Di Salvatore Mongiardo
Diverse persone mi hanno sollecitato a esprimere un giudizio su quanto sta succedendo nella politica mondiale, e perciò scrivo quest’analisi per cercare di capire le cause del disordine nel quale il mondo sembra scivolare.
Il termine di politica e quello di polizia derivano da polis, la città stato dell’antica Grecia e delle sue colonie. Per un’analisi approfondita, però, dobbiamo andare molto più indietro nella storia, fino al 10000 (diecimila) a. C., quando nella Mezzaluna Fertile, che comprendeva Egitto, Israele, Fenicia, Anatolia, Siria e Iraq fino al Golfo Persico, nacque l’agricoltura che, alla velocità di un chilometro l’anno, si diffuse in una vasta area del mondo occidentale. L’agricoltura arrivò così nell’Antica Europa, che comprendeva Moldavia, Romania, Ungheria, Balcani, Italia meridionale, Sicilia, Grecia e le isole inclusa Creta. Era un mondo che viveva essenzialmente di agricoltura, dove non c’erano armi né guerre, si conduceva una vita comunitaria guidata dalle donne, e la Grande Madre era la divinità fonte di ogni rigenerazione. Gli scavi archeologici mostrano che la vita scorreva serena con danze e acconciature raffinate delle donne. Era l’Età dell’Oro, descritto da autori importanti come Esiodo, Virgilio, Seneca, Tibullo e Ovidio.
Le testimonianze di quegli autori erano ritenute delle leggende fin quando le scoperte dell’archeologa e linguista Maria Gimbutas (1921-1994) ci hanno fornito le prove che quel mondo è realmente esistito per circa quattro millenni a partire dal 7000 a. C. circa. Quelle scoperte, inizialmente poco accolte dal mondo accademico, furono poi puntualmente confermate dalle indagini genetiche condotte da Cavalli Sforza e dagli studi della lingua indoeuropea, dalla quale derivano quasi tutte le lingue europee, greco e latino inclusi.
La civiltà descritta dalla Gimbutas fu chiamata gilanica, unendo le due parole greche di donna+uomo. Quelle popolazioni gilaniche, furono assoggettate poi da nomadi indoeuropei, i kurgan, che vivevano nelle steppe attorno al Caucaso, al Volga o in Siberia. I Kurgan erano militarmente forti grazie all’addomesticazione del cavallo, ed erano comandati da un capo guerriero che aveva donne e schiavi. Il termine kurgan deriva dai grandi tumuli di sepoltura nei quali venivano sepolti i prìncipi morti e il loro seguito di mogli e schiavi vivi, secondo un’usanza diffusa in diverse popolazioni antiche, perfino tra i Maya del lontano Messico.
La Gimbutas ha affermato che l’invasione-migrazione dei Kurgan avvenne in varie ondate. Tutti i Greci che parteciparono alla guerra di Troia erano in realtà discendenti di indoeuropei che avevano invaso il Peloponneso e le isole. La loro origine caucasica, oggi confermata dall’esame del DNA, è testimoniata dall’Iliade che descrive come biondi Achille, Elena e Menelao. La stessa Creta fu invasa dagli Achei di Atene intorno al 1500 a. C. sotto il re Minosse. La civiltà gilanica scomparve quasi dappertutto, ma sopravvisse nella Prima Italia, oggi Calabria, dove Pitagora la scoprì e la elaborò in dottrina etica universale.
Nel 1991 Marija Gimbutas affermava: “Rifiuto l’assunto secondo il quale con il termine civiltà ci si riferisce necessariamente a società guerriere maschili. La base di ogni civiltà risiede nel suo livello di creazioni artistiche, di conquiste estetiche, di valori non materiali e di libertà, che danno significato, valore e gioia alla vita per tutti i suoi cittadini, così come un equilibrio di potere tra i due sessi”.
Pitagora vedeva la competizione come un gran male e cercava di eliminarla nella vita privata, nella pubblica e soprattutto nella politica. Competere per vincere sporcava la persona, che così rompeva la comunità per emergere sugli altri, rompendo l’equilibrio di libertà, amicizia, comunità di vita e di beni. Non c’era quindi spazio per la competizione politica né per i partiti che agitavano la polis di Crotone, portandola a guerre sanguinose contro le altre poleis come Locri o Sibari. Il filosofo non voleva la competizione politica perché essa sprecava le energie per far prevalere un partito sugli altri, attitudine predominante allora come ora. Il ragionamento limpido e matematico di Pitagora si scontrava però con la voglia irrefrenabile dei maschi di battersi, scaricando così le pulsioni aggressive generate dal testosterone.
Da allora fino ai nostri giorni la storia è stata un susseguirsi di guerre, eccidi e stragi di ogni genere, di per sé contrarie a ogni logica. Prendiamo ad esempio la Germania e l’Inghilterra, acerrimi nemici nella seconda guerra mondiale, ma ambedue anglosassoni, come prova il loro regime feudale nel passato. L’entusiasmo inglese nel battersi contro l’aggressione di Hitler derivava anche da quella brama antica di scontro. Ciò mi sembra provato dal fatto che Churchill affermò ripetutamente che lui era nato per quella lotta e vinta la guerra, non fu rieletto perché era venuto a mancare l’entusiasmo di partecipare alla battaglia.
La stessa osservazione vale per gli Stati Uniti, dove la recente lotta senza quartiere di Trump per rimanere al potere è spiegabile solo con l’esasperazione competitiva nella quale gli americani vivono quotidianamente. In Usa è inconcepibile una vita senza competizione: bisogna essere e avere sempre più degli altri.
L’Italia è un esempio evidente di come la competizione politica miri nei fatti al predominio di un partito e di un capo politico sull’altro. I Padri Costituenti vollero come stemma della Repubblica Italiana la stella a cinque punte, lo stellone d’Italia, con esplicito richiamo alla Magna Grecia: quella stella era difatti il simbolo dei pitagorici. La Costituzione italiana riconosce però i partiti politici sui quali si basano i governi. Ed è sotto gli occhi di tutti come i partiti italiani abbiano generato una lotta incessante per arrivare al potere: l’Italia ha avuto ben 66 governi in 70 anni.
L’Italia è ostaggio di due forme competitive: la destra e la sinistra, ideologie aggressive di origine indoeuropea. Ciò è confermato dal fatto che la popolazione del Sud Italia è stata obbligata a combattere nella seconda guerra mondiale contro la Grecia, da dove provenivano i nostri progenitori, e contro gli Stati Uniti, dove c’erano mio nonno e i miei zii tra milioni di emigrati italiani. Io non credo che sia possibile un ordine stabile del mondo senza una forma di vita comunitaria non competitiva. Del resto le molte rivoluzioni, incluse quella francese e le varie forme di comunismo, sono sorte per abbattere il feudalesimo e le divisioni tra ricchi e poveri.
Il principio di non competizione politica è stato adottato dalla Cina, dove tutto il potere è in mano al partito unico comunista. Questo ha permesso a quel paese di realizzare in pochi decenni dei progressi impensabili, tanto da diventare una superpotenza mondiale. Ed ha anche consentito alla Cina, unica al mondo, di risolvere il problema della sovrappopolazione, sancito nella sua Costituzione del 1982 al punto venticinque dei Principi Generali: “Lo stato sollecita la pianificazione familiare, in modo che la crescita demografica si adegui allo sviluppo economico e sociale”.
La Cina ha cinque stelle pitagoriche nella sua bandiera. A me sembra di vedere Pitagora che da Crotone tende idealmente la mano al suo contemporaneo Confucio in Cina. Quei due grandi insegnavano la stessa dottrina, secondo la quale l’umanità poteva vivere felice solo nell’osservanza dei principi etici. Confucio affermava: “Chi desidera procurare il bene altrui ha già assicurato il proprio. La virtù si può diffondere per cerchi concentrici, prima nella cerchia ristretta dei propri familiari più intimi, e poi a distanza crescente, fino a includere l’intera comunità umana”.
Comunque stiano le cose, è innegabile l’entusiasmo che in questo periodo regna tra i Cinesi, mentre negli altri popoli, specie in Europa e America, sono diffusi depressione, frustrazione e pessimismo: non è un bel vivere. Il ponte etico, progettato millenni addietro dalle due grandi anime di Pitagora e Confucio, si sta realizzando sotto i nostri occhi: la Cina è vicina.