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Democratica

Della Redazione Di Democratica

n. 132 giovedì 22 febbraio 2018
“Un top gun dei carabinieri aiutato da un giornalino scandalistico voleva colpire con mezzi illegali il presidente del Consiglio” (Giuliano Ferrara)
Vincerà la speranza
Verso il 4 marzo Renzi lancia la sfida finale ai professionisti della paura.
“Nessuna ideologia cancellerà questi 4 anni”
PAGINE 2-3

ECONOMIA
CENTRODESTRA
L’EDITORIALE

Boom dell’industria:
fatturato più alto degli ultimi 10 anni
Il gioco delle parti
fra finti moderati
e veri estremisti
Livorno, Italia.
Il grado zero
della politica
Andrea Romano
Queste righe rappresentano una flagrante violazione del conflitto d’interesse, perché scrivo della città dove sono candidato. E da candidato alla Camera nel collegio uninominale di Livorno sono concentrato da settimane solo ed esclusivamente sulla conquista di voti livornesi al PD. Eppure quella che potrebbe sembrare (e forse è) una condizione di isolamento dal “grande gioco” politico nazionale permette di guardare con lucidità alla campagna elettorale in corso. Perché a Livorno si leggono poco i grandi giornali nazionali, come peraltro accade in ogni altra provincia italiana.
Ancora scintille nel centrodestra dove si mette in scena una unità politica che nei fatti non esiste. La verità è che Berlusconi, Salvini e Meloni non si fidano l’uno dell’altro
Vola l’industria, soprattutto nel settore dell’energia e dell’elettronica. A dicembre il fatturato industriale cresce del 7,2% e l’indice di riferimento è ai livelli più elevati da ottobre 2008
PAGINA 4
PAGINA 4
SEGUE A PAGINA 3
Verso il 4 marzo
2
giovedì 22 febbraio 2018
“Guardare al futuro,
contro chi gioca sulla paura”

Per Matteo Renzi il rush finale della campagna elettorale
si gioca sulla differenza “tra quelli che pensano che si possa basare sulla paura
e sulla rabbia” e chi invece ha una idea di società diversa


Vedi il video integrale
del discorso
di Matteo Renzi
a Firenze
Quelli che scelgono la strada dell’antipolitica non hanno niente da dire al Paese. Se si sceglie la strada dell’antipolitica è finito il Paese”
A chi non ha ancora 18 anni dico che se stiamo combattendo è per loro, per un’idea di futuro che non sia disintegrato da chi scommette sulla paura”


Noi porteremo il Pd al primo postonon solo perché abbiamo un programma concreto, ma perché noi abbiamo una squadra”
Non vogliamo
che in Italia
vincano i professionisti
della paura”


Per fermarci si sono inventati di tutto.Il più grande scandalo si chiama Consip. Sarà chiaro nelle prossime settimane e nei prossimi mesi cosa ha significato questo scandalo”
I risultati di questi
4 anni di governo non ce li toglie nessuno, nessuna ideologia cancellerà i nostri risultati: ma ora basta pensare
al passato, guardiamo al futuro”
Verso il 4 marzo
Gentiloni: “Pd, una prova di serietà, solidità e forza”
“In questa campagna elettorale abbiamo un’occasione, anche come partito, di riprendere le fila della nostra unità. Dobbiamo dare una dimostrazione di serietà, di solidità e di forza”.
Lo ha detto il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, a un’i­niziativa a Macerata, dove è candidato come capolista nel col­legio plurinominale delle Marche. Nella città diventata simbolo degli episodi di violenza a sfondo politico che si stanno ripeten­do anche in questi giorni, Gentiloni ha ribadito che non c’è “nes­suna giustificazione” né per la morte di Pamela, né tantomeno per il raid del fascio-leghista Luca Traini, ma nessuna giustifica­zione anche per “il ripetersi di atti di violenza nei confronti di appartenenti alle forze dell’ordine o di avversari politici”. “C’è un rischio di effetto emulativo”, è la preoccupazione espressa dal presidente del Consiglio, ma “anche qui la risposta del Go­verno è molto chiara, così come lo è quella del Pd: la violenza estremista contro le forze dell’ordine o contro gli avversari poli­tici è fuori dai nostri valori costituzionali e repubblicani”.
Il fatturato dell’industria nel 2017 aumenta del 5,1%. Lo riferisce Istat, spiegando che si tratta del valore più alto dal 2011, quando era pari al 6,8%. Sempre nella media del 2017, gli ordinativi segnano un aumento del 6,6%. In pratica il fatturato cresce per il terzo mese consecutivo del 2,5% rispetto al mese precedente e l’indice destagionalizzato, pari a 110, raggiunge il livello più elevato da ottobre 2008. La crescita del fatturato a dicembre è dovuta sia al mercato interno (+2,9%), sia a quello estero (+1,9%). Anche gli ordinativi segnano incrementi per entrambi i mercati (+7,6% per il mercato interno e +5,1% per quello estero).
Boom dell’Industria:
fatturato più alto
degli ultimi 10 anni

Livorno, Italia. Il grado zero della politica
E dunque arriva molto più blan­da l’eco dei posizionamenti pre-elettorali di questo o quel gruppo editoriale, così come l’onda del nuovo terzismo che predica equidistanza tra grilli­smo, fascio-leghismo e Partito Democratico o la critica di quel commentatore brillante e brontolone che scrive pensosi editoriali sul caratteraccio di Matteo Renzi o che avreb­be voluto trovare nelle liste del PD quel suo amico “tanto bravo e intelligente”.
No, qui a Livorno la critica al PD è più dura e diretta. E per strada, nei mercati, sui luoghi di lavoro chiedono solo e soltanto cos’abbiamo fatto in questi anni di governo e cos’abbiamo intenzione di fare da domani per il lavoro, per la sicurezza, per le tasse. Lo chiedono a Livorno come accade dapper­tutto, ma forse qui con quel tocco in più di severità che viene dalla percezione limitata della ripresa economica e occupazionale. Perché Livorno è ancora stanca e debilita­ta dalla crisi, arrabbiata e malmostosa più di quanto non sia sempre stata nella sua storia di città diffidente verso qualunque potere. Stanca, arrabbiata e soprattutto in­transigente. E’ difficile prendere in giro un livornese, che pure vive dentro una cultura popolare che ha fatto della presa in giro la sua cifra quotidiana. Ed è difficile cavarsela, nelle migliaia di corpo a corpo dialettici che compongono qualunque campagna eletto­rale fatta sul territorio, con una di quelle battute a effetto che ognuno di noi ha usato o ascoltato nei dibattiti televisivi. Qui è indi­spensabile rispondere nel merito, spiegare dettagliatamente, argomentare con tenacia. E allora ci si accorge subito, fuori dalla bol­la protettiva del “dibattito nazionale”, che il grado zero della politica permette di guar­dare con maggiore chiarezza alla posta in gioco il 4 marzo.
La città che nel 2014 ha affidato la guida del Comune ai Cinque Stelle, prima di Roma e Torino (ricevendone in cambio aumenti delle tasse locali, opposizione ai piani di ri­lancio del porto industriale, tagli agli stan­ziamenti sociali, strategie di bilancio fondate sulla moltiplicazione delle multe, incapacità di spesa dei fondi regionali e nazionali per le politiche di assistenza ai disabili e di ri­sanamento delle periferie etc.), oggi per le elezioni politiche deve scegliere tra il PD, un candidato del centrodestra che rappresenta la versione in purezza del fascio-leghismo salviniano e un rappresentante dei Cinque Stelle il cui pregio maggiore è la gestione di una celebre (e tutt’altro che scadente) tratto­ria vegana. Da un lato una destra che non ha alcuna remora nell’annunciare l’intenzione di cancellare le riforme realizzate in questi anni nel campo dei diritti civili, all’insegna della battaglia “no-gender” e dello slogan “prima gli italiani”; dall’altra un Movimento Cinque Stelle che si declina localmente in un personaggio che Di Maio deve avere scelto con i suoi consulenti immaginando che una città “di sinistra” come Livorno abbia biso­gno di un candidato che guardi alle culture alimentari alternative. Candidati rispettabi­lissimi, ovviamente, ma candidati che rac­contano di un conflitto politico senza alcuna possibilità di confusione tra visioni radical­mente divergenti della città e dell’Italia.
Il confronto non è sul carattere di questo o quel leader né sui posizionamenti di que­sto o quell’editorialista che da decenni scri­ve lo stesso commento per criticare qualun­que partito che abbia la pretesa di tradurre il consenso popolare in cambiamento reale. No: qui ci si scontra sulla maggiore o minore libertà delle giovani coppie di fare un figlio potendo contare su sgravi reali e affidabi­li, sulla scelta del potenziamento del porto industriale perseguita con tanta determina­zione dai governi PD e contrastata dalle fuf­fa Cinque Stelle sulla “decrescita felice”, sul­lo spirito di una città che è stata fondata per accogliere genti di ogni colore e religione e che la nuova destra sovranista vorrebbe chiudere dentro una cappa di oscurantismo razzista e integralista. E sui tanti altri aspetti concreti, controversi e appassionanti di una partita politica a kilometri zero. Che è poi la stessa che si sta giocando in queste ore nelle mille province italiane dove si sceglie il fu­turo del nostro paese.
Andrea Romano
Segue dalla prima
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Centrodestra
Il pericoloso gioco delle parti
tra finti moderati e veri estremisti
Se dovessimo fare un gioco e cerca­re nella mischia del centrodestra chi – tra Berlusconi, Salvini e Me­loni – è il moderato, probabilmente perderemmo. Di certo l’esito sa­rebbe scontato con i leader di Lega e Fratelli d’Italia, ma anche puntando su For­za Italia non avremmo maggior fortuna.
Berlusconi sa che, anche se si candida come leader dei moderati, la sua coalizione è al traino dei due partiti più a destra. Oggi, a Circo Massimo, ha provato pure a freddare le ambizioni del suo alleato: il futuro premier non sarà Salvini, l’antieuropeista populista, ma Antonio Tajani, il moderatissimo presi­dente del Parlamento europeo.
Si può credere a Berlusconi? In tanti anni abbiamo imparato che no, è meglio mante­nersi piuttosto diffidenti. Anche perché pro­prio il rilancio di Tajani come futuro premier cozza direttamente con uno dei punti del programma del centrodestra: il recupero di sovranità sul diritto comunitario europeo. Certo, Berlusconi dice che una figura come l’attuale presidente dell’emiciclo di Bruxelles può meglio di altri dialogare con l’Ue, ma dif­ficilmente potrà portare a termine promesse tanto rigide nei confronti delle basi della casa europea.
Ma attenzione, Salvini non deve però pre­occuparsi della doccia fredda che gli è stata appena preparata dal suo principale alleato. Dopo tutto l’ex-Cavalliere si è speso molto per aiutarlo a conferirgli uno spessore istituzio­nale. “Certo – dice – Salvini qualche volta è un po’ pirotecnico, ma il linguaggio violento vie­ne dai grillini”. Per carità, i grillini avranno pure le loro colpe, ma ridurre Salvini a gua­scone che ama far esplodere qualche innocuo fuoco d’artificio è forse più pericoloso di certe frasi dello stesso leader leghista.
Eppure Berlusconi pare crederci davvero. “Salvini non è affatto estremista, – ha conti­nuato a ripetere durante la trasmissione di Radio Capital – si è seduto a un tavolo con noi e si è dimostrato molto concreto e ragio­nevole e assieme a Giorgia Meloni abbiamo firmato un programma comune”. Appunto, il programma. Avete idea di quante volte Berlu­sconi e Salvini si siano contraddetti in questa campagna elettorale? Tante. Talmente tante che viene in mente il solito dubbio: ci sono o ci fanno? A noi sembra evidente il pericoloso giochino delle parti. Il bullo populista contro l’affabile moderato.
Qualche esempio: vi ricordate l’illuminante idea di Trump di imporre i dazi su alcuni pro­dotti? Per Berlusconi non era un’idea positiva “nemmeno per gli Stati Uniti”. Praticamente l’opposto di quanto sosteneva Savini: “Io sto con Trump. – affermava orgoglioso – Tutti lo attaccano; io invece voglio fare in Italia la stessa cosa, si possono mettere i dazi”.
L’episodio dei dazi accadeva negli stessi giorni in cui Berlusconi volava a Bruxelles per incontrare i leader popolari ed elogiare An­gela Merkel (con cui era d’accordo, per altro, nell’attaccare Trump sui dazi), mentre candi­dava in alcuni collegi chiave due economisti no-euro, teorizzatori dell’uscita dalla moneta unica, Claudio Borghi e Alberto Bagnai.
Proprio sull’Europa è chiaro che i due com­pagnoni non suonino la stessa musica. La sto­natura più evidente l’hanno avuta sul vincolo Ue del 3%. Il leader di Forza Italia ha garanti­to che un eventuale governo di centrodestra rispetterà gli impegni con l’Europa sul patto di stabilità, il numero uno del Carroccio ha detto l’esatto contrario. Per poi, ovviamente, dire il giorno dopo che “entrambi sosteniamo la stessa cosa”.
Comunque, ok. Lo abbiamo capito: l’Ue, nel centrodestra, non unisce. Allora magari sono d’accordo su altro? Magari, non so, su cosa fare dopo il 4 marzo? Macché. L’ennesimo bi­sticcio si è consumato nelle ultime 24 ore. Ieri Berlusconi dice, in maniera alquanto esplici­ta, che avrebbe accolto i transfughi del M5s (i famosi furbetti di Rimborsopoli), Salvini – va da sé – si arrabbia e Berlusconi che fa? Dice che era un “commento ironico” e aggiunge “mi domando come sia possibile che venga preso tanto sul serio”. Eggià, una volta tanto siamo d’accordo con lui.
Giacomo Rossi
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La Lega si candida a seguire il modello Trump: davvero vogliamo dare le armi ai professori? Sarebbero questi i moderati che vorrebbero guidare il Paese?
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Economia
Perché
la Flat tax non ha funzionato
in Russia
e Ungheria
Non si può pensare di eliminare
il principio di progressività
perché così si minerebbe
il principio stesso di democrazia
La flat tax, di cui tanto si parla in questa campagna elettora­le, non è la parola magica per la giustizia fiscale del nostro paese. I limiti e gli obblighi costituzionali non si posso­no ignorare. Nel caso, quindi, di una sua eventuale e deprecabile introduzione, sarà necessario individuare meccanismi di deducibilità che rendano effettivo il principio della progressività.
C’è da sapere comunque che, dopo il voto, l’indomani come si sol dire al cine­ma, è un nuovo giorno. E pertanto le pro­messe e le decisioni si possono cambiare.
Èdoveroso prima di ogni decisione va­lutare quanto è accaduto e accade nei pa­esi, in cui la flat taxè stata introdotta. Il caso emblematico ci sembra quello russo, dove le famiglie povere e quelle indigenti sono fortemente aumentate tanto da spin­gere le masse delle periferie urbane e i residenti nei territori rurali a chiedere di rivedere il sistema fiscale, introducendo forme di progressività nella tassazione.
In Russia, com’è noto, nel 2001 Putin, al suo primo mandato, introdusse la tas­sa fissa del 13% per tutti, ricchi e poveri, singoli e imprese, aziende produttive e so­cietà dubbie. Egli aveva raccolto un paese in ginocchio, devastato dalla corruzione del periodo di Eltsin, dalla penetrazione della finanza speculativa internazionale, dalla svendita delle ricchezze nazionali alle grandi corporation e dal sostanziale fallimento dello Stato del 1998.
E quel che era più grave, c’era una ge­nerale sfiducia. Nessuno aveva fiducia nel rublo, nessuno pagava le tasse, o per cor­ruzione o per indigenza, I cosiddetti oli­garchi “spostavano” centinaia di miliardi di dollari a Londra o nei paradisi fiscali.
Perciò la tassa del 13% servì anzitutto a riportare un certo ordine e un po’ di razio­nalità nel sistema economico. Fu il modo per garantire un minimo di stabilità poli­tica e un minimo di entrate fiscali.
Pertanto il vero motore della ripresa russa, più che la flat tax, è stato lo sfrut­tamento delle risorse energetiche, del pe­trolio e del gas, le cui riserve, insieme alle altre ricchezze naturali, sono enormi. Per anni la Russia ha incassato elevate fatture dalla vendita di crescenti quantità di ri­sorse energetiche. Nel frattempo si è fre­nata in qualche modo sia la corruzione sia la fuga dei capitali. Si ricordi che in questi anni la differenza tra il costo di produzio­ne e il prezzo di vendita di petrolio e gas ha garantito entrate dav­vero eccezionali. Tanto che nel 2008 il classico barile di petrolio ha toccato la vetta di 150 dollari!
Oggi, però, la Russia, come altri paesi, sta vi­vendo una crescente e pericolosa ineguaglian­za economica e socia­le. Soprattutto dopo le sanzioni economiche e il crollo del prezzo del petro­lio. C’è un recente studio del Credit Suisse in cui si dimostra come la Russia sia uno dei più “disu­guali”paesi del mondo: il 10% della popo­lazione detiene l’87% della ricchezza della nazione. L’1% della popolazione detiene il 46% dei depositi bancari.
Anche la situazione della tanto decan­tata Ungheria merita un’attenta disami­na. Il paese, si ricordi, è entrato nell’Unio­ne europea nel 2004 mantenendo però la sua moneta nazionale, il fiorino. Con una popolazione di 10 milioni di persone, nel 2008 aveva un pil di 157 miliardi di dollari a prezzi correnti. A seguito della crisi glo­bale, nel 2011 il prodotto interno scese a 140 miliardi e nel 2012 a 125. Nell’ultimo periodo ci sono stati dei miglioramenti nell’economia magiara, trainata dalla pic­cola ripresa europea e soprattutto dall’at­tivismo industriale della vicina Germania.
Non sembra che l’introduzione della flat taxdel 16%, avvenuta nell’anno 2001, abbia aiutato la ripresa e le crescita in Ungheria. Ciò che ha invece veramente aiutato Budapest a mantenere una certa stabilità sono stati gli aiuti rilevanti da parte dell’Unione europea e la sua parte­cipazione al mercato unico europeo. Gli aiuti sono stati riconfermati anche recen­temente: dal 2004 al 2020 l’Ungheria rice­verà da Bruxelles sovvenzioni per com­plessivi 22 miliardi di euro, cioè oltre 3,5 miliardi l’anno.
Sono soldi che provengono anche dall’Italia, nonostan­te la forsennata propa­ganda magiara anti euro e anti Unione europea.
Si ricordi che l’Italia contribuisce al bilan­cio dell’Ue con ben 20 miliardi di euro e ne riceve 12. Gli 8 miliar­di rappresentano il con­tributo netto dell’Italia. Se fossimo trattati come l’Ungheria dovremmo rice­vere, in proporzione alla popo­lazione italiana che è 6 volte quella magiara, aiuti da Bruxelles per 22 miliar­di di euro ogni anno. Altro che flat tax!
La pressione fiscale nel nostro paese ha raggiunto livelli intollerabili. Deve essere ridotta e semplificata per dare ossigeno alle famiglie, ai lavoratori e alle impre­se, ma non si può pensare di eliminare il principio di progressività perché così si minerebbe il principio stesso di una so­cietà civile e democratica.
*già sottosegretario all’Economia
**economista
Mario Lettieri *
Paolo Raimondi**
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Non sembra che l’introduzione della flat tax del 16% in Ungheria, avvenuta nel 2001, abbia aiutato la ripresa
e la crescita
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Fondazione EYU
L’intelligenza artificiale
e il futuro dell’occupazione
Una delle sfide del riformismo europeo è coniugare progresso tecnologico e occupazione
Quale impatto avranno l’automa­zione e la digitalizzazione sul futuro del lavoro? Come coniu­gare progresso tecnologico, oc­cupazione e protezione dei di­ritti dei lavoratori?
Di questo si è discusso martedì scorso al Parlamento europeo, in occasione della ter­za tappa di “Human-Machine: New Policies for the Future of Work”, progetto promosso dalla Fondazione EYU, in partnership con Google, ed in collaborazione con alcune tra le più importanti fondazioni progressiste d’Europa – FEPS (Foundation for European Progressive Studies), Jean Jaurès, Res Publi­ca e Johannes Mihkelson Centre.
Dopo i due appuntamenti autunnali di Roma e Tallinn, l’obiettivo dell’iniziativa a Bruxelles era quello di presentare i risulta­ti definitivi dello studio condotto nell’ambi­to del progetto. Ad aprire l’evento, dunque, sono stati Carlo Stagnaro e Matteo Sartori – rispettivamente coordinatore e membro del gruppo di ricerca – che hanno illustra­to le molteplici dimensioni del rapporto tra automazione, produttività, occupazione e disuguaglianze, con una particolare atten­zione alle diverse proposte di policy.
Il dibattito che ne è seguito, molto par­tecipato, è stato moderato da Patrizia Toia – Capodelegazione del Partito Democratico al Parlamento europeo – e ha visto il coin­volgimento di rappresentanti delle istitu­zioni europee, del mondo politico, sinda­cale, accademico ed imprenditoriale. Sono intervenuti, tra gli altri, Sergei Stanishev – Presidente del Partito socialista euro­peo, Esther Lynch – Segretario confederale dell’ETUC (European Trade Union Confederation), David Rinaldi – Senior Economic Policy Advi­sor della FEPS, e Karl Ryan – Public Policy Analyst di Google.
Nel suo discorso, Sta­nishev si è soffermato più volte sulle implica­zioni politiche connesse allo sviluppo delle ICT (Information and Com­munication Technologies), sostenendo la necessità di superare quelle misure di au­sterity che, oltre ad essere “ina­deguate ad affrontare in modo equo un cambiamento così vasto e repentino”, hanno dato “l’impressione che l’Europa non avesse a cuore i diritti dei suoi cittadi­ni economicamente più svantaggiati”.
Alle sue parole hanno fatto eco le rifles­sioni conclusive di Maria João Rodrigues. Il Presidente della FEPS, infatti, ha sottoline­ato che la tecnologia, di per sé, non è mai neutrale e il fatto che venga vissuta come opportunità e non come minaccia dipende innanzitutto dalla politica, dalla sua capa­cità di redistribuire equamente i benefici di tale sviluppo tra il maggior numero pos­sibile di persone.
È questa, dunque, una delle sfi­de prioritarie del riformismo europeo. Sarà sempre più importante che le fonda­zioni e i partiti progres­sisti promuovano mo­menti di confronto sulle conseguenze dell’intel­ligenza artificiale ed individuino policies comuni per governare i cambiamenti dettati dall’innovazione tecno­logica. “Human-Machine: New Policies for the future of Work” rappresenta l’impegno della Fondazione EYU per trovare soluzioni sostenibili ed inclusive, e anche i prossimi due appuntamenti del progetto, previsti a Parigi e Lisbona tra aprile e mag­gio, saranno animati dalla volontà di forni­re un contributo scientifico al dibattito in corso.
Secondo il presidente della Feps sarà la politica che dovrà trasformare la tecnologia in opportunità
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Siria
L’inferno di Ghouta: centinaia
di vittime negli ultimi giorni
Una “morte lenta e dolorosa” at­tende, secondo l’Onu, gli oltre 800 civili siriani gravemente fe­riti dai bombardamenti gover­nativi sulla Ghuta, a est di Da­masco, mentre emergono bilanci impressionanti delle vittime dell’inasprimento dell’offensiva militare sull’area assediata: sem­pre le Nazioni Unite riferiscono di 346 persone uccise e 878 ferite nelle ultime due settimane, mentre fonti mediche locali parlano di “250 ci­vili” uccisi da lunedì a oggi.
Oggi l’Osservato­rio nazionale per i di­rittui umani (Ondus) parla di altri 13 morti in bombardamenti, di cui 3 sono bimbi.
Il dramma dei civi­li assediati si profila, seppure su scala e gra­vità inferiore rispetto alla Ghuta, anche nel nord-ovest, dove la Turchia prosegue le operazioni militari contro l’enclave curda di Afrin, al centro da giorni di un’in­tensa attività politico-di­plomatica che coinvolge in prima persona la Rus­sia, assieme alla stessa Turchia e all’Iran. Sulla Ghuta, dove rimangono circa 400mila civili e che è controllata da gruppi armati sostenuti a vario livello da Arabia Saudita, Qatar e Turchia, il segreta­rio generale dell’Onu Antonio Guterres oggi ha chiesto un’immediata sospensione di ogni attività bellica. Ieri il coordinatore umanitario regionale dell’Onu, Panos Moumtzis, aveva de­scritto la situazione nella Ghuta orientale come “oltre l’immaginabile”. L’Osservatorio naziona­le per i diritti umani in Siria (Ondus) ha riferito dell’uccisione negli ultimi tre giorni di oltre 250 civili, tra cui 57 minori – inclusi bambini anche molto piccoli – e una trentina di donne. Ci sono centinaia di feriti, afferma l’Ondus, in gravi condizioni mediche. L’aviazione e l’artiglieria governative hanno colpito ripetutamente an­che cliniche, ospedali, dispensari, rifugi. E men­tre la Russia, forte alleato del governo siriano, smentisce di partecipare ai raid sulla Ghuta, l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ha comunicato che negli ultimi due giorni nell’area assediata sono stati colpiti sei ospeda­li, provocando “decine di morti” e lasciando senza assistenza mi­gliaia di persone.
Per questo la Croce Rossa internazionale ha chiesto che i civili feriti possano essere soccorsi. “I feriti stan­no morendo sempli­cemente perché non possono essere cura­ti in tempo”, ha detto Marianne Gasser, la re­sponsabile della Croce Rossa in Siria. Le ha fatto eco l’Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Ra’ad Al Hussein, secondo cui i feriti devono “affrontare una morte lenta e doloro­sa”.
Dall’enclave curda di Afrin giungono invece no­tizie dell’uccisione solo ieri di 14 civili in bombardamenti turchi nell’area controllata dal Pkk siriano. Ma l’offensiva turca non si arresta e le forze di Ankara e le milizie ara­bo-sunnite alleate hanno allargato il controllo delle zone frontaliere, di fatto stringendo d’as­sedio la zona di Afrin.
La bambina simbolo della tragedia dei civili
È una bambina di forse cinque o sei anni, in un pigiamino rosa e con ai piedi ciabatte troppo grandi per lei, il nuovo simbolo della tragedia dei civili vittime dei bombardamenti nella guerra civile siriana. La fotografia è stata diffusa oggi sulla pagina Facebook dei White Helmets,l’organizzazione per la protezione civile nelle aree controllate dai ribelli, che affermano di averla scattata in una delle località della Ghuta orientale, alle porte di Damasco, martellata dai raid e dalle artiglierie governative da settimane. Un soccorritore, con in testa appunto un casco bianco e il viso coperto da un fazzoletto per ripararsi dalla polvere, cala la bambina dal primo piano dello scheletro di un edificio sventrato dalle bombe, mentre a terra altri alzano le braccia per prenderla. “I massacri continuano oggi nella Ghuta orientale, con raid aerei e 20 persone finora uccise”, afferma l’organizzazione, parlando in particolare di bombardamenti sulla cittadina di Kafar Batna. I White Helmets postano le fotografie di altri due bambini maschi, di cui uno che piange disperatamente, nelle braccia dei loro soccorritori, che corrono nelle strade in cui sono evidenti i segni della distruzione.
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L’aviazione e l’artiglieria governative hanno colpito ripetutamente anche cliniche, ospedali, dispensari e rifugi
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In redazioneCarla Attianese, Patrizio Bagazzini,Stefano Cagelli, Maddalena Carlino, Roberto Corvesi, Francesco Gerace,Silvia Gernini, Stefano Minnucci,Agnese Rapicetta, Beatrice Rutilonidemocratica@partitodemocratico.itPD BobSocietà editrice:Democratica srl Via Sant’Andrea delle Fratte 16 – 00187 Romawww.democratica.comwww.partitodemocratico.itPer ricevereDemocratica: scrivi su Whatsapp a 348 640 9037oppure vai sul messenger Facebookall’indirizzom.me/partitodemocratico.it DirettoreAndrea RomanoVicedirettoreMario Lavia

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