Della Redazione Di Democratica
n. 133 venerdì 23 febbraio 2018
“Le elezioni non sono un salto nel buio, l’Italia avrà un governo operativo”
La risposta di Paolo Gentiloni a Jean-Claude Juncker
Partita
aperta
Elezioni La campagna del Pd funziona e mobilita, gli altri bloccati su insulti e false promesse. L’obiettivo del primo gruppo parlamentare è alla portata
PAGINA 2
“
EDITORIALE
MOVIMENTO 5 STELLE
INTERVISTA A CARLA NESPOLO (ANPI)
“Bomber” Di Maio:
incompetenza e fango
“In piazza contro fascismo e razzismo”
Se lo Stato e le Regioni ballano insieme
Elisabetta Gualmini
Più che di grandi e barbosi discorsi, la politica è fatta di cose. Cose fatte e cose dimostrabili. Nelle politiche di welfare, quelle che toccano da vicino la pelle delle persone, guardando agli ultimi cinque anni di cose ne sono state fatte molte. Basta citarne tre. Il primo Fondo contro la povertà, il Fondo sul Dopo Di Noi, il Fondo sui Caregiver.
ALLE PAGINE 3-4
PAGINA 5
SEGUE A PAGINA 6
Verso il 4 marzo
A dieci giorni dal voto
la partita è più aperta che mai
La campagna del Pd funziona e mobilita, gli altri bloccati
sulla strada delle false promesse e dell’insulto.
L’obiettivo del primo gruppo parlamentare è alla portata
Una settimana alla chiusura della campagna elettorale. Una settimana in cui si decide tutto. E con il Pd pronto a ribaltare un risultato che opinionisti ed editorialisti hanno già deciso da tempo, ma che saranno i cittadini a stabilire, con il loro voto nelle urne. La sensazione, tangibile, è che il clima stia cambiando. Molte delle ultime rilevazioni, che non si possono pubblicate ma che continuano ad essere effettuate a vari livelli e da vari istituti di ricerca, consegnano un quadro fluido, foriero di possibilissime sorprese.
Una cosa è data quasi per certa: sarà un testa a testa tra Pd a Movimento 5 Stelle e avere un seggio in più o in meno sarà decisivo per la formazione del nuovo governo. Già perché, se è vero che tutte le rilevazioni danno la coalizione di centrodestra in vantaggio, è altresì certificato che molto difficilmente raggiungerà il numero di seggi sufficienti alla Camera e al Senato per poter dare vita ad una maggioranza di governo stabile. Davanti ad un risultato del genere, l’alleanza tra Lega, Forza Italia, Fratelli d’Italia e polo di centro, perso il collante dell’ambizione di potere, si scioglierebbe come neve al sole. E tornerebbero ad essere dei partiti di medie (o piccole) dimensioni, che agiscono in ordine sparso.
Il Partito Democratico, in questa campagna elettorale, ha deciso di non inseguire gli altri sulla strada delle false promesse, delle polemiche quotidiane, della strumentalizzazione della paura e dell’odio, della produzione di fake news. Questo stile, questa decisione di responsabilità sta pagando, proprio nel momento decisivo. D’altronde, le alternative si sono rivelate per quello che sono. Partiti diretti (o eterodiretti) in maniera padronale da capi politici o presunti tali. Forza Italia non è nelle condizioni di trasmettere elementi di novità, aggrappata ad un signore che da venticinque anni è al centro della scena politica, che ha governato male, non mantenendo alcuna delle promesse sbandierate in campagna elettorale, anteponendo i suoi interessi a quelli del Paese e portando l’Italia a un passo dalla bancarotta. La Lega coincide con il suo leader, che ogni giorno fomenta e cavalca una vergognosa campagna d’odio contro i migranti (e non solo) per nascondere l’assenza di proposte politiche che possano definirsi tali. Il Movimento 5 Stelle ha calato la maschera dell’ipocrisia, dopo anni di avvelenamento dei pozzi della politica: ha candidato una serie lunghissima di impresentabili (dal picchiatore alla no-vax, dal massone al truffatore) e soprattutto ha fatto capire che non basta la retorica per celare la realtà. Leu, infine, si è arenata nelle sabbie mobili di una campagna elettorale condotta esclusivamente contro il Pd (non contro i fascisti o gli incapaci, no, contro il Pd), in cui non ha pagato l’idea di una classe dirigente, ormai giunta al capolinea, che ha tentato in tutti i modi di farsi strada per un ultimo giro di giostra, come l’indegna gazzarra sulle candidature ha dimostrato.
In questo quadro, che comunque rimane complicato, il Partito Democratico ha risposto proponendo una campagna elettorale diversa. Innanzitutto una squadra di persone credibili, a partire dagli esponenti di governo che negli ultimi anni hanno preso per mano il Paese e l’hanno portato fuori dalla crisi. E poi parlando il linguaggio della verità. Dicendo chiaramente che quanto fatto finora, benché fondamentale, non sia ancora abbastanza e mettendo in campo una serie di misure e di proposte che aiutino davvero la ripresa economica, l’incremento dell’impiego e il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini. Nelle ultime settimane è stato il Pd a fare la campagna elettorale, con lo sforzo mediatico dei suoi dirigenti e con l’impegno crescente dei circoli sui territori, ormai tutti proiettati al contatto capillare con gli elettori.
A dieci giorni dal voto, il risultato è quindi più aperto che mai. Il trend negativo che di sondaggi ha visto il Pd calare negli ultimi mesi del 2017, si è fermato da tempo e, anzi, è in corso un’inversione di rotta. Lo stesso si può dire per le altre liste di centrosinistra, +Europa, Insieme e Civica Popolare, che puntano a superare la soglia dell’1 per cento, soglia facile per la Bonino, meno per gli altri due. Il centrodestra, come detto, sembra aver superato il momento di massimo slancio e ora è quasi impossibilitato a raggiungere il risultato pieno, con tutto ciò che ne conseguirà. La crescita dei Cinque Stelle si è fermata in concomitanza degli scandali che sono emersi in questa campagna elettorale. Leu è in calo costante dal momento della sua formazione a oggi. In questo contesto, a rendere il risultato aperto e contendibile, sono due fattori principali. Il primo è la quota di indecisi, ancora molto alta, che storicamente si aggira intorno al 15 per cento per ogni elezione e che verrà confermata anche in questo caso. E la tendenza, registrata nelle scorse settimane, è che dentro questa massa di persone a propendere sia l’impostazione moderata e non quella polarizzata. Inoltre c’è l’oggettiva variabile legata al sistema di attribuzione dei seggi per cui, a decidere l’esito di un voto che si preannuncia sul filo di lana saranno i risultati dei singoli collegi, che nessun istituto di ricerca è in grado, ragionevolmente, di prevedere con certezza.
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Stefano Cagelli
Saranno decisivi l’apporto degli indecisi e l’attribuzione dei seggi in base ai risultati nei collegi
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Movimento 5 Stelle
Girolamo Pisano
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Incompetenza
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Di Maio e l’incapacità di formare una squadra
Le grane giudiziarie su un altro candidato Cinquestelle evidenziano la legerezza delle scelte grilline
Il quadro che sta emergendo dalle ultime vicende del M5s non è molto incoraggiante sul piano della competenza e della responsabilità politica. Tra i candidati grillini, ai quali Di Maio ha legato i concetti di onestà e trasparenza, oggi spunta un imprenditore indagato per riciclaggio, Salvatore Caiata del Potenza Calcio. Dunque un nuovo candidato Cinquestelle con qualche macchia sul proprio curriculum, che si aggiunge ai casi degli ex-massoni e dei “menzogneri” che non hanno versato i rimborsi al Movimento.
Tutte questioni che stanno mettendo in luce la non capacità di Luigi Di Maio di gestire il proprio partito e di mettere in piedi una squadra di governo perbene. Lui che accusa tutti di essere disonesti, si ritrova nel suo interno parlamentari scorretti; lui che cambia idea politica a seconda dei sondaggi (vedi il cambio di rotta sull’antieuropeismo e sul referendum sull’euro); lui che continua con i suoi riferimenti storici e geografici insensati e sugli utilizzi di congiuntivi stravaganti.
Ma ciò che colpisce è anche un aspetto etico, ovvero la mancanza dell’assunzione di responsabilità dopo aver commesso un errore; aspetto che ogni forza politica dovrebbe poter rivendicare con orgoglio.
Nel Movimento le giustificazioni tirate in ballo dai vari protagonisti sui rimborsi non versati non sembrano degne della miglior politica: c’è chi scopre di aver fatto versamenti sul conto corrente sbagliato, chi se la prende con un suo collaboratore, chi lamenta su Facebook l’eccessivo costo delle commissioni bancarie e chi come Giulia Sarti, nota per le sue battaglie sulla legalità, ha provato a dare la colpa al suo ex compagno. La peggiore delle scuse, però, è probabilmente quella dello stesso Di Maio, arrivato a graziare i suoi parlamentari a Bruxelles perché non avrebbero obblighi formali. Attenuante che a dire il vero stride un po’, visto che il partito di appartenenza (con gli stessi principi e le stesse regole) è sempre il Movimento Cinque Stelle.
Siamo allora di fronte a un crocevia: o davvero quelle dei parlamentari Cinquestelle sono leggerezze, e qui però si entra nella sfera dell’incompetenza, al punto da chiedersi come possa una forza politica come il M5s controllare l’evasione fiscale di 60 milioni di cittadini se non riesce a verificare due bonifici interni. Oppure – e forse è anche peggio – siamo nell’ambito della disonestà: la fine di un falso mito.
Stefano Minnucci
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Movimento 5 Stelle
Numero degli iscritti e post del gruppo
Il logo del gruppo Facebook “Club Luigi Di Maio”
La macchina
del fango
In un post pubblicato sul gruppo attaccano la giornalista Myrta Merlino
Il “Club Luigi Di Maio” e quei legami con il M5s
Il gruppo Facebook che posta contenuti violenti e xenofobi ha più di un legame con il Movimento
Si chiama Club Luigi Di Maio ed è uno dei tanti gruppi che esistono su Facebook. Questo in particolare è presentato come un gruppo per “gente aperta alle discussioni e simpatizzanti M5S” e ha più di 70mila iscritti. Già qualche mese fa il gruppo aveva creato qualche problema al Movimento per i contenuti (spesso fake news) e i commenti violenti, razzisti, sessisti e xenofobi pubblicati. Uno degli episodi che fece discutere di più e creò maggior imbarazzo tra i vertici M5S fu quando sulla pagina venne pubblicato un post di Enrico Mentana nel quale il direttore del Tg La7 dava in sostanza dei fascisti a quelli che sfogavano il loro livore contro i manifestanti del corteo a favore dei migranti organizzato a Milano. Sotto quel post ricondiviso sul Club Luigi Di Maio comparì in poco tempo una sequela infinita di insulti e volgarità contro il giornalista, come segnalò allora David Puente sul suo blog.
Ma non solo. Il gruppo fece parlare di sé anche per degli insulti antisemiti rivolti al deputato Emanuele Fiano, figlio di un ebreo deportato, che venne in un meme paragonato a un maiale.
Dopo l’episodio di Mentana, Di Maio si affrettò a dissociarsi e ad assicurare che non c’era “alcun legame né con me né con il Movimento, chiederemo che cambino nome”. Risultato? Il gruppo, che nel frattempo è passato da pubblico a “chiuso”, ha ancora quel nome e ora emergono anche dei legami tra il Club Luigi Di Maio e il Movimento, come dimostrano in un articolo pubblicato sul Foglio Nicola Biondo e David Puente che sono riusciti a entrare nel “sancta sanctorum del Club”.
Ne fanno parte parte nomi di peso del Movimento, tra attivisti ed esponenti e candidati, “a loro volta legati a due pezzi da novanta del firmamento a cinque stelle, l’ex gestore del blog e dei profili social di Beppe Grillo Pietro Dettori e il collaboratore di Di Maio Dario De Falco, entrambi nel comitato elettorale” M5S, scrivono Biondo e Puente. Ma ci sono anche il candidato grillino a Palermo Ugo Nicolosi, tra i moderatori del gruppo che, insieme a De Falco, ha postato diversi contenuti sulla pagina, e l’attivista Pierre Cantagallo, molto attivo sui social e amministratore di pagine Facebook molto conosciute.
Insomma, il quadro disegnato da Biondo e Puente è chiaro e inquietante: il Movimento e il suo capo politico portano avanti “una propaganda double face – scrivono – Volto moderato in tv e cuore violento sul web”. Come si giustificherà questa volta Luigi Di Maio?
Silvia Gernini
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Anpi
In piazza per dire no
al fascismo e alla violenza
Intervista a Carla Nespolo, presidente Anpi, domani sul palco di Piazza del Popolo
Carla Nespolo è la presidente nazionale dell’Anpi e domani sarà sul palco di piazza del Popolo a Roma, in occasione della manifestazione antifascista convocata dopo i fatti di Macerata e alla quale ha aderito, tra gli altri, anche il Partito democratico.
Presidente, partiamo dalla manifestazione e dal suo significato.
Prima di tutto ci tengo a dire che la manifestazione di domani non è promossa solo dall’Anpi, ma da 23 sigle di associazioni di partigiani, deportati e perseguitati politici, associazioni laiche, partiti antifascisti e sindacati. Stiamo lavorando insieme fin dal 28 ottobre dello scorso anno, quando abbiamo manifestato contro l’idea di riproporre la marcia su Roma. Quella di domani è una grande manifestazione nazionale e rappresenta un punto fermo comune di lotta contro il fascismo e il razzismo.
L’appuntamento di domani cade durante una recrudescenza violenta, tra l’altro in piena campagna elettorale.
Purtroppo come temevamo stiamo assistendo a un’escalation di violenza. Intendiamoci, la violenza è innanzitutto fascista: i fascisti del terzo millennio hanno finto di interessarsi al sociale ma poi hanno mostrato la loro vera natura, penso ad esempio ad Alba Dorata. Ma la responsabilità del diffondersi della violenza la portano anche quelle forze politiche che non prendono le distanze dalle idee razziste. Questo per noi è fondamentale, perché la radice del fascismo è il razzismo, che poi arriva all’orrore di Macerata dove una persona spara contro sei altre persone solo perché hanno un colore diverso. Il nostro compito però non è di entrare nella campagna elettorale, la situazione è esplosiva e ci voleva una grande risposta nazionale. Per questo domani dal palco leggeremo, con il suo permesso, le parole che il Presidente Mattarella ha pronunciato il 27 gennaio, quando ha parlato di una “macchia indelebile della nostra storia”.
Come vi ponete rispetto agli episodi di violenza di stampo antifascista, come ad esempio quello di Palermo?
Dobbiamo essere chiari. Da presidente nazionale e portavoce dell’Anpi diciamo con forza che l’antifascismo è non violento e chi usa la violenza non ci rappresenta. Certo ci sono stati vari livelli di violenza, ad esempio anche l’episodio di Como, con dei neonazisti che entrano nella sede di un’associazione, è una forma di sopruso, ma noi pretendiamo che la violenza sia contrastata con le armi dello Stato democratico, perché altrimenti ci si mette sullo stesso piano. Ci sono tante forme di antifascismo, ad esempio i tanti sindaci che negano i luoghi pubblici ai fascisti. Noi abbiamo chiesto lo scioglimento di movimenti come Casa Pound e Forza Nuova e mi rammarico che non siamo stati ascoltati.
Siamo qui, nel 2017, a parlare di recrudescenza . Dove abbiamo sbagliato?
Certo ognuno di noi può aver sbagliato qualcosa, ma chi ha sbagliato di più è la scuola, perché alla storia della Seconda Guerra Mondiale non ci si arriva. Come Anpi abbiamo fatto un protocollo con il Miur per essere presenti nelle scuole, è importante parlare con i giovani, ma anche ad esempio con i docenti, gli avvocati, i magistrati.
Ogni giorno qualche testimone se ne va, dunque non abbiamo più la risorsa preziosa di ascoltare le voci in prima persona dei partigiani, per questo dobbiamo diventare testimoni dei testimoni. Poi c’è l’informazione: se un libro revisionista come quello di Pansa viene ricevuto in un salotto televisivo come fosse normale dire una bugia, lo dico chiaramente, l’informazione è complice. Ma ho molta fiducia nel ruolo degli Enti locali: migliaia di sindaci ogni anno portano i giovani in visita nei campi di concentramento, e poi c’è la funzione della cultura in generale, ad esempio della musica. Sarebbe importante ci fosse anche un risveglio degli intellettuali.
Carla Attianese
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“Chi usa
la violenza
non ci rappresenta”
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Se lo stato e le regioni ballano insieme…
E chi continua a dire che il PD ha fatto poco contro le diseguaglianze e le categorie più deboli forse ha vissuto sulla luna, oppure è stato molto fuori dall’Italia tornando solo per le feste comandate. O ancora è in malafede.
Il governo e le regioni hanno ballato insieme, il primo fornendo risorse certe e cornici normative aggiornate, le seconde integrando e completando i livelli essenziali fissati a Roma e coordinando l’azione dei comuni. Si chiama regionalismo virtuoso; lo stato fissa degli standard di base validi da Nord a Sud, le regioni, a seconda dei bisogni rilevati, intervengono, aggiungendo o modificando, limando e integrando, in un passo a due che è l’unico a funzionare.
Se non ci fossero stati oltre 5 miliardi nel bilancio dello stato, dal 2016 in poi, per la lotta all’indigenza, in Emilia Romagna, ad esempio, non vi sarebbero state ben 13.300 domande per il Reddito di solidarietà in soli 5 mesi. Ripetiamo: 13.300 famiglie (pari a 34.000 individui!) che si sono riversati agli sportelli dei comuni di una sola regione e hanno chiesto questa nuova politica pubblica. Non ci sarebbe stata la storia di Maurizio, un giovane adulto che ha frequentato un tirocinio formativo adeguato alle sue competenze e che vede già la prospettiva di un lavoro o di Anna una ragazzina di 17 anni, con problemi di forte isolamento sociale, che per tre pomeriggi la settimana dà una mano in una struttura di disabili e che ora sta decisamente meglio. Una gigantesca operazione di institution building, di costruzione di un nuovo pilastro del welfare pubblico, puntellato dal valzer stato-regioni.
Se non ci fossero stati gli oltre 100 milioni per il Fondo per il Dopo di Noi e i 60 milioni per i Caregiver non saremmo stati sommersi da visite di associazioni, genitori, volontari e operatori che ci chiedevano consigli, suggerimenti, indicazioni su quali strutture progettare, su quali iniziative elaborare, per assicurare una vita dignitosa ai figli non autosufficienti, o su quali forme di sollievo scegliere per familiari stremati dall’accudimento di persone disabili.
La faccia del welfare regionale non è più quella di 5-7 anni fa, è decisamente cambiata, senza togliere risorse a servizi indispensabili, senza il solito gioco delle tre carte. C’è stata la volontà di sperimentare, di promuovere una visione dinamica e progressista di welfare. Questa è l’unica cosa che un partito riformista deve fare: trasformare e migliorare, senza paure, senza freni tirati. Il welfare non è uno stile di vita, ripeteva Bill Clinton. Non è assistenzialismo, vecchio e immodificabile, non è una flebo a cui stai attaccato tutta la vita, ma un modo concreto e temporaneo per uscire da condizioni di bisogno. Diciamolo in giro. Cose fatte, non paroloni.
Elisabetta Gualmini
Segue dalla prima
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L’aumento delle bollette elettriche
è una bufala
Forse siete rimasti vittime anche voi di una nuova fake newsche sta girando in rete e sui vostri cellulari. Secondo il messaggio che sta circolando su WhatsApp, nelle prossime bollette della luce ci sarebbe un aumento dai 30 a 35 euro. Verità o bufala? Basta verificare.
Nei giorni scorsi ‘Il Sole 24 Ore’ aveva pubblicato la notizia secondo cui l’insoluto totale delle bollette elettriche non pagate dai morosi (pari a circa 200 milioni di euro) verranno messe a carico di tutti gli altri consumatori elettrici, quelli che saldano con regolarità il conto della luce. Da questa notizia (vera) si è scatenata una catena (finta).
Ecco il testo del messaggio
Buonasera mi è appena arrivato questo SMS su WhatsApp:? FATE GIRARE! ? Nelle bolletta-luce dal prossimo aprile, ci saranno VERAMENTE dalle 30 alle 35€ in più (fonte ALTROCONSUMO Associazione Consumatori) per coprire i milioni di euro accumulati dai morosi (gente che non paga) NON DOBBIAMO PAGARE IN ATTESA DI DECISIONI DEL T.A.R …Io non le pago (ho già tolto la domiciliazione bancaria e pagherò la somma CHE MI SPETTA con un bollettino postale scritto a mano con l’importo decurtato della cifra che non mi spetta come da contratto) MA FUNZIONERÀ SOLO SE LO FAREMO IN TANTI. mi sembra il caso di collaborare con chi sta organizzato questa civile e giusta protesta… Che ne dici?
Qual è la verità?
Altro Consumo, chiamato in causa, smentisce questo messaggio. Semplicemente perché ancora non è stato deciso nulla: infatti non si conosce la cifra reale del danno economico procurato e quindi non è nemmeno possibile quantificare l’aumento. Si specifica anche, che almeno per quest’anno, non sono previsti aumenti sulla fornitura.
Da cosa nasce l’equivoco?
Un fondo di verità c’è e un aumento effettivamente ci sarà, ma in futuro; un provvedimento – ladelibera 050-18 del primo febbraio 2018 dell’ARERA (Autorità di Regolazione per EnergiaReti e Ambiente, effettivamente prevede di far pagare ai consumatori “in regola” circa il 20% del debito accumulato (che, lo ripetiamo, è ancora soltanto stimato). Se vogliamo divertirci a fare due conti, scrive David Puente, “sulla base dei 35 euro riguarderebbero circa 6 milioni di singole bollette su decine di milioni di clienti domestici”.
Impossibile, quindi, arrivare alle cifre di 30-35 euro: l’aumento sarà irrisorio e, senza tanto clamore e catene di Sant’Antonio, probabilmente non ce ne saremmo neanche accorti. Aspettiamo comunque che l’Arera chiarisca e fornisca al più presto una stima ufficiale. Dopo, e soltanto dopo, potremmo lamentarci.
Agnese Rapicetta
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In redazioneCarla Attianese, Patrizio Bagazzini,Stefano Cagelli, Maddalena Carlino, Roberto Corvesi, Francesco Gerace,Silvia Gernini, Stefano Minnucci,Agnese Rapicetta, Beatrice Rutilonidemocratica@partitodemocratico.itPD BobSocietà editrice:Democratica srl Via Sant’Andrea delle Fratte 16 – 00187 Romawww.democratica.comwww.partitodemocratico.itPer ricevereDemocratica: scrivi su Whatsapp a 348 640 9037oppure vai sul messenger Facebookall’indirizzom.me/partitodemocratico.it DirettoreAndrea RomanoVicedirettoreMario Lavia
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