracolo, (da tutti desiderato, da pochi compreso: NDR). Insomma: Il viaggio che ora stava per cominciare, se da una parte somigliava al viaggio d’andata verso Lourdes, con tutti i problemi di cui ho parlato, dall’altra, era sempre più simile all’esperienza che fa un seme quando cade nella terra, per poi dare frutto. Per far mio ciò che finora ho farneticato però, ho dovuto comprendere e conoscere quanto la Madonna disse fra le righe a Santa Bernadette, a proposito delle concessioni fatte a chi si fosse recato a Lourdes. Si è sempre pensato, spesso aiutati proprio dalla chiesa, che i miracoli si dovessero verificare, modificando in meglio quanto di fisico è insito nell’uomo. Si parla da due secoli di una piscina miracolosa, nella quale, dopo essersi tuffati, si viene risanati dei mali fisici, torna la vista o l’udito e la parola, si riprende a camminare e si butta la carrozzina… peccato che non si è arrivati al punto di dire di aver ricevuto un Miracolo, per aver vinta la lotteria o roba simile. E’ ovvio che tutti si tufferebbero volentieri in quella piscina, se non esistesse una preventiva selezione, anche fra chi “miracolare”: Color che son Raccomandati. Mai pensare alla parte spirituale: Perché? Se è vero che l’uomo, a differenza degli animali ha un’anima, questa va considerata parimenti al corpo. Se è così, dovrebbe essere l’anima, la prima a patire le conseguenze di azioni fortemente dirompenti che accadono durante il periodo in cui la natura ci permette di fare il bello ed il cattivo tempo su questo pianeta. Se si va in luoghi come Lourdes, magari da credenti, o per inerzia così com’è capitato a me, con il tempo si arriva ad accettare quanto, fra le righe, la Madonna ha confidato a Bernadette: “Non verranno a me necessariamente per ottenere la guarigione fisica, ma lo faranno per comprendere il perché del loro stato, traendone la dovuta Indicazione per la vita futura”. Stando a queste parole, nonostante la mia riottosità iniziale, la successiva vergogna nel parlarne, ed atteggiamenti simili, spesso dettati dalla contrapposizione fra il “Dire” ed il “Fare”, messi in atto da chi, per ministero, dovrebbe esclusivamente pensare alla migliore gestione delle nostre Anime, posso dire finalmente che quel viaggio è servito e che ho avuto il Miracolo, forse in maniera molto più bella e fruttuosa, rispetto alle precedenti aspettative. Il viaggio e gli accadimenti descritti, unitamente alle dure prove patite da allora ad oggi, mi hanno fatto comprendere che una volta risanato il corpo, avrei avute reazioni estremamente più drastiche ed offensive nei confronti del Prossimo, reazioni derivanti dalle mie capacità, anche queste, ricevute per volontà di Dio. Se avessi visto o se vedessi, difficilmente riuscirei a tener fermo in me lo stragista che volta per volta vorrebbe sprigionarsi. Certe azioni, le commetterei in maniera talmente scientifica, che dirmi pericoloso, sarebbe probabilmente un termine da utilizzarsi come forma di esorcismo. Essere credente dunque, al di là di certe stupide imposizioni che giorno per giorno mi contrappongono a certo modo di amministrare il Culto, mi permette finalmente di raggiungere la serenità, e di ringraziare la Madonna per il mio attuale status. Se è vero, com’è vero, che esiste la vita eterna, di conseguenza risulterebbe inutile avere la possibilità di compiere azioni “serie” nei confronti del >Prossimo, per ottenere un eterno “Nulla” in seguito. Avrei preferito il “libero Arbitrio”, ma evidentemente, posso essere contento del fatto che la Madonna mi voglia bene a tal punto da considerare prioritario il mio mancato Agire, svolto in maniera diretta. Al ben pensante di turno che starà già ridacchiando con il dire: “consolamose coll’aglietto”, rispondo senza mezzi termini che se la Madonna gradisce che io non sia il miglior delinquente in circolazione, io mi adeguo volentieri e ne sono soddisfatto, non sapendomi, non potendomi, ne volendomi ritenere superiore a chi, e chiamalo come ti pare, non fosse altro che per il fatto che esista qualcosa da tempo eterno se si guarda il passato, a tempo eterno, se si dà un’occhiata al futuro, per Fede e giusta Ragione, ritengo superiore alla mia persona. Quest’Entità Superiore, IO LA CHIAMO DIO. Io Credo in Dio, al di là delle gesta dei suoi umani ministri, a qualsiasi ideologia appartengano, ciò, perché finora non ho ancora incontrato nessuno, in grado di dimostrarmi l’esatto contrario. Stando a questo mio Credere, se poi arrivo ad ottenerne anche una forma di parziale risarcimento, data dalla serenità raggiunta, ciò non può essere considerato un male, anzi, con questi chiari di luna, a ragion, veduta, non considerare ciò il vero Miracolo, metterebbe in luce tutta la stupidità di chi, mangiando a crepapelle, è talmente sazio da voler ribaltare il trogolo.

Conclusione. – Al termine di questo mio lungo “Dire”, sperando di non averti imposta la noia più del lecito, visto che i problemi e le disgrazie vengono da soli, insalutati ospiti, per me come per tutti, considerata la stima che ho per te, non posso far altro che augurarti di raggiungere quanto a me toccato in premio, inteso come la pace e la serenità di discernimento, cose utili sempre nella vita, ma oggi di particolare necessità, visti i tempi che corrono. Un premio che tu, più intelligente e capace di me, sicuramente meriti maggiormente. Un premio che a me è stato concesso, nonostante la mia indegnità, dovuta alla mia (spesso) cattiva fede.

Grazie per avermi letto e che Dio te ne renda merito.