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Smart Working: A Che Serve? A Chi Serve?

Di Vittorio Venditti
(Foto), Presa Da Internet Da Salvatore Di Maria

In Italia? All’Italiana!

Aleksej Stachanov

L’attualità parla quasi sempre di disoccupazione, ma esistono anche momenti nei quali si deve trattare di occupazione, specialmente se anche l’Italia, molto, ma molto lentamente, cerca di adeguarsi a ciò che avviene presso altre culture, ove il lavoro viene visto sotto un’ottica che lo rende di sicuro più simpatico, oltreché reperibile.

Lo smart working, definito approssimativamente “Lavoro Agile”, è un modo di prestare servizio, non dal luogo abituale ove giust’appunto si presta servizio, ma da qualsiasi altra parte al momento frequentata dal lavoratore o dalla lavoratrice che dir si voglia. Nei paesi del nord Europa, così come negli Stati Uniti D’America, questa modalità di lavorare è in essere da parecchio, anzi, c’è già chi, come l’IBM ha deciso di non avvalersene più, non avendo trovato maggior profitto in questo modus operandi. In posti più avanzati del nord Europa, lo smart working è normalmente attuato da molte categorie di lavoratori; i giornalisti ad esempio, possono tranquillamente redigere articoli ed inviarli alle redazioni per le quali scrivono, da qualsiasi parte del mondo, a qualsiasi ora del giorno e della notte, un po’ come accade per chi scrive, quando pubblica e lo fa senza spiegare o solo comunicare la posizione tenuta al momento della divulgazione di ciò che appare su queste pagine.

All’estero, in genere non ci si pone il problema che sta alla base di un simile rapporto di lavoro: la fiducia che deve intercorrere fra datore di lavoro e dipendente. Per l’Italia e gli italiani il discorso deve essere un po’ diverso per forza di cose, visto il grado di furbizia che contraddistingue la popolazione autoctona e, quando adeguatamente appreso l’andazzo, anche chi viene a lavorare nel “bel paese”. Sarà forse per questo motivo che da poco si sta sperimentando questa forma elastica di lavorare, là dove ciò è possibile, vale a dire ad esempio presso molti uffici pubblici e non solo.

La fiducia: ma è sempre colpa dei lavoratori? Chi scrive, opera in smart working da otto anni per gestire questa sua voglia di comunicare, così come fa in qualità di radioamatore da più di sette lustri, tutto ciò però in maniera assolutamente gratuita e senza secondi fini. Dovendo pur vivere, sempre la medesima persona opera in un ufficio fisico, pur potendo lavorare tranquillamente da casa o da una barca, atteso che ciò che dà da vivere a chi sta spiegandosi con il presente articolo, è prodotto mediante internet, per cui non necessita di un luogo fisico obbligatorio. Capita però che se chi scrive fa del rapporto di fiducia una pietra miliare della relazione che intercorre fra questo e chi gli dà il pane quotidiano, ciò non è necessariamente corrisposto, visto che in Italia vale il proverbio che sostanzialmente recita: “Per il peccatore patisce il giusto”. Succede dunque che si arrivi a pretendere che un maratoneta corra con la palla al piede e se questa non è sufficiente a rallentare la corsa, si arrivi persino a legare fra loro le caviglie del corridore, forma masochista che non si capisce bene a cosa possa portare, in termini di produzione e di guadagno per tal datore di lavoro. A ciò va aggiunto che questa nuova forma di dipendenza, in Italia, viene somministrata per un giorno a settimana, tanto da far affiorare nelle menti di tali “sperimentatori” l’ovvia domanda: Ma a che e soprattutto a chi serve una tal forma di scimmiottare il progresso in questo campo?

Dunque: Alle aziende, soprattutto quando operano in mancanza di fiducia, forse tutto questo spreco di tempo ed energia lascia invariato il profitto. Dal punto di vista del lavoratore, quando questo vuole essere onesto con sé stesso e con chi gli permette di vivere, addirittura si arriva ad un decremento del guadagno, atteso che se sia necessario mantenere automobile e ciò che ne consegue per raggiungere comunque l’ufficio fisico quando non si è in smart working, vi sia una perdita in termini di stress, data dall’offesa alla propria dignità, inferta da chi, prevenuto per forza di cose, non comprende che quella base sulla quale si costruisce un simile rapporto di lavoro, (la fiducia reciproca fra lavoratore e datore di lavoro), va costruita saldamente e soprattutto va alimentata giorno per giorno, in maniera da rendere normale la novità e generare in questo senso un profitto che va al di là del mero guadagno in termini di danaro perché aggiunge a questo la mancanza di quello stress descritto sopra, spesso un vero scatto che vale molto più di una somma aggiuntiva al normale stipendio.

Questa sarà stata anche la conclusione che ha mosso l’uomo proposto in foto sopra?