Di Domenico Lanciano
Carissimo Tito, ormai (dopo duecentosettantotto “Lettere a Tito” e trentasei lunghe “Lettere su Badolato” che hai pubblicate dal duemiladodici a questa parte) hai ben capito come e quanto io abbia vissuto la una vita totalmente sociale per la mia comunità di appartenenza, cioè Badolato e la sua interzona (anche come rapporto mare-montagna) e, per esteso, l’intera Calabria. Tanto è che avrei voluto donare tutto ciò che possiedo proprio al Comune di Badolato, con tutti i miei folli tentativi di realizzare una Biblioteca con annesso Ufficio turistico, un Archivio storico, una Fototeca sociale, una Pinacoteca, un Deposito archeologico, persino un Museo delle pietre e delle sculture, un Museo operaio e contadino e quanto altro pur di socializzare istituzionalmente la cultura delle nostre genti e del nostro territorio. Ma paradossalmente (come ottimo risultato di tanta passione e di tanto lavoro, di tanta devozione e di tanta lungimiranza) ho ottenuto … l’esilio!
E, purtroppo, dopo tanto lavorare e lottare … Badolato ancora non ha nemmeno una biblioteca pubblica, nonostante ne ho poste molto faticosamente le basi, nonostante l’associazione culturale badolatese LA RADICE avesse ordinato i libri superstiti e avesse ben gestito la Biblioteca Comunale per alcuni anni dal millenovecentonovantanove. La cultura badolatese è spogliata come sono state spogliate le chiese ricche di tesori, conventi e monasteri. Come sono state spogliate le genti di ogni possibile speranza di significare per sé stessa ed il proprio territorio.
E probabilmente Badolato sta giungendo ad una fase di non ritorno, di non recupero utile. E tutto questo, nonostante, le sette fatiche di Ercole che sta facendo la RADICE e qualche altra associazione culturale come quella di Nicola Caporale o come l’Aopt “Riviera e borghi degli Angeli”. Manca comunque e da sempre in chi comanda dentro la istituzione “Comune” un coordinamento istituzionale, logistico e culturale, con una chiara visione di paese e di comprensorio vitale. E chi, come Andrea Talotta (sindaco dei primi anni Cinquanta) aveva mostrato di avere una visione di territorio e di società (veramente comunista) è stato (dopo un attentato terroristico) … mandato in esilio per non farsi più vedere a Badolato.
1 – LA CONSISTENZA DELLA MIA DONAZIONE
Riguardo la mia cospicua e totale donazione (anche immobiliare) al Comune di Badolato, attraverso la Biblioteca, e per capire meglio che cosa si è perso questo mio tanto amato paese natìo (ma anche il comprensorio di Soverato e l’intera Calabria) ti dico semplicemente che ci sono voluti due camion e, quindi, due viaggi, per portare ad Agnone, dove vivo, i circa sessanta e più metri-cubi di documentazione che avevo accumulato con le mie attività e le mie ricerche socio-culturali effettuate in Calabria fino al trentuno ottobre millenovecentottantotto. Ti ricordo che il mio esilio definitivo comincia proprio il primo novembre millenovecentottantotto.
Per farti avere una pallida idea ti do qualche cifra. Tutto l’ingente materiale che mi è occorso per stilare i tre volumi della mia tesi di laurea proprio su Badolato, tra cui oltre cinquemila fotografie sociali scattate da me dall’estate millenovecentosettantatré alla primavera millenovecentosettantasette (cui si aggiungono tantissime fotografie di altri fotografi amatoriali e professionali per i periodi precedenti, una fonoteca con trecento badolatesi intervistati per cento ore piene di registrazioni e interviste, nonché importanti documenti storici molto preziosi ed antichi). Tutta la mia documentazione scolastica ed universitaria (fatta di quaderni, diari, elaborati, libri e quanto altro attinente alla mia formazione umana, sociale e professionale). Ma anche una documentazione personale fatta pure di preziosi (ori e gioielli) e di altre proprietà materiali (come un appartamento) ed immateriali (come i diritti d’autore di tante opere intellettuali). Tutto avrei dato al popolo di Badolato, così come ho dato totalmente i miei primi trentotto anni di esistenza e di vita! … Ma, si sa, i regali, i doni, tutto ciò che è gratuito non si apprezza!
Numerosissimi diari personali, raccolte di poesie, opere di narrativa e quanto altro affidatimi da giovani ed adulti di Badolato e dintorni (una documentazione antropologica e sociologica unica). Molti chilogrammi (!!!) di volantini politici che venivano distribuiti a Roma città e nella città universitaria in anni molto forti come tensione sociale (dal millenovecentosettanta al millenovecentosettantasette). Una documentazione che avrebbe voluta in toto l’Archivio di Stato di Chieti. Così come la mia originale fototeca veniva richiesta da Istituti universitari e Gallerie d’Arte.
Ma io non ho mai voluto dare nulla (nemmeno in cambio di denaro) perché il mio solo ed imprescindibile scopo era unicamente quello di tenere unita tutta la mia documentazione, come testimonianza di un figlio di contadini e di operai che ha avuto la possibilità di giungere alla laurea, come testimonianza di una ben determinata epoca storica e sociale, nonché come testimonianza di una comunità meridionale-prototipo come Badolato che aveva effettuato notevoli lotte contadine ed operaie nel dopoguerra. Ma poi è stata tradita! E, adesso, se ne vedono le tristi conseguenze.
Come puoi immaginare, tutto questo mio materiale è frutto di una intensa vita vissuta per la Cultura e, in particolare, per il mio Popolo di Badolato e dintorni, ma con il culto della “Calabria Prima Italia” e del Sud. Pure per tale motivo, pur fallita l’impresa badolatese, avrei tanto voluto che la mia donazione restasse nel nostro territorio regionale. Ma invano ho speso la mia vita e invano ho lottato! In più mi è stata data la mortale amarezza della “cicuta dell’esilio”… un altro esempio del “Suicidio del Sud”. Ma, nonostante tutto, resta salva la mia Armonia di uomo e specialmente di uomo sociale.
2 – L’UNIVERSITA’ DELLA CALABRIA E LA BIBLIOTECA CALABRESE
Nel duemilaundici mi trovavo nella situazione di dover alienare la casa genitoriale (diventata ormai quasi tutta deposito dell’ingente materiale storico-documentale, accumulato in oltre cinquant’anni di studi e di ricerche). Nel giro di un anno avrei dovuto lasciare libero tale alloggio di appena sessanta metri quadrati, facente parte dell’Ina-Casa ed acquistato da mio padre nel millenovecentocinquantacinque. Volli fare un ultimo tentativo … scrivere al Rettore dell’Università della Calabria.
Nonostante due lettere raccomandate con avviso di ricevimento, non ho ottenuto alcuna risposta né scritta né telefonica. Né una semplice mail. Non contento di ciò, ho telefonato all’allora direttrice (o facente funzioni) della Biblioteca universitaria centrale. Mi ha risposto che loro, come Biblioteca, non erano interessati alla donazione. Pure qui, manca una visione di Università-territorio.
Mi restava da giocare la carta della Biblioteca Calabrese di Soriano Calabro, fondata e diretta dal preside Nicola Provenzano con cui ero in buoni rapporti di collaborazione culturale. Come era ovvio immaginare, tale istituzione era vocata ad acquisire unicamente libri ed altre documentazioni che avevano per oggetto la Calabria o i cui autori fossero calabresi di nascita o di scelta. Pur con tutta la buona volontà, per me non poteva fare alcuna eccezione, anche per il problema di locali insufficienti. Ha quindi accettato alcuni libri, opuscoli e depliant che io avevo prevalentemente in doppia copia, prima che tutto il “corpus” della mia donazione completa prendesse la via di Agnone. Ho avuto la fortuna di vedere Nicola Provenzano ancora vivo, l’ultima domenica di gennaio duemiladodici, per la consegna della mia piccola donazione. Infatti è morto un mese dopo, il ventisette febbraio. Il giorno stesso ho pregato il prof. Mario Caligiuri, l’allora assessore regionale alla cultura, di fare intitolare la Biblioteca Calabrese proprio a Lui che l’aveva creata e magistralmente diretta, rendendola un vero e preziosissimo gioiello. Un fulgido e raro esempio di vera Civiltà che, in Calabria, diventa grande gesto d’eroismo!
3 – UN GRANDE DOLORE MA ANCHE TANTA FELICITA’
Alle ore tre (in piena notte) di domenica ventisei febbraio duemiladodici, il camion di Giuseppe Marcovecchio, un amico agnonese (titolare di un’impresa individuale edile artigiana), lasciava Badolato Marina carico della seconda e ultima parte dei baùli (tipici “containers” che, usati nell’emigrazione transatlantica verso le Americhe o l’Australia, misuravano centoventi per ottanta per sessanta centimetri). Superati i confini comunali, dopo il torrente Callipari verso Isca e il Nord, la sensazione è stata che ormai il cordone ombelicale con Badolato era stato definitivamente e traumaticamente reciso (e non certo per mia volontà o mio demerito). Mi è sembrato di rivivere la mia venuta al mondo, quando – come mi diceva mia madre – rischiavo di morire e mi ha salvato la bravura e la prontezza di Giorgina Bolognesi, l’ostetrica di Isca, la quale prima mi aveva comunque “battezzato” (come si usava in questi casi, quando si pensava che il neonato fosse sul punto di morire). Avevo lasciato mille volte Badolato e ogni distacco, persino per viaggi di gioia, si rivelava comunque un piccolo trauma. Da noi il magnetismo attrattivo della propria terra è misterioso e assoluto. Questa volta non era un trauma consueto. Lo vivevo come totale e conclusivo.
Forsennatamente ho combattuto tutte le mie battaglie sociali di cultura e civiltà. Non solo non mi sono mai risparmiato per questo mio dolente paese, di cui mi sentivo figlio e paradossalmente padre. E doppiamente, come figlio e padre, ho moltiplicato all’infinito tutte le risorse d’Amore. Evidentemente, così come sono nato indesiderato (dopo tanti figli), sono risultato indesiderato pure come cittadino. Né sono bastate tutte le dimostrazioni d’Amore che ho sciorinato in tanti anni d’esistenza vissuti pienamente per la mia Gente. Sono stato mandato in esilio e nessuno mi risulta che abbia almeno “interrogato” o “protestato” in qualche modo, a voce o per iscritto, con chi perpetrava un tale delitto sociale. Soltanto una persona è venuta a casa mia per solidarizzare e per chiedere a me cosa avrebbe potuto fare. Potevo mai credere, poi nei decenni a venire, a chi mi ripeteva “Ah quanto ci manchi!” … “Ah se ci fossi tu” e così via? A volte ho odiato le parole, specialmente quelle che contrastano e stridono con i fatti concreti, specialmente con le omissioni. Sì, caro Tito, bisogna sopportare pure questo. La beffa. Come se il dolore non fosse già tanto. Troppo. Sono stato beffato dal mio stesso popolo, intimidito da chissà chi o cosa!… Ma lo capisco anche se non lo giustifico.
E (ancora più grande dell’esilio immeritato e lancinante) il più grande e permanente dolore della mia vita è stato proprio quello di non aver potuto dotare il mio paese natìo e la mia Terra di tutto questo mio immenso amore, attraverso le realizzazioni necessarie alla crescita della mia Gente, in particolare delle giovani generazioni e specialmente della gioventù studiosa e anelante. Anche se per motivi differenti (attribuibili più a discriminazioni politiche e personali piuttosto che a vera mancanza di lavoro socio-culturale) quindi per palese esilio, alla fin fine, pure io sono stato costretto a lasciare la mia Gente che ho amato – giuro! – più della mia stessa vita! Ma, poiché credo fermamente nella compensazione, ho vissuto tale mio esilio con rinnovato slancio e amore per la nuova Gente e la nuova Terra di Molise che, bene o male, mi ha accolto. Anche se poi vale anche qui e bene l’antico proverbio che afferma “Tutto il mondo è paese!”. Nonostante tutto, mi ha portato pure tanta felicità la lunga, penosa e meschina vicenda della Biblioteca Comunale di Badolato che, con gli annessi e connessi, è sfociata poi nel mio esilio definitivo.
Come mi avevano insegnato i saggi anziani della mia famiglia, agli onesti la sofferenza e persino il più grande ed atroce dolore porta puntualmente, per compensazione (appunto), la felicità. Ed io, credimi Tito, sento e ho dentro di me e la mia vita, davvero tale e tanta esaltante felicità da rendermi sempre euforico e pieno di energia nel fare instancabilmente, ovunque e comunque mi trovi … poiché io Amo infinitamente l’Armonia. E non lascio nulla di intentato. Poi, ovviamente, bisogna pur arrendersi (prima o poi) all’evidenza, avendo cura di andarsene sereni. E sicuri di aver fatto tutto il possibile per quanto dipende da noi. Poi, il resto non è nostra responsabilità individuale e sociale. La coscienza deve essere nitida e tersa.
4 – L’ARCHIVIO DI STATO DI ISERNIA
Come sai ho sposato una molisana, medico-chirurgo ospedaliero, che avrei voluto portare a vivere sullo Jonio per far contribuire pure lei ad una sempre più splendida Badolato. Ma per le indecisioni amministrative comunali-regionali prima e per l’esilio definitivo dopo, sono stato costretto a vivere io nel suo di paese, Agnone, città d’arte e capoluogo delle stupende montagne dell’Alto Molise, in provincia di Isernia. Dove, tutto sommato, mi trovo molto bene, però con una immensa voglia di mare cui ho sopperito (a ottanta chilometri) con un angolo di paradiso sulla scogliera di Vasto a strapiombo sul mare Adriatico. Il mio Azzurro infinito. Proprio quell’angolo di cielo che offre l’infinito come auspicato nel millenovecentosessantasette in “Gemme di Giovinezza”!
Pure come segno di riconoscenza e di gratitudine a questo meraviglioso territorio montano, dove vive un popolo ancora genuino e di saldi valori, ho espresso l’intenzione di donare tutto di me, tramite l’Archivio di Stato di Isernia, cui mi ero rivolto nel millenovecentonovantadue. L’allora direttrice Luigina Tiberio si mostrò così tanto entusiasta della mia ipotizzata donazione a tal punto che mi portò nei locali sotterranei dell’Archivio indicandomi un adeguato spazio dove posizionare, custodire e valorizzare il cospicuo materiale, frutto della vita vissuta fino ad allora, cui si sarebbe aggiunta tutta la documentazione che si stava accumulando con le sempre numerose iniziative sociali che realizzavo pure in Molise, anche con valenza internazionale. Come a Badolato.
Mi erano state date così tante sicurezze sul destino di tale mia ingente donazione da scrivere con tranquillità (pure a metà della pagina dodici del libro PRIMA DEL SILENZIO del giugno millenovecentonovantacinque) che l’Archivio di Stato di Isernia sarebbe stata la casa del mio ITER (cioè di tutto ciò che andavo producendo socialmente). Poi, come fulmine a ciel sereno, dopo aver preso un caffè al bar, una mattina di luglio millenovecentonovantanove, in Agnone, percorrendo la Via Cosmo De Horatiis (proprio all’altezza della nuova chiesa dei Cappuccini), la direttrice Tiberio mi ha detto che non era più possibile accettare la mia donazione. Senza rivelarmi il come ed il perché. In mancanza di una spiegazione, era legittimo fare spazio a tante illazioni e persino a dubbi e sospetti. Che però solitamente lasciano il tempo che trovano. Passo sempre oltre! Ho imparato che non bisogna avere paura dei “NO” ma è necessario andare sempre più avanti finché non si trova un “SI”. E se il “SI” non dovesse arrivare, non c’è da disperarsi, poiché chi perde è colui che dice sempre “NO”.
5 – L’UNIVERSITA’ DEL MOLISE
Ed era, comunque, mia intenzione donare tutto di me a questa Terra che mi aveva accolto bene. Infatti, queste fredde, a volte glaciali montagne mi avevano dato (come ha scritto ironicamente un giornale locale) “moglie e lavoro” (moglie il ventisette settembre millenovecentottantadue e lavoro il venticinque ottobre millenovecentonovantuno, a quarantuno anni e sette mesi, quando, dopo regolare concorso, sono stato assunto a tempo indeterminato dalla ASL – Unità Sanitaria Locale di Agnone come assistente amministrativo e tale – nonostante tutto il mio super impegno – sono rimasto, dopo venticinque anni di servizio, mentre tutti gli altri hanno fatto più di un avanzamento di grado).
Nella previsione del collocamento dei sessanta metri cubi di documentazione storica che avevo trasportato in Molise dalla mia casa di Badolato Marina, in due distinti viaggi con il camion di Giuseppe Marcovecchio (Edilizia Artigiana), avevo acquistato e ristrutturato un magazzino di cinquantotto metri quadrati in Villacanale di Agnone. Sempre più convinto che tutto questo materiale potesse essere utile ad una qualsiasi Comunità e alla Cultura più in generale, nell’ottobre duemilaquattordici ho inviato al prof. Gianmaria Palmieri, Rettore pro-tempore dell’Università degli Studi del Molise (Unimol) a Campobasso, una proposta di acquisizione gratuita ed indivisibile dei sessanta metri cubi di detta documentazione portata dalla Calabria e dei circa dodici metri-cubi che avevo già nella casa coniugale di Agnone (tra studio, sottotetto e retro-garage).
Per il pomeriggio di giovedì tredici novembre duemilaquattordici, il Rettore mandò per un sopralluogo quattro donne (tra docenti e dirigenti) capeggiate dal prof. Alberto Franco Pozzolo il quale (nato a Valdagno in provincia di Vicenza il ventidue dicembre millenovecentosessantaquattro) oltre ad essere docente di Economia Politica, era (e penso sia ancora), tra tanto altro, “delegato del Rettore per le problematiche connesse al funzionamento della Biblioteca d’Ateneo”. In più c’era un simpatico e taciturno autista del pulmino con cui da Campobasso sono venuti ad Agnone.
Dopo una piacevole sosta al Caffè Letterario di Piazza Plebiscito, nel cuore del centro storico di questa Agnone magnifica città d’arte, ho accompagnato i cinque inviati dal Rettore, più l’autista del pulmino, a casa mia, dove (nel mio studio-mansarda, nel sottotetto e in una stanza dietro al garage) ho la documentazione agnonese accumulata dal novembre millenovecentottantotto, dopo che ho lasciato definitivamente Badolato per il mio esilio molisano. Poi siamo andati al magazzino dove sono depositati tutti i baùli e i grossi pacchi con la documentazione proveniente da Badolato. Tutti (autista compreso) sono rimasti a bocca aperta per il tanto che hanno visto. Delle sei persone, soltanto una mi si è avvicinata per stringermi la mano, per abbracciarmi e per congratularsi di tutta quella mole di documenti, raccolti e conservati in così tanti decenni. Tale dimostrazione di inatteso affetto, più che di semplice ammirazione, mi ha commosso e mi ha confermato ancora di più che le persone veramente gentili e sensibili non sono ancora in via di estinzione. Esistono. E a volte basta una persona soltanto per gratificarci in modo assoluto per tutto il lavoro fatto in una intera vita! Basta poco per confortare un uomo per tanti sacrifici e vicissitudini. Ma quel poco bisogna avercelo dentro al cuore, alla mente e all’animo! E quella donna sicuramente aveva un bel gran mondo interiore. D’altra parte, appena arrivati in Piazza Plebiscito, ho accolti tutti con due piccoli doni assai emblematici della tradizione agnonese: una confezione da diciotto ostie (dolci alle noci) e uno scorcio del centro storico di Agnone con campanili impresso su un foglio di bronzo (trenta centimetri per diciotto). Tutti questi omaggi mi sono costati la bella cifra di duecentoquaranta euro. E solo per un “benvenuto”. Come mia abitudine spontanea e naturale. Con tutti, indistintamente con tutti. L’ospitalità è pur sempre sacra.
Inutile aggiungere che, attraverso tali inviati, non ho concluso nulla con l’Unimol. Non erano interessati se non a taluni aspetti della mia donazione che, comunque, avrei ancora voluto “indivisibile”. Poi, qualche mese dopo, nella giornata internazionale della donna, otto marzo duemilaquindici, ho ricevuto una promettente telefonata della professoressa Letizia Bindi della stessa Unimol, ma poi senza alcun sèguito. Letizia Bindi (nata a Grosseto il sei novembre millenovecentosessantasette e residente a Follonica) all’epoca era docente di Antropologia Culturale e si era formata all’Università di Roma con il professor Luigi Maria Lombardi Satriani, calabrese con alcuni parenti pure a Badolato.
6 – LE ALTRE UNIVERSITA’ ITALIANE
Falliti gli approcci con le Università regionali di riferimento territoriale (Calabria e Molise), ho voluto tentare la carta di tutte le Università italiane, scrivendo ai rispettivi Rettori. Ricevo un solo riscontro. Una email da una pro-rettore dell’Università di Padova che accettava, in linea di massima, tutta la mia donazione ed anche un’altra proposta: l’essere monitorato anche a fini scientifici, donando pure il mio corpo (vivo e morto) per eventuali studi. Non avrei potuto proprio dare di più alla società. Persino il mio corpo per esperimenti e studi psico-fisici! Pur avendomi promesso l’approfondimento e la formalizzazione dell’accordo, non ho più ricevuto nessuna altra notizia, nemmeno quando ho sollecitato una risposta allo scopo di potermi disimpegnare. Nulla. Era stato talmente impegnativo il riscontro di questa Vice-Rettore che ne avevo scritto pure a te in una delle mie lettere, contento che, finalmente, avevo trovato una adeguata collocazione al mio ITER esistenziale. Andiamo avanti!
7 – LA RAI-Radiotelevisione Italiana
Caro Tito, è ampiamente risaputo che la RAI-Radiotelevisione Italiana è l’ente pubblico più grande, importante ed operativo della cultura italiana, sia all’interno che all’esterno della nostra nazione. Quale migliore sede per il mio ITER, mi sono chiesto. Tentiamo. Così, ho scritto pure al Presidente della Rai. Il quale ha inviato la mia lettera-proposta al Direttore di Rai-Cultura. Questi, gerarchicamente, ha incaricato una gentilissima dirigente a telefonarmi. I contatti sono stati così frequenti che siamo quasi diventati amici e costei avrebbe voluto venire ad Agnone, un otto dicembre, per vedere il più grande spettacolo del fuoco del mondo (la ‘Ndocciata) e così poter parlare meglio e vedere la consistenza della mia donazione. Ma per l’otto dicembre avevo altri inderogabili e precedenti impegni. Concordammo la sua venuta a primavera, per evitare l’insidioso inverno agnonese.
Al posto di questa dottoressa, da Rai Cultura mi ha poi telefonato Sergio Gigliati, il quale mi ha proposto di parlare con il direttore di Rai Molise o di Rai Calabria (visto che sono calabrese) per concordare una donazione parziale, limitatamente alla documentazione regionale. In particolare erano interessati alla acquisizione delle migliaia di fotografie storiche-sociologiche. Al che ho ribadito pure al dottore Gigliati che la mia donazione restava indivisibile. Così si chiuse pure il discorso con la Rai. Ma prima ho fatto presente a Gigliati un tema assai importante (almeno a mio sentire, ma molto concreto) che è quello dei grandi patrimoni culturali che vanno persi per mancanza di eredi o perché sarebbe costato troppo gestirli a singoli o famiglie, quantunque di notevole importanza anche nazionale e spesso anche internazionale. Soltanto la Rai avrebbe potuto assumersi l’ònere e l’onòre di una acquisizione che però in gran parte sarebbe stata del tutto gratuita e sarebbe riuscita assai utile per la preparazione di molti dei suoi programmi, ma anzi ne avrebbe potuto produrre di nuovi e di sicuro successo. Gigliati mi assicurò che ne avrebbe parlato alla sua scala gerarchica e che mi avrebbe fatto sapere. Anzi, pure lui mi ha detto che, probabilmente, ci saremmo visti in Molise. Non ho più sentito la voce di Gigliati né letto altre sue email. Tuttavia, questo dei grandi patrimoni culturali multimediali in pericolo di dispersione e inutilizzo restava un problema di una gravità enorme. Provo a descriverti in breve la situazione.
8 – ALLARME GRANDI PATRIMONI CULTURALI
Fin da bambino (verso la conclusione della prima elementare) ho avuto la passione per i libri, convinto che lì dentro ci fossero dei tesori e delle meraviglie che davano gioia. E gioia, grande gioia ho provato quando la mia insegnante di prima elementare, la bellissima Mirella Martelli (la più brava ed affettuosa che abbia mai avuto, in assoluto) mi aveva promesso che da Soverato (dove abitava) mi avrebbe portato in dono (come merito per essere il più bravo della classe) un libro di fiabe. Non ci ho dormito la notte per l’attesa. Così, fin dalla mattina presto l’ho attesa alla stazione. Appena scesa dal treno mi diede (accompagnandolo dal suo indimenticabile, dolcissimo e affettuoso sorriso) un grande libro illustrato a colori, a copertina rigida e a forma quadrata (di circa trenta per trenta centimetri) intitolato IL GATTO CON GLI STIVALI. Da allora ho avuto un’attenzione particolare per i libri e per tutto ciò che fosse in grado di raccontare qualcosa. Infatti, come gran parte di noi, pure io ero cresciuto a “pana e cunticehy” (pane e racconti) attorno al braciere d’inverno e al mignano (l’uscio di casa) d’estate. Che tempi, altro che TV adesso!
Nel corso di questi miei sessantacinque anni da quel preciso momento, ne ho viste di tutti i colori riguardo i libri e i patrimoni culturali dissipati o dispersi oppure inadeguatamente valorizzati. Impressionante è stato osservare innumerevoli libri antichi e di pregio (in greco oltre che in latino e persino in arabo) lasciati a marcire per terra all’antico Convento francescano di Badolato. Oppure intere biblioteche dimenticate nelle case baronali o della borghesia locale. E’ pur vero che i libri hanno il pregio fondamentale di saper aspettare. Non c’è nulla e nessuno di più fedele di un libro. Però ogni attesa, specialmente se troppo lunga, è una possibilità persa per la crescita e la beatitudine di qualcuno! Un libro è come uno sposo o una sposa … ti sono fedeli anche se li trascuri … però ne perdi tutte le piacevolezze che ti possono saper dare!
Almeno la famiglia erede di don Peppino Sgrò ha avuto l’accortezza e l’ardire di donarla ad una auspicabile ed ipotetica Biblioteca Comunale di Badolato, nell’agosto millenovecentosettantasei … un camion di libri, raccolte di giornali, riviste e fotografie che ho tenuto in casa e che poi ho restituito ai proprietari nel gennaio millenovecentonovanta dopo il mio esilio e la speranza perduta di non poter più coltivare il sogno di una Biblioteca come centro di valorizzazione socio-culturale interzonale. Ma (senza ancora andare lontano da Badolato) mi chiedo che fine faranno i grandi patrimoni librari e multimediali come, ad esempio, quello dello storico Antonio Gesualdo che (data la sua importanza, preziosità internazionale e consistenza) avrebbe assoluta necessità di essere valorizzato almeno a livelli universitari anche se sarà ereditato da familiari (come è probabile). Per un privato non sarà facile gestire tutto questo ingente patrimonio, sudore di una intera e intensa vita! Se ci fosse stata una Biblioteca Comunale seria, tale patrimonio sarebbe stato di tutta la collettività, aumentando il prestigio culturale del territorio.
E che fine farà il patrimonio librario, multimediale e artistico del grande Nicola Caporale (millenovecentosei-millenovecentonovantaquattro) che ha una enorme importanza poiché, a mio parere, è stato scrittore meritevole del Premio Nobel? … Che fine farà il patrimonio (assai complesso e prezioso, compresi i diritti letterari, musicali e fotografici) del cantautore Vito Maida che ancora giace inutilizzato in un magazzino?… E che fine farà, ad esempio, un altro grande patrimonio, quello del prof. Remo Nicola de Ciocchis di Agnone del Molise che è uno dei più importanti del movimento non-violento italiano ed internazionale?…
Caro Tito, giorni fa, mi ha telefonato dal sud America un mio parente per chiedermi consiglio … a quale struttura pubblica potrebbe essere donata l’immensa biblioteca (specializzata in Storia dell’Arte) appartenuta alla sua famiglia genitoriale, in particolare alla madre professoressa? Un altro patrimonio destinato a disperdersi?…
Ma sono tantissimi, nella nostra Calabria e Sicilia (così come nel resto d’Italia e del mondo), i patrimoni socio-culturali assai importanti e consistenti che andrebbero acquisiti da strutture pubbliche in grado di valorizzarli e renderli fruibili ad una moltitudine di persone e più capillarmente nel territorio. Si parla tanto di Cultura o di Kultura … ma il panorama che vedo io è fatto da innumerevoli killer morali che (magari pur pagati per portare la cultura persino nelle periferie) tutto fanno meno che il proprio dovere, anzi diventano assassini di cultura e di memorie socio-culturali.
Insomma, a me pare che ci sia troppa indolenza o, peggio ancora, parassitismo (quando non ruberie) pure nella pur povera Cultura. E poi ci lamentiamo che l’Italia va male. Per forza, teniamo nascosti i nostri gioielli! Come teniamo nascosti immensi capolavori di pittura e di scultura, ammassati nei magazzini di Musei nazionali … opere di pregio, antiche e moderne, che non saranno mai visti, goduti e studiati da alcuno. A tal proposito oltre dieci anni fa ho scritto all’allora ministro per i beni culturali Sandro Bondi (nato a Fivizzano nel millenovecentocinquantanove) per proporre i musei provinciali come collocazione diffusa del patrimonio dimenticato nei depositi dei grandi musei nazionali. Pure qui indolenza, egoismi, mancanza di visione e di prospettiva, di lungimiranza e soprattutto di amore, dicasi Amore!
9 – DOVREBBE INTERVENIRE L’UNESCO
Caro Tito, per la grandiosità del fenomeno dovrebbe intervenire direttamente l’UNESCO (l’agenzia delle Nazioni Unite per la Cultura). Ma tale ente sovranazionale è attratto maggiormente dalla monumentalità, cioè dai più appariscenti beni culturali materiali, capaci di attrarre turismo e, quindi economia. Considerazione sbagliata (in buona o cattiva fede), dal momento che i libri, gli archivi ed altri beni culturali simili sono ancor più importanti dei monumenti d’ingegneria in pietra o in ferro poiché attengono alle idee. E sono le idee che hanno costruito il mondo, magari utilizzando la pietra, il ferro ed altro … ma tutto passa dalle idee. Idee che sono conservate nelle scritture. Come per la Bibbia o altri libri (tipo Vangelo, Corano, Il Capitale, ecc.) sono le idee ivi contenute che hanno rivoluzionato i popoli e, spesso, l’intero mondo. Perciò, il libro è o può essere sacro, persino quello considerato indecente o blasfemo. Nulla deve essere distrutto o disperso, poiché, spesso, a distanza di secoli torna di attualità. La censura non è consentita, in nessun caso.
10 – LA BIBLIOTECA COMUNALE DI AGNONE
Sempre con la chiara intenzione di donare al mio territorio di appartenenza tutto ciò che sono riuscito a produrre nella mia vita, nel duemilaquindici ho proposto formalmente all’allora sindaco di Agnone, Michele Carosella, di far acquisire gratuitamente dalla Biblioteca Comunale tutto il mio patrimonio culturale (compresi i diritti d’autore di libri, canzoni, articoli, foto, ecc.). Carosella ha dato mandato al giornalista Nicola Mastronardi, allora direttore (facenti funzioni) della Biblioteca, di effettuare un sopralluogo per valutare la consistenza della donazione e la fattibilità logistica della sua collocazione. Fatto il sopralluogo, Mastronardi pensava già di collocare tutto il materiale nel medievale Palazzo Bonanni, ipotizzando persino i locali dove accogliere, evidenziare e rendere fruibili libri e documenti. Gli ho promesso di dare gratuitamente una mano per la sistemazione, la catalogazione e la consultabilità pubblica. Mi avrebbe dato una risposta da lì a breve. Ancora sto aspettando.
Giusto per avere un’idea del clima socio-culturale esistente in quegli anni in Agnone, accenno soltanto al fatto che il sindaco Michele Carosella (amministrazione social-comunista) ha boicottato il mio tentativo contro lo spopolamento di Agnone città, frazioni e campagne quando (sabato nove e domenica dieci maggio duemilaquattordici) ho fatto venire da Roma (a spese mie, di Giuseppe Marcovecchio Edilizia Artigiana e di alcuni altri imprenditori locali) ben quattordici giornalisti della stampa estera per due giorni con lo scopo di invogliare (con i loro scritti e servizi TV) famiglie straniere ad acquistare case e terreni inutilizzati, ma anche per incrementare il turismo. Ho avuto così, con Agnone, conferma pure di ciò che è avvenuto a Badolato con il tradimento dei comunisti locali nel biennio millenovecentottantasei-ottantotto per via della vicenda del “paese in vendita” (peraltro da loro stessi appoggiata, pubblicamente sostenuta e persino utilizzata). Buon sangue non mente! E non scrivo o parlo a vanvera quando mi riferisco alla “dittatura comunista” a Badolato (e in altri luoghi) da riscatto che ha rappresentato … fermo restando che qualsiasi “potere politico” di qualsivoglia colore e ideologia tende alla “dittatura” senza l’attenzione continua e la partecipazione intelligente dei cittadini. Tuttavia è storicamente accertato e comprovato che il “comunismo storico” è diventato “dittatura” ovunque sia stato utilizzato come metodo di governo. Salvo poche eccezioni, che confermano la regola.
11 – ARCHIVI DI STATO DI VIBO – CATANZARO E REGGIO
A proposito della mia donazione totale, dopo il fallimento del millenovecentonovantanove con l’Archivio di Stato di Isernia, in vari anni sono stato pure in contatto con la Soprintendenza Archivistica della Calabria che ha sede in Reggio e che, accettando in linea generale, aveva individuato la migliore collocazione dell’imponente materiale all’Archivio di Stato di Vibo Valentia che, essendo di recente istituzione si trovava ad avere pure più spazio fisico per ospitare il mio voluminoso ITER. Ho cominciato, così, ad inviare per posta del materiale documentario. Ma poiché sono un “inguaribile ottimista per cuore e idealità” ma “pessimista atavico per esperienza individuale e storica” e non sono affatto e comunque un “uomo di fede” e a me piace sempre verificare e toccare con mano (come e forse più di san Tommaso), dopo alcuni mesi dall’accordo, nella primavera del duemiladieci, mi sono recato appositamente da Agnone a Vibo Valentia per parlare di persona con la dottoressa Teresa Muscia, direttrice di quell’Archivio, pure per programmare eventualmente la consegna della cospicua donazione. Ho addirittura trovato l’inattesa contrarietà da parte di costei, in netta contrapposizione con quanto mi aveva assicurato la Sovrintendente di Reggio. Misteri della fede!?… Così mi sono rivolto al direttore dell’Archivio di Stato di Catanzaro, il quale si è detto più disponibile, pure perché si ritrovava con più spazio nel deposito della nuova sede. E ho cominciato ad inviare a lui taluna documentazione, tra cui l’originale dei primi due volumi della mia tesi di laurea su Badolato. Comunque, per non sapere leggere e scrivere, ho redatto un apposito testamento in cui affermo, a scanso di equivoci, che, in caso di mia premorienza, tutto il mio ITER (ovvero la voluminosa donazione) è a disposizione dello Stato, tramite la Soprintendenza Archivistica e Bibliografica della Calabria. Facessero loro poi ciò che riterranno opportuno. Perso per perso, passo allo Stato la responsabilità. E, poi, adesso, sono proprio stufo. Chi resta facesse ciò che gli riesce meglio … possono pure mandare tutto e fisicamente al rogo (come giustamente diceva mia madre)!
12 – L’APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Caro Tito, con la più negativa esperienza che ha avuto mio padre con la burocrazia, l’inefficienza e l’indolenza statale sperimentate pure da me, vuoi che io (viste e constatate anche tutte queste mie traversìe) dia più il pur minimo credito alle istituzioni, che (nonostante le belle leggi) sono comunque fatte di persone con tutti i loro difetti innati ed acquisiti?… Se il nostro mondo e se la nostra società italiana e calabrese, in particolare, vanno male … ci sarà più di uno o più motivi, vero?… Tuttavia, come ormai è in uso dopo che uno le ha tentate tutte, mi sono rivolto all’ultima spiaggia italiana che, almeno apparentemente ultima, è la Presidenza della Repubblica. Con tale istituzione, cui mi rivolgo continuamente per evidenziare problemi e temi non accolti altrove, ho avuto un rapporto come con un sordo-muto. Sarà che è un’istituzione che fa fatica (proprio perché è un’ultima spiaggia per il cittadino) … sì fa fatica persino a dove riporre semplicemente tutte le lettere e gli appelli che vi giungono … sta di fatto che, pure per sentirmi come colui che le ha tentate tutte, ho rivolto un accorato appello all’allora presidente Giorgio Napolitano (al Quirinale dal duemilasei al duemilaquattordici) e per conoscenza ai competenti Ministeri.
L’appello non era tanto per la mia donazione personale, quanto per esporre l’esigenza (caso mai non lo sapesse) dell’immenso patrimonio socio-culturale che andava continuamente perso per mancanza di eredi da parte di piccoli e grandi studiosi, piccoli e grandi collezionisti e quanto altro. Come ho accennato sopra, al paragrafo 9, in particolare a proposito dell’UNESCO. L’appello ipotizzava l’istituzione di un fondo nazionale dove fare affluire tutto ciò che, per donazione o mancanza di eredi, non poteva e non doveva andare perso, ma bensì fosse accolto e valorizzato il più possibile. E pubblicamente.
Ma, caro Tito, in uno Stato, come l’Italia, in cui lo spreco della ricchezza nazionale è quotidianamente spaventoso ed immorale, vuoi che qualcuno ti ascolti??? … fosse anche il Presidente della Repubblica, la nostra suprema Autorità!!!?… Infatti, non ho ricevuto nemmeno uno straccio di risposta o semplice riscontro burocratico, neanche via email (visto che è il mezzo più veloce, di poca spesa, minimo impegno e niente fatica). Capisco che ogni giorno affluiscono al Quirinale migliaia di lettere ed appelli … ma la Presidenza della Repubblica è notoriamente davvero l’ultima spiaggia e la principale centrale di ascolto del popolo italiano. Non a caso viene indicata come “la casa degli italiani”… Altrimenti, che casa è???!!!…
Allora ho inviato una nuova lettera raccomandata con avviso di ricevimento chiedendo alla massima Istituzione dello Stato se il mio appello non fosse stato degno di una pur formale risposta. Così, ho ricevuto la formale risposta da parte di uno degli innumerevoli Uffici del Quirinale. Risposta che a me è bastata e basta, poiché è un chiaro documentato che il mio appello è stato almeno letto e protocollato e, quindi, dava a me la possibilità di dimostrare di averle proprio tentate tutte, riguardo un tema (come quello della dispersione o dissipazione del patrimonio socio-culturale) che rappresenta per l’Italia (e non solo) una perdita immensa di identità e di democrazia, a parte la perdita di una importante risorsa anche economica.
13 – L’IMPOSSIBILITA’ DI MANTENERE L’UNITA’ DELLA DONAZIONE
Giunto ormai a settant’anni (dopo averle tentate tutte e dopo aver visto tanti altri casi simili al mio o addirittura peggiori) devo constatare l’impossibilità che la mia donazione rimanga unita, poiché finora non ho trovato nemmeno una sede che l’accolga. Così come devo constatare che, anzi, esista il rischio di una dispersione e di una inutilità quasi totale di tutto un patrimonio sociale costato molta fatica, ma destinato (mio malgrado) a disperdersi, a non significare e ad essere anche fisicamente distrutto. Come i panni di Cristo, mi disse una persona, cui replicai … “fossero solo panni, qui si tratta di un vero e proprio figlio che avresti voluto utile alla società e che invece la stessa società ti uccide”. Ma quanti figli del popolo sono stati uccisi nelle guerre e quanti ne vengono uccisi in vari modi ancora oggi di apparente democrazia costituzionale?!… Le istituzioni (stando alla prova dei fatti) dissipano pure le vite umane, senza limite di numero e senza farsi troppi problemi e tanti scrupoli … come sta accadendo in Lombardia o altrove nella gestione sconsiderata dell’epidemia-pandemia del Covid-19. Si uccide, specialmente quando sai che non pagherai per i tuoi delitti. Così pure per le morti sul lavoro o le morti per droga e tanto altro. Rientriamo tutti in una concezione troppo labile (quando non colpevole o colposa) della vita umana, figuriamoci per la vita di una donazione culturale!… Ma quanto vuoi che importi alle Istituzioni del sudore della gente e di quanto si fatichi a mettere insieme un qualsiasi patrimonio, culturale o no che sia! Questa è purtroppo la situazione. Una situazione di autolesionismo, al limite del suicidio etico, oltre che culturale.
14 – LA SITUAZIONE ATTUALE E LA DECISIONE
Essendo la mia una situazione assai simile a quella di tanti altri, sono certo che più di uno dei nostri lettori si potrà identificare nelle mie stesse peripezie e nell’impossibilità di entrare in una volontà sociale e in una lungimiranza istituzional-governativa. Non esistono né volontà né lungimiranza se non per i propri esclusivi affari personali, di ceto o di categoria. O forse non sono stato io in grado di intercettarne e trovarne. Mea culpa! Mea massima culpa! Comunque sia, la “mia” realtà è questa e come tale devo affrontarla in qualche modo. Fallito il mio grande amore verso la mia comunità natìa e verso la mia più ampia società di appartenenza, mi tocca correre ai ripari, sperando che la vita e la morte mi diano il tempo di provvedere adeguatamente.
Così, proprio io che credevo (e credo ancora nonostante tutto) nell’amore sociale, verso tutti indistintamente, sì, proprio io e paradossalmente io mi trovo a ripiegare sul più tradizionale dei metodi fin qui adottati da tempi immemori … affidare, in tutto o in parte, la propria eredità esistenziale a elementi della propria famiglia. Deluso e amareggiato di non essere riuscito a fare della mia società di appartenenza una vera “famiglia”. E già, comunque, che la stessa famiglia dei miei Genitori, alla fin fine … Comunque, l’urgenza esistenziale esige una decisione conseguente, prima che vada veramente tutto perso. Irrimediabilmente perso. Allora, a chi rivolgermi se non alle persone che mi sono state le più vicine ed affettuose a questi miei settant’anni? E vuoi sapere chi sono già o chi potrebbero essere?…. Intanto ti elenco le persone cui ho, in questi ultimi due mesi, distribuito ed affidato una parte minima però significativa del mio patrimonio culturale.
15 – L’ELENCO AFFIDATARI DEL PRIMO ITER
Tu, caro Tito, sei stato il primo affidatario di una mia significativa Opera, fin dall’autunno dell’anno duemiladodici, quando ti ho detto: “Resta già da adesso tuo tutto ciò che di mio pubblicherai sul tuo sito www.costajonicaweb.it a partire dalle “Lettere a Tito” che (giunte con questa alla n. duecentosettantanove) hanno avuto inizio il quattro ottobre duemiladodici a puntate numerate; per poi proseguire con le “Lettere su Badolato” (iniziate il ventisei novembre duemilaquindici e giunte alla numero trentasei il cinque ottobre duemiladiciassette) e purtroppo interrottesi, però con l’intenzione di riprenderle appena possibile (già così hanno quasi un senso compiuto, ma se posso portarle a termine sarebbe meglio).
Caro Tito, penso che sia un bel po’ di patrimonio socio-culturale che ti toccherà custodire, gestire e possibilmente valorizzare, in collaborazione con i tuoi eredi generazionali cui andranno i diritti d’autore e di piena proprietà (forse a cinquant’anni dalla mia morte, prima che diventino patrimonio pubblico). Se finora sono ben trecentoquindici le lettere da me scritte e da te pubblicate, considera quante ne saranno ancora, se avrò vita e salute e se tu non ti stancherai di riceverle e di evidenziarle.
Un’altra persona rientra già, prima delle donazioni di questi ultimi due mesi, nel mio desiderio di affidarle qualcosa di mio più significativo nel valore affettivo e culturale. E’ una ragazza assai brava e brillante a scuola e molto volenterosa in famiglia. E’ figlia di un mio carissimo e stimatissimo collega di lavoro, deceduto improvvisamente e assai prematuramente qualche anno fa. Già avevo scritto di Maria Cristina (si chiama così) quando si era distinta per bravura anche letteraria in quinta elementare. Adesso frequenta la terza classe nel liceo di Vairano Scalo, in provincia di Caserta. Anche in onore dell’amicizia fraternamente sincera che avevo con il padre Raffaele, ho cominciato a donarle alcuni libri (ancora cellofanati) di cultura generale e, in particolare, tutto il Teatro Greco. Fra qualche tempo, quando si potrà circolare dopo l’emergenza Covid-19, Le porterò qualcosa che le può essere più utile per qualsiasi alto corso di studi o di professione abbraccerà. Vorrei contribuire, nel mio piccolo, a fare di questa ragazza, ma anche della sorella minore, ciò che era il sogno del loro padre. Il cui amore, puoi immaginare, manca loro fin troppo.
Adesso passo ad elencare, in breve, le donazioni (micro ma significative) che ho fatto in seguito.
A – Alla neonata Alice (nipotina di alcuni carissimi amici) è andata l’Enciclopedia SCRIVERE – tecniche e percorsi per chi ama raccontare (quaranta volumetti, mediamente di centotrenta pagine cadauno) edita a puntate dal dicembre duemilatredici da Fabbri Publishing srl – Milano (RCS libri SpA).
B– Con atto formale di donazione il quattro marzo duemilaventi (nel giorno del mio settantesimo compleanno) a mio nipote Nicolino Lanciano residente in Soverato (nato nel millenovecentosettanta, figlio di mio fratello Vincenzo) sono andati i sette volumi del “LIBRO-MONUMENTO PER I MIEI GENITORI (edizione duemilacinque-duemilasette).
C – Giorno ventiquattro marzo duemilaventi al mio pronipote Claudio Caroleo di Catanzaro (nato nel millenovecentonovantotto, figlio di mia nipote Brunella Lanciano e di Giancarlo) è andato l’opuscolo “LETTERE AL FUTURO” (edito nell’aprile millenovecentonovanta).
D – Giorno ventisette marzo duemilaventi (in occasione del sessantunesimo compleanno dell’amico Totò Rudi) alla famiglia di Antonio e Caterina Rudi di Badolato Marina (figli Salvatore, Francesco, Ludovica e Giulia) è andato (in anticipo sulla conclusione) il secondo volume della trilogia de “IL SOBILLATORE”, iniziato a scrivere il quattro marzo duemilaventi.
E – Giorno ventotto marzo duemilaventi al mio caro amico di infanzia e vicino di Ina-Casa, dottor Domenico Rovito, medico odontoiatra in Soverato (CZ), è andato l’opuscolo “IL SOBILLATORE” (paradigma base della omonima trilogia) edito il quattro marzo duemiladiciannove.
F – Giorno trentuno marzo duemilaventi al mio caro amico, compositore e direttore d’orchestra (nonché compagno di banco nei tre anni di scuola media a Catanzaro Lido, ritrovato poi all’Università di Roma, condividendo il medesimo appartamento negli anni millenovecentosettanta-settantatré) Rosario Mirigliano è andato il volumetto di poesie “GEMME DI GIOVINEZZA” edito il tredici dicembre millenovecentosessantasette (seconda edizione inserita nel libro “Prima del Silenzio” – millenovecentonovantacinque).
G – Giorno trentuno marzo duemilaventi alla mia cara amica fin dalla prima media e premiata poetessa Rosina Chiarella di Borgia (CZ) è andata la raccolta di poesie “30 ANNOTAZIONI COME I NOSTRI 30 ANNI” (prima edizione gennaio millenovecentottanta, seconda edizione millenovecentonovantacinque nel volume “Prima del Silenzio”).
H – Giorno tre aprile duemilaventi al mio pronipote Christian Lanciano (nato a Milano nel duemilatré, figlio di mio nipote Antonio Fernando e di Carola Brugnano) ho donato la piena proprietà del libro “PRIMA DEL SILENZIO” edito nel giugno millenovecentonovantacinque (ad esclusione delle due raccolte di poesie, già assegnate – come sopra – a Rosario Mirigliano e Rosina Chiarella).
I – Giorno quattro aprile duemilaventi al mio parente ed amico Giorgio Bressi (Brescia millenovecentoquaranta) è andato il primo volume “IL SOBILLATORE D’ARMONIA” (edito nel marzo duemilaventi) della trilogia “IL SOBILLATORE”.
J – Giorno quattro aprile duemilaventi ai cari amici Antonio Ermocida (millenovecentonovantadue), Cosimo Ermocida (millenovecentonovantotto) e alla loro madre Maria Caturano di Roma, Eredi del mio fraterno amico Enzo Ermocida (millenovecentocinquantuno-duemiladiciassette) sono stati affidati il libro “STORIA DELL’INTELLIGENZA” (millenovecentonovantadue), la Prefazione e la Post-fazione al romanzo di Rosa Gallelli “Spiragli da una bocca di lupo” (millenovecentonovantadue) per come presenti nel bi-libro, stampato in Pescara da Gabriele Brandolini.
K – Giorno quattro aprile duemilaventi al mio caro amico fin dai tempi di adolescenza e di “Euro Universal” Vincenzo Antonio Maria Serrao (nato a Fossato Serralta – CZ – il tredici settembre millenovecentocinquantatré), residente in Roma, ho assegnato l’opuscolo “IL FUTURO E’ POP-ISLAM” (edito nell’ottobre duemilasedici).
L – Giorno otto aprile duemilaventi all’associazione culturale “La Radice” di Badolato (presidente pro-tempore prof. Mario Ruggero Gallelli) sono andati la piena proprietà e i diritti d’autore dei due volumi descrittivi della mia tesi di laurea “EVOLUZIONI DELLE CARATTERISTICHE SOCIO-ECONOMICHE DI BADOLATO NEL DOPOGUERRA” (Roma venticinque luglio millenovecentosettantasette) ad esclusione del terzo volume (raccolta fotografica-sociologica) che, assieme a tutto il mio patrimonio foto-iconografico, avrà altro destinatario.
M–Giorno otto aprile duemilaventi ai fratelli Luigi, Marzia e Gabriella Mastronardi di Agnone del Molise è andato il volumetto “VILLACANALE IL PAESE DELLE REGINE” (edito nel luglio millenovecentonovantasei).
N – Giorno ventidue aprile duemilaventi all’artista Marry Ecipery (millenovecentocinquantasei) è stato assegnato l’opuscolo “DULCIS IN FUNDO” (edito nel gennaio duemilatredici).
O – Giorno ventiquattro aprile duemilaventi al piccolo Lorenzo La Cava di Latina (nipote dei miei tipografi agnonesi di fiducia Antonio Litterio e Anna Di Tullio) è andato l’opuscolo “UN FUTURO PER L’ALTO MOLISE” (edito nel giugno millenovecentonovanta). Tale opuscolo è stato stampato da questi suoi nonni e voglio che lo tenga pure in loro onore, a ricordo di quando si usava ancora la linotype per la carta impressa dai caratteri a piombo (antica tecnologia ora in disuso per gli attuali metodi informatici di stampa digitale e litografica). Un reperto storico ormai!
P – Giorno venticinque aprile duemilaventi al medico psichiatra Domenico Barbaro (Platì – RC – millenovecentoquarantanove) mio caro amico fin dalla seconda classe di liceo classico a Locri (poi rivisto e frequentato all’Università di Roma e alla nostra nuova e definitiva residenza in Molise) è andato l’opuscolo “IL TRENO DI IDA” (edito nel gennaio duemilaundici).
Q – Giorno ventisei aprile duemilaventi all’amico cantautore e scrittore Riccardo Ceres (Caserta millenovecentosettantotto) sono stati donati i diritti d’autore e la piena proprietà di tutti i miei testi letterari per canzone depositati finora alla SIAE.
16 – EREDITA’ DI AFFETTI
Caro Tito, come hai potuto notare, le vicende della vita e della società mi hanno “costretto” a tornare all’antico, alla tradizione, a quando, cioè, era in uso prevalente donare la proprietà ad uno o a diversi eredi legittimi, uniti dagli affetti familiari e dai legami di sangue. Ho lottato decenni per cercare di rendere proprietà di tutti, di socializzare, mettere in comune in modo del tutto gratuito e volontario tutto ciò che ho voluto e sono riuscito ad ottenere con il mio lavoro ed il mio impegno amoroso e stacanovista. Non che mi dispiaccia o che non sia giusto, poi alla fine, scegliere, preferire o privilegiare gli affetti rispetto all’etica sociale … però avrei voluto dare una dimostrazione di affetto a tutti gli appartenenti alla mia società di riferimento. Al bene comune, insomma, considerando mia famiglia tutta la comunità. Non mi è riuscito questo salto di qualità (che, ovviamente, non dipendeva soltanto da me). Chissà quanti anni, decenni o forse secoli ci vorranno ancora perché ognuno di noi si consideri “bene comune” e metta a disposizione di tutti gli esiti del proprio lavoro e della propria passione sociale e civile, ma ci sia una istituzione disposta ad accogliere e a valorizzare tale “bene comune”.
Comunque sia, rammarico etico a parte, sono lieto di avere assegnato ai suddetti familiari, parenti ed amici (tutti cari nel mio affetto e nella mia più grande considerazione e stima). E sono altresì felice (come ho detto a ciascuno) che un piccolo pezzo della mia esistenza appartenga per sempre a loro e ai rispettivi eredi. Che da loro sia custodito e possibilmente valorizzato. Non è una donazione economica, ma morale e affettiva. Una eredità morale e di affetti, come si diceva una volta. Sì, una volta. Viviamo ancora e sempre, infatti, al passato. Senza lungimiranza e senza vero “bene comune” da tutti condiviso, istituzioni e cittadini.
17 – LA CIVILTA’ DEL DONO
Quanto sopra, si spiega se si pensa che io appartengo alla civiltà del “dono”. La civiltà contadina a cui appartengo (fieramente e con immenso orgoglio) si basava sulla condivisione e sul dono. In particolare, nel Sud Italia c’è ancora (là dove non è intaccato dalla società del profitto a tutti i costi) questa cultura e tradizione del “dono” reciproco. Non può capirla chi non l’ha mai praticata o non l’ha mai sperimentata almeno una volta nella vita. E’ una civiltà dove il denaro ed il profitto hanno un significato ed un valore assai relativo e dove è importante l’affetto e l’amore reciproco. E’ una filosofia di vita che rende felici, poiché nell’altruismo si realizza l’apoteosi esistenziale e lo scopo principale su cui si basa la comunità. I miei Genitori (che pure per questo ho celebrato in parecchi miei scritti) sono stati i miei primi maestri, assieme ai contadini e agli operai rurali della mia contrada natìa di Cardàra. Sono stato nutrito dall’idea e dalla pratica del dono. Ecco pure perché avrei voluto donare tutto di me stesso (persino il mio corpo per eventuali studi scientifici) ad una Università. Ma non è stato possibile per mancanza di lungimiranza istituzionale. Amen. Alleluja!
18 – DONARE SENZA ASPETTARSI NIENTE
C’è un aspetto che, nel dono, rende ancora più felici … quel proverbiale “Fai bene e scordati, fai male e guardati (stai attento)”. Cioè il dono va fatto senza aspettarsi niente, dimenticando (scordarsi) persino di averlo effettuato. Il dono migliore deve essere fatto in silenzio e, possibilmente, all’insaputa del beneficiario (pure per non umiliarlo poiché è nel bisogno o per non ingenerare il lui il pensiero o l’ansia della riconoscenza). Il dono è assoluto, cioè slegato da ogni possibile laccio visibile o invisibile.
Il dono, infatti, è un gesto genitoriale. E sentirsi “genitore” di qualcosa è assai gratificante. Come ho più volte scritto su questa capacità di donare in modo estremamente altruistico dei miei Genitori e di tante persone più o meno come loro, la felicità consiste essenzialmente nel donare non soltanto nella condivisione, ma nel donare in modo completo e senza aspettarsi niente, nemmeno la condivisione.
Il dono (ho poi notato nell’esercitarlo) è un gesto sacerdotale, salvifico per chi lo compie e per chi lo riceve. Ho scritto nel libro IL SOBILLATORE DI ARMONIA (duemiladiciannove) che, specialmente nella concezione cristiana, siamo tutti sacerdoti almeno per due motivi. Primo perché tutti siamo figli di Dio. Secondo perché siamo sede dello Spirito Santo. Se questa Teologia è vera come è vera in natura la genitorialità gratuita (persino senza bastone della vecchiaia), ognuno di noi è “sacerdote” della vita e dell’Armonia. Bisognerebbe riflettere molto su questo.
19 – IL PRIMO MAGGIO DEL LAVORO SPRECATO
Caro Tito, tutti siamo “lavoratori” al di là della Giornata del Primo Maggio. Ma ognuno è un lavoratore a sé e, quindi, ognuno celebra, festeggia, pensa o concepisce il proprio lavoro in modo diverso. Ad esempio, io oggi concepisco un “Primo maggio del lavoro sprecato” … nel senso che (per colpa della carenza affettivo-istituzionale-identitaria dei responsabili della cosiddetta Cosa Pubblica o Repubblica) sento come quasi completamente sprecato tutto il lavoro e l’impegno della mia vita … tutto è risultato vano, alla fin fine … crescere, studiare, formarsi, impegnarsi, lavorare per la comunità … se poi non puoi, come me, donare alla tua comunità di appartenenza tutto il tuo lavoro esistenziale effettuato unicamente con scopi etici e sociali.
Quante vite sprecate e quanto lavoro sprecato! … Potremmo stare tutti meglio. Invece, per colpa dei pochi avidi, il nostro mondo, la nostra umanità è in gran parte uno spreco che griderebbe vendetta al cospetto di Dio! Questa dello spreco esistenziale di miliardi di vite umane e di preziose risorse del nostro pianeta potrebbe essere una delle principali riflessioni per il dopo-Covid-19.
20 – IL VALORE DI QUESTA LETTERA n. 279
Questa lettera numero duecentosettantanove ha almeno due ordini di valore. Il primo è per celebrare la giornata del Primo Maggio, Festa del Lavoro e dei Lavoratori. Ed io mi considero un lavoratore stacanovista, che cioè non lascia niente di intentato e cerca di non perdere tempo per vivere a favore esclusivo del bene della comunità. A questo aggiungo la tradizione di premiare, come Università delle Generazioni, coloro che più di tanti altri si impegnano nell’altruismo attraverso il lavoro ed il volontariato. Hai già riportato l’elenco e le foto di coloro che hanno ricevuto il Gran Premio delle Generazioni 2020.
Secondo, la presente lettera è utile per notificare (a chi ne possa essere interessato) che c’è stato un passaggio di proprietà nelle mie opere, dei miei lavori di scrittura e di intelletto. D’ora in poi, chi volesse utilizzare o ristampare qualcuna delle mie pubblicazioni a stampa (presente nell’elenco del suddetto paragrafo 15) non deve più rivolgersi a me, ma a chi è detentore della piena proprietà legale e dei diritti d’autore. Cioè il nuovo proprietario cui ho donato gratuitamente e con molto affetto l’opera, per quanto piccola. E’, in pratica, una “lettera-notifica” pubblica che vale, ad esempio, come un manifesto affisso per le cantonate del paese o della città o all’Albo delle Istituzioni.
21 – SALUTISSIMI
Caro Tito, sono altresì felice che i destinatari di questo mio gesto di amore, affetto ed amicizia abbiano apprezzato pienamente tale donazione morale ed etica. Così come lo hai apprezzato tu stesso, che mi onori ancora della tua fraterna amicizia. Ed io ti ringrazio per darmi questa ampia possibilità di essere presente alla nostra comunità ogni volta che ne ho voglia e lo desideri o abbia necessità di esprimermi e di comunicare. Possibilità che io sento tanto preziosa da considerarla un vero e proprio privilegio.
Così come ringrazio i gentilissimi Simone Musmeci (direttore ed amministratore unico del portale www.soveratoweb.com), Raffaele Cardamone (anima di www.ilReventino.it di Soveria Mannelli – CZ) che da qualche tempo mi hanno aperto le porte della loro ammirevole e continua disponibilità. Cui recentemente si è unita la generosa sensibilità dei siti giornalistici web calabresi www.lanuovacalabria.it, Calabria.Live – quotidiano on line dell’orgoglio e della cultura calabrese diretto da Santo Strati, www.calabriacontatto.it, ecc. e in modo episodico od occasionale numerose altre testate web, radio-televisive e cartacee. Per non parlare di tanti altri generosi portali e della gentilezza di amici giornalisti come Franco Laganà di Badolato (Il quotidiano del Sud, in cartaceo) o come Maurizio d’Ottavio (www.ecoaltomolise.net), Maria Rosaria Carosella (www.altomolise.net) e Vittorio Labanca (www.teleaesse.it) in Agnone del Molise, Vittorio Venditti a Gambatesa (CB), Elisabetta Scuncio e Sergio Di Vincenzo di Isernia, il direttore e maestro di giornalismo Pasquale Lombardi di Fornelli (IS). E tanti altri, che qui sarebbe troppo lungo il solo elencarli e ai quali sono devotamente riconoscente e grato.
Come non ricordare e ringraziare poi altri miei “storici” maestri di giornalismo che ancora mi si rendono utili, in modo commovente, come Pino Nano (Rai), Pietro Melìa (Rai), Vincenzo De Virgilio (ex AGI, ASCA e oggi Agenzia Calabria Notizie) … giusto per citare coloro che tuttora sono più presenti alla mia attività giornalistica, di comunicazione e di diffusione già da almeno tre decenni o più.
Ritengo di aver dato un senso compiuto a questa mia lettera numero duecentosettantanove e che, quindi, possa passare ai saluti, in attesa di inviarti la “Lettera numero duecentottanta”.
Alla prossima, quindi, e sempre con tanta cordialità, riconoscenza e stima.