Luigi Farinaccio – On Air Su Radio Punto Stereo
15 Aprile 2020
Mafia O Stato?
16 Aprile 2020
Mostra tutto

L’Epidemia Nell’Arte: I Ragazzi Dell’IIS Pertini Montini Cuoco Al Lavoro

Di Veronica Tanno

“DALLA PESTE AL CORONAVIRUS: LE PANDEMIE E LA CULTURA” è il titolo scelto per il progetto che da continuità alle attività della Web Radio TV Cuoco (ri)programmando riflessioni per la rubrica “Parliamone al Cuoco”. Questa volta una studentessa dell’Istituto Cuoco, Rosaria Perna della terza C, ci racconta la meteora artistica di Egon Schiele e il personale “incontro” del pittore con l’influenza spagnola.

La meteora artistica di Egon Schiele
di Rosaria Perna | Classe 3^ sezione C | Istituto Professionale di Stato “Vincenzo Cuoco”

In questa nostra rubrica stiamo provando ad analizzare le diverse influenze che le pandemie hanno avuto nei vari campi della cultura. Se nel percorso storico abbiamo viaggiato nel tempo passando in rassegna le mortali epidemie del passato per cogliere le analogie con l’attualità, con le analisi delle opere di Manzoni, Poe e Sclavi ci siamo addentrati nel mondo della letteratura (italiana, straniera e disegnata) per capire come la creatività umana riesca sempre ad esorcizzare la devastazione prodotta da eventi così drammatici.

La pandemia che tra tutte più ha sconvolto e cambiato la cultura occidentale è stata l’Influenza spagnola. Nota anche come “grande influenza”, la spagnola è stata un’epidemia influenzale che, tra il millenovecentodiciotto e il millenovecentoventi, ha colpito circa un terzo della popolazione mondiale facendo registrare circa cinquanta milioni di decessi. La sua forza distruttrice non ha risparmiato nemmeno intellettuali e artisti di fama internazionale come lo scrittore e critico d’arte Guillame Apollinaire, il sociologo tedesco Max Weber, il pittore portoghese Amadeo de Souza-Cardoso, il pittore georgiano Niko Pirosmani, l’artista austriaco Egon Schiele e la sua famiglia. Proprio quest’ultimo viene ricordato come una delle vittime più illustri della famigerata epidemia.

Egon Leon Adolf Schiele (12 giugno 1890 – 31 ottobre 1918) – Nato in un piccolo borgo della Bassa Austria il dodici giugno milleottocentonovanta, Schiele perde molto presto il padre, morto di sifilide. Secondo alcuni studiosi, questo tragico evento ha influenzato la poetica di Egon, nelle cui opere l’erotismo appare spesso tragico e tormentato. Con la morte del padre, la tutela di Egon viene affidata allo zio che ne riconosce il talento artistico e lo fa iscrivere all’Accademia di Belle Arti di Vienna. I rigorosi insegnamenti dell’Accademia vanno stretti al giovane Egon che comincia a sperimentare uno stile molto personale, al di fuori dei rigidi canoni imposti dagli insegnanti. L’incontro con Gustav Klimt, il padre della Secessione viennese, gli cambia la vita. Klimt, artista ormai affermato, aiuta il giovane allievo procurandogli le modelle da ritrarre e i contatti con il fervente ambiente artistico viennese.

“Madre morta” (1910, Olio e matita su tavola, cm 32,4×25,8 – Collezione privata) – Fin dai primi lavori emerge quel tratto nervoso, spiccatamente espressionista, che gli permetterà di passare alla storia come artista dall’animo profondo e inquieto. Le sue opere, attraverso una deformazione delle figure in cui la sensualità e l’erotismo si uniscono alla morte e alla malattia, fanno sì che i dubbi esistenziali dell’artista si trasformino in domande poste allo spettatore sulle questioni più profonde dell’esistere. Nel millenovecentodieci, l’artista dipinge “Madre morta”, opera in cui la maternità ed il terrore della morte entrano in stretta relazione. Il cupo dipinto è rischiarato da una luce interiore che accentua il contrasto tra la vita e la morte. Per Schiele “i corpi possiedono la propria luce, che consumano vivendo”.

“Agonia” (1912, Olio su tela, cm 70×80 – Monaco, Neue Pinakothek) – Nell’opera “Agonia”, del millenovecentododici, un monaco prega al capezzale di un fratello moribondo. Le teste dei due monaci sono accostate: quello più anziano e barbuto è ritratto di profilo, mentre quello più giovane di fronte. Il vecchio religioso, con sguardo preoccupato e gesto implorante, si rivolge al giovane, il cui volto agonizzante ha la forma di un teschio. L’uomo, in un estremo atto di devozione, si preme la mano sinistra al cuore, mentre la mano destra con le stigmate rimane sospesa nel vuoto, come paralizzata dal dolore. L’anziano monaco si fa testimone del dolore, dell’agonia e della morte del giovane.

Wally in camicia rossa, con ginocchia alzate (1913, Gouache, acquerello e gessetto nero su carta – Collezione privata) – Lo stile di vita di Schiele, unito alla sua capacità di ritrarre nudi estremamente provocanti che spesso hanno per oggetto il corpo di modelle alle soglie dell’adolescenza, attira sull’artista l’ira dei benpensanti. Proprio nel millenovecentododici la situazione precipita: Schiele viene accusato di aver sedotto, rapito e deviato la giovane modella Tatjana Georgette Anna Mosig, di soli quattordici anni. Subisce un processo nel quale rischia una condanna a diversi anni di carcere. In attesa della sentenza viene segregato in prigione per un mese e gli vengono confiscati centoventicinque disegni. Questa dura esperienza influirà molto sulla psiche dell’artista. Al termine del processo le accuse più gravi decadono, resta solo quella di avere esposto opere considerate pornografiche, ma per l’artista “nessuna opera d’arte erotica è una porcheria, quand’è artisticamente rilevante, diventa una porcheria solo tramite l’osservatore, se costui è un porco”. Tra i soggetti preferiti da Schiele, oltre ai numerosi autoritratti, c’è proprio il corpo femminile, ritratto in modo crudele ed estremamente sensuale. È come se l’artista ritraesse nelle sue opere l’anima tormentata di un’epoca di violenti fermenti che Egon, grazie alla sua sensibilità, riesce a cogliere negli sguardi e nelle pose delle sue modelle, alle quali si lega profondamente.

“Morte e ragazza” (1915, Olio su tela, cm 150×180 – Vienna, Österreich Galerie) – Nel millenovecentoquindici Schiele realizza il dipinto “Morte e ragazza” che può essere interpretato come l’opera di addio a Wally Neuzil, per diversi anni sua modella e compagna. Gli amanti si abbracciano, ma i loro volti tradiscono il dolore e la consapevolezza della fine del rapporto d’amore. La figura maschile, avvolta in una rozza veste da penitente, pare stringere a sé la giovane donna con il braccio sinistro, mentre col destro sembra allontanarla. Il paesaggio privo di sfondo accentua la drammaticità della definitiva separazione e il senso di spavento di fronte alla solitudine futura.

“Edith Schiele, seduta” (1915, Gouache, acquerello e gessetto nero su carta, cm 50,5×38,5 – Collezione privata) – Nello stesso anno, proprio una delle sue modelle, Edith Harms, diventa sua sposa e musa ispiratrice. Il primo ritratto a lei dedicato, “Edith Schiele, seduta”, si attiene fedelmente all’immagine della moglie. La donna rivolge all’osservatore uno sguardo interrogativo, tenendo le mani incrociate sulla stoffa a righe del vestito. Il colore dei capelli biondi si ripete nel giallo della giacca, la pietra blu dell’anello contrasta con il verde della collana, mentre il rosso delle labbra si lega ai bordi del colletto della camicia. La vita coniugale dei due, tuttavia, comincia in un clima di tensioni, dovute alla forzata separazione degli sposi, per la chiamata alle armi dell’artista, e alla gelosia (non del tutto ingiustificata) di Egon verso Edith. Il millenovecentosedici è in assoluto l’anno meno produttivo di Schiele. Nei primi mesi del millenovecentodiciassette, fortunatamente, l’artista torna a Vienna pieno di energie creative e ansioso di dare un nuovo impulso alla sua carriera. Egon ottiene diversi incarichi in ambito artistico e numerose commissioni. Con la morte di Klimt, nel febbraio millenovecentodiciotto, Schiele viene universalmente riconosciuto come il più importante artista di Vienna. Quasi tutte le opere presentate alla mostra della Secessione vengono vendute.

“La famiglia (Coppia accovacciata)” (1918, Olio su tela, cm 152,5×162,5 – Vienna, Österreich Galerie) – Nello stesso anno, con il dipinto “La famiglia”, Egon si occupa per l’ultima volta del tema della maternità e della nascita. Questo è il suo ultimo ed importante quadro e documenta sia la situazione biografica sia la crescita di Schiele come artista. L’opera rappresenta un uomo nudo, nel quale si riconosce l’autoritratto di Schiele seduto su un divano o su un letto con un’inconsueta rappresentazione realistica della situazione spaziale. Una giovane donna, che non corrisponde alla moglie Edith, è accovacciata davanti a lui; tra le sue gambe c’è un bambino, inserito in un momento successivo, presumibilmente quando Schiele apprende della gravidanza della moglie. I corpi dei due adulti e la testa chiara del bambino, avvolto in una coperta, si stagliano nettamente sullo sfondo scuro. Questo linguaggio figurativo meno aggressivo e spigoloso rispecchia perfettamente il contenuto dell’opera. Lontano dal voler comunicare un senso di distensione o addirittura serenità, il dipinto manca della precedente drasticità irritante e dissonante delle espressioni, sostituita dalla malinconia non solo degli sguardi ma di tutta la scena. L’opera commuove in quanto pare fissare una visione del futuro e mostrare un atteggiamento pieno di speranza, a differenza di tanti altri suoi dipinti. Nonostante il desiderio e la certezza di diventare padre, Schiele sembra presagire la preclusione a questa felicità familiare.

Egon Schiele, Edith Harms e un bambino – Il ventotto ottobre millenovecentodiciotto, Edith, al sesto mese di gravidanza, muore a causa dell’influenza spagnola. Pochi giorni dopo , il trentuno ottobre, contagiato dalla malattia, anche Schiele muore a soli ventotto anni. La sua bruciante parabola umana e artistica si spegne precocemente proprio quando la sua vita e la sua carriera stanno per svoltare definitivamente.