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Ei Fu: Natale In Casa Cupiello

Di Vittorio Venditti
(Foto), Presa Da Internet Da Salvatore Di Maria

Ovvero: Come Distruggere Un Capolavoro

Quest’anno, Natale è da ricordare: all’ipocrisia ridotta fino ad un certo punto, si è sostituita, come bassa politica vuole, la distruzione di ciò che nella sua drammaticità, regala qualcosa di comico, tanto da rendere il tutto un capolavoro indimenticabile, almeno finché viene recitato secondo i dettami di chi lo ha scritto e personalmente interpretato da protagonista.

Eduardo De Filippo

Ieri, la Rete ammiraglia di ciò che viene imposto da pagare a tutti gli italiani, furbetti esclusi, nel nome della ‘modernità’, è riuscita a rovinare Natale in casa Cupiello, una delle più importanti opere teatrali del grande Eduardo De Filippo che probabilmente per umana pietas non si sta rivoltando nella tomba per generare un terremoto equivalente in termini di gravità a quello dell’Irpinia, per non arrivare a tirare in ballo l’eruzione su Pompei.

Chi scrive, nel frequentare, (non a Gambatesa), la scuola media, (sicuramente differente da ciò che si viveva e tutt’ora è presente in zona), ha avuto modo di recitare una parte dell’opera oggi sotto esame e nel presenziare all’indegno spettacolo proposto ieri sera e lautamente pagato, si è rivisto sul palco scenico, stravolto da un’interpretazione che siccome in televisione, si è permessa di far saltare battute che a dire di chi ha rivista l’opera in questione, evidentemente potevano andar perse perché la gente la televisione la guarda, come se poi al teatro gli spettatori fossero tutti ciechi. Ad esempio, ma è solo uno dei tanti: quel “via le coperte!”, imposto a Tommasino che indugiava nell’alzarsi, dopo la scoperta che lo stesso aveva spogliato lo zio Pasquale delle sue povere cose, castigo messo in atto da don Luca, ovvero Lucariello, al sentire l’ennesimo ‘no’, rivolto al ‘presepio’ in costruzione, oggetto sacro per il protagonista della storia, oltre ad essere un ricordo goliardico utilizzato da chi oggi tedia i suoi quattro lettori, allora durante la terza media per obbligare all’alzata dei compagni pigri di camerata di collegio, è qualcosa che dà un senso alla napoletanità stessa, vissuta un secolo fa e pregna del non volersi ‘muovere’, pregio foriero di quella simpatia che contraddistingue i partenopei, ben descritto da chi a Napoli ci è nato e se mai ce ne fosse stato bisogno, ha reso quell’ambiente ancor più celebre.

Senza tirarla per le lunghe e senza ricordare che nel suo piccolo Gambatesa è già all’avanguardia in tema mediante l’aver imposto tal ‘progresso’ alla sua Tradizione per antonomasia: più tardi verrà dichiarato in pompa magna che quanto trasmesso ieri sera da RAI Uno è stato un successo memorabile. Il vostro cronista invece, sommessamente ed umilmente ritiene che quella messa in scena sia stata una delle più rovinose debacle pagate dagli italiani, resa, questa, un vero capolavoro di abbassamento culturale di chi ritiene che la “QQQQQQQultura” vada ridotta all’uso e consumo di chi per partito preso si rifiuta di sacrificarsi nel lavoro d’apprendimento per innalzarsi a livelli superiori, ma pretende che sia chi per cultura giustappunto cerca di crescere, ad abbassarsi, in modo che la feccia venga a galla per mancanza di buon vino.

Viva Il ‘Progresso’!