Enews 515, martedì 20 febbraio 2018
20 Febbraio 2018
Il Delirio Di Disperazione Della Venittelli E Del Pd
20 Febbraio 2018
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Democratica

Della Redazione Di Democratica

n. 130 martedì 20 febbraio 2018
“Ti va una vacanza a Poggioreale?”
(Henry John Woodcock al testimone Filippo Vannoni)

Silvio sogna il Colle, Di Maio con i truffatori
L’EDITORIALE

Al bivio fra riformismo e nuovo fascismo
Mario Lavia
Il fascismo non è morto. Berlusconi minimizza con ovvietà tipo che Mussolini e Hitler non ci sono più e quindi non c’è problema: discorsi da bar. Ma quando in Germania i sondaggi danno Alternative für Deutschland ormai al secondo posto davanti ai socialdemocratici è segno che l’Europa ha un problema enorme. Quando l’estrema destra governa l’Austria, idem. Per non parlare di quello succede nei paesi ex comunisti. Solo grazie a Emmanuel Macron oggi la Francia è nelle mani dei democratici. E da noi, come negare l’emersione di gruppi e gruppetti neofascisti unitamente allo scivolamento a destra della Lega di Salvini? Il Cavaliere ci gioca cinicamente ma rischia di restare sotto le macerie di una nuova destra egemone, apprendista stregone di un pericolo reazionario che egli, nella sua smisurata presunzione, si illude di poter ammansire.
Verso il 4 marzoA pochi giorni dal voto
il Pd rimane l’unico freno ai populismi: un argine
alla destra estremista, sempre più divisa,
e all’improvvisazione disonesta dei Cinque stelle
ALLE PAGINE 2-3
MAFIA
GERMANIA
Con Federica: “Li denuncerei ancora”
I populisti fanno paura. Larghe intese a rischio
PAGINA 5
PAGINA 6
SEGUE A PAGINA 6
Centrodestra
Berlusconi pensa al Colle, l’ennesima boutade
è da incubo
Io al Quirinale? «Non ne par­liamo, ne parliamo casomai più avanti». L’ex Cavaliere in un’intervista a Etna Ra­dio se ne esce con un nuovo delirio che ne sottolinea, nel caso ce ne fosse ancora bisogno, l’irresponsabilità e l’arroganza. Ancora una volta Berlusconi torna a coltivare la sua più grande ambi­zione: quella di salire al Colle non come aspirante premier, ma come Capo dello Stato.
Quel che è certo è che Berlusconi non è nuovo a boutade del genere. Frasi dette e poi smentite, posizioni prese e poi negate. Ancora una volta l’ex premier fa finta di non vedere l’elefante nella stanza che risponde al nome di Matteo Salvini. Il suo alleato con aspirazioni alte, anzi altissime, che spesso hanno messo di cattivo umore il si­gnore di Arcore.
D’altronde, il duello sulla premiership non si è mai consumato. E anzi il gioco delle parti continua a tenere banco. Da Fabio Fazio, ad esempio, Berlusconi ha commentato l’agghiacciante possibilità di un Salvini premier: “Non posso fare il ministro di Salvini, sono incandidabile! (eggià, ndr.). Comunque se la Lega avesse più voti di Forza Italia, c’è un accordo preso tra gli alleati e con assoluta lealtà accetteremmo e sosterremmo Sal­vini premier, ma sono sicuro che vinceremo noi”.
Insomma a destra la situazione è questa: da una parte c’è Giorgia Meloni, che da giorni sta soffiando sul fuoco della destra più reaziona­ria. Dall’altra c’è Matteo Salvini che un giorno sì e l’altro pure non per­de occasione per confermare che la distanza dal suo principale alleato. E infine c’è lui, Berlusconi, che ad ogni uscita spariglia le carte ai suoi alleati e agli italiani. Quella sul Qui­rinale è solo l’ultima sparata che, per quanto improbabile, inquieta l’ascoltatore più attento. Perché una vittoria alle elezioni del 4 marzo darebbe al centrodestra la possibilità concreta di eleggere un suo esponente alla presidenza della Repubblica.
Circa un mese fa la questione è stata posta anche al leader Leghista. In un incontro a Milano gli hanno chiesto se Berlusconi corrispon­desse all’identikit del prossimo presidente della Repubblica. “Dicia­mo che… è un ragionamento interessante,- ha risposto l’alleato – però non dico altro. Facciamo prima il presidente del Consiglio”. Parole che fanno temere che l’ennesima sciocca boutade si trasformi in un vero incubo.
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Movimento 5 Stelle
Le domande
a cui Di Maio ancora non risponde
Nel 2013 sono entrati in Parlamento al grido di “one­stà onestà”, con la promessa di aprire il Palazzo “come una scatoletta”.
Già, i Cinquestelle dovevano essere modello di trasparenza, e sono diventati invece i più opachi di tutti. Dovevano rivoltare, e sono stati invece rivol­tati.
Per quanto il leader designato Luigi Di Maio – eletto candida­to premier, lo ricordiamo, con 31mila voti, praticamente mezzo stadio Olimpico – provi a minimizzare e a ributtare la palla nel campo avversario, lo scandalo dei candidati a 5 stelle, dai furbetti di Rimborsopoli, ai massoni, agli scrocconi, dà il segno del livello della classe dirigente che i pentastellati candidano alla guida del Paese. Peraltro – a quanto pare – i tanto decantati “competenti” che dovrebero far parte della squadra di governo rispondo ‘no grazie’ alla richiesta di Di Maio.
Ora, per quanto possa essere addirittura comprensibile, seppur non condivisibile, il tentativo di lucrare su un rancore che, ogget­tivamente, serpeggia nella nostra società ormai da qualche anno, resta il fatto che per governare un Paese servono persone, idee e progetti all’altezza.
E del resto le performance grilline nelle città, da Roma a Tori­no a Livorno, con amministrazio­ni ferme nei loro no e incapaci di portare avanti progetti ambiziosi, così come di affrontare i problemi della vita quotidiana delle persone, possono già essere prese come una specie di prova generale di come l’Italia potrebbe ritrovarsi se consegnata nelle mani di Di Maio e soci.
Le domande restano sempre quelle: come può Di Maio essere stato all’oscuro di quanto avveniva nel suo gruppo parlamentare, con i furbetti che in pubblico dichiaravano di restituire “a benefi­cio delle pmi”, e in privato intascavano? Come può un candidato premier che non governa un gruppo di qualche decina di persone, pensare di poter governare l’Italia? E ancora: quanto può essere credibile una parte politica scoperta a mentire su una vicenda, quella delle restituzioni dei rimborsi, sulla quale hanno fatto e disfatto tutto da soli?
Ma al netto delle vicende dei singoli candidati, per quanto pre­occupanti e diffuse, resta la questione più importante, e cioè quale sia il progetto di Paese che ha in mente il Movimento 5 stelle: quel­lo dei No Vax e dei No euro? Quello del reddito di cittadinanza, praticamente un incentivo contro il lavoro, peraltro non sosteni­bile? Tra le tante parole spese contro gli altri è difficile riuscire a trovare dell’altro. Davvero un po’ poco per chi si candida a ri­voltare il Paese come un calzino, e quel poco che c’è, va detto, è tutt’altro che rassicurante.
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Programma Pd
Verso gli Stati Uniti d’Europa
L’obiettivo del Partito democratico è portare più politica in Europa:
dalla creazione di liste transnazionali, all’istituzione di un ministero delle finanze per l’area Euro
L’appartenenza all’Europa e all’Euro non è in discussione per il Partito democratico, che crede nel sogno degli Stati Uniti d’Europa. L’obiettivo è di portare più politica in Europa, a cominciare dalla proposta per l’elezione di­retta del presidente della Commissione, dall’unificazione delle presidenze di Commissione e Consiglio, dalla creazione di liste transnazionali alle prossime elezioni europee, dall’istitu­zione di un ministero delle finanze per l’a­rea Euro.
Allo stesso tempo, Il Pd vuole che pae­si europei pronti a realizzare una mag­giore integrazione realizzino non solo un’Unione fiscale ma una vera Unio­ne sociale, radicando la cittadinanza europea anche su quel versante. Par­tendo dalla realizzazione di un’assicu­razione comune contro la disoccupa­zione e da una “Children Union” per il contrasto comune alla povertà educati­va.
L’Europa nel progetto dem dovrà essere prota­gonista in tutti i teatri di crisi internazionali ma in modo particolare nel rapporto con l’Africa. E allo stesso tempo si dovranno valorizzare tutte le iniziative che rendano più forte e esplicita l’appartenenza all’ideale comunitario delle giovani generazioni, a cominciare dall’Erasmus e dal servizio civile europeo, il cui primo embrione è sta­to approvato nel semestre di presidenza italiana.
Sulla questione migranti il Partito democratico vuole un’Europa che si faccia carico del problema della mi­grazione superando il principio contenuto nell’ac­cordo di Dublino del 2003, che impone a ciascun stato membro di farsi carico dei migranti che arrivano nel paese di approdo. E propone che in assenza di una solida­rietà nella gestione della migrazione non potrà esserci solidarietà nel prossimo bilancio eu­ropeo: in altri termini, si vuole stabilire una correlazione tra i soldi che l’Italia mette come paese contributore nel bilancio europeo e gli impegni che i paesi che ricevono quei soldi mettono nella ge­stione della migrazione.
Nel programma si legge inoltre la ri­chiesta di superare il vincolo dell’au­sterità non per esigenze contabili inter­ne (il Pd comunque prende l’impegno di riportare il debito pubblico al 100% del Pil in dieci anni), ma per il semplice motivo che la filosofia del Fiscal compact non inco­raggia gli investimenti economici in Europa.
Infine, evidenziano dal Nazareno, il programma elettorale del Pd ha un costo inferiore alle misure delle leggi di bi­lancio approvate negli anni che vanno dal 2014 al 2017 ed è compatibile con il quadro di consolidamento fiscale su cui ci impegniamo.
Il
programma
Pd
sull’Europa

Mafia a Ostia

Tutti con Federica Angeli
Una “scorta mediatica” per la cronista di Repubblica: “Ho perso la libertà ma denuncerei ancora”
Ieri è stato il giorno di Federica An­geli: un giorno di riscatto e di rivin­cita per la giornalista di Repubblica sotto scorta dal 2013. Angeli è stata chiamata in aula come testimone nel processo per minacce e violenza privata a carico di Armando Spada, espo­nente dell’omonimo clan attivo sul litorale romano e Paolo Riccardo Papagni, fratello dell’attuale presidente della Federbalneari. Ad accompagnarla fin dentro l’aula il diret­tore Mario Calabresi e il vicedirettore Sergio Rizzo.
Fuori da Piazzale Clodio invece un sit in di sostegno sotto lo slogan Mai più soli, una vera e propria ‘scorta mediatica’ per la gior­nalista organizzata dalla Federazione nazio­nale della Stampa italiana e dall’Ordine dei giornalisti d’intesa con Articolo 21, Usigrai, Rete NoBavaglio, Ordine dei giornalisti del Lazio e Associazione Stampa Romana.
Un sostegno che la cronista ha sentito for­te e chiaro:
La testimonianzadi Federica Angeli“Il giorno in cui mi è stata assegnata la scor­ta, nel luglio del 2013, ho capito che la mia vita sarebbe stata stravolta. L’allora prefet­to Giuseppe Pecoraro mi disse che la mia vita era a rischio per ciò che avevo scritto: una cosa, mi disse, che nessuno aveva mai fatto ad Ostia in 40 anni”. Rispondendo alle domande del giudice monocratico, la gior­nalista di Repubblica, apparsa visibilmente emozionata, ha ricostruito la sua vicenda. “Io ho denunciato Spada nel maggio di cinque anni fa prima per le minacce ai miei danni e ai due operatori free lance durante l’inchiesta giornalistica sui roghi negli sta­bilimenti balneari e poi per aver assistito a un duplice tentato omicidio”. Da quel mo­mento per la cronista la “libertà è finita“. “Ho tre bambini ai quali ho cercato di spie­gare quello che era successo e ho fatto in modo che a loro non arrivasse nulla della mia paura. Non posso più andare a pren­dermi un gelato, devo decidere bene dove sedermi quando vado in un ristorante, non mi posso neppure affacciare al balcone di casa, perché io ho scelto di continuare a vivere a Ostia”.
“Ho pagato con la libertà personale, ma credo sia servito a qualcosa. Oggi è giu­sto essere qui. In quell’aula io sarò al ban­co dei testimoni, ma con me ci saranno tutti i cittadini – ha affermato Angeli en­trando in tribunale – Lo rifarei, grazie alle mie denunce ora tutti conoscono Ostia”.Il sostegno della politica
“Questa mattina (ieri, ndr) sono stato ad abbracciare un’amica e ad onorare una pro­messa: a Federica Angeli avevo detto che il giorno del processo sarei stato con lei. E così ho fatto. Grazie Federica per il tuo coraggio e la tua tenacia”. A scriverlo su Twitter è Matteo Orfini, presidente del Pd e candidato nel collegio uninominale di Torre Angela.
Il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti scrive: “Vicini a Federica Angeli che oggi depone al processo contro gli Spa­da. Siamo tutti con Federica. Avanti con co­raggio e determinazione per la giustizia e la legalità”.
Anche la sottosegretaria alla presidenza del consiglio Maria Elena Boschi ha voluto esprimere il suo sostegno: ” E’ proprio gra­zie alle sue parole che oggi Federica com­pie un gesto che può sembrare piccolo ma che è straordinario: ribellarsi alle minacce e squarciare il silenzio omertoso e terroriz­zante della mafia. Parlare è un gesto che fa paura. Ma combattere la mafia è possibile solo se lo si fa insieme”.
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Mondo
L’alternativa fra riformismo e nuovo fascismo
Non c’è, in Italia, una imminente mi­naccia alla democrazia e alla liber­tà. C’è però il rischio concreto di un coagulo di pulsioni antiliberali che, se politicamente organizzate, potrebbe­ro produrre nuovi fenomeni inquietanti. La crisi d’immagine, ma anche di sostanza, del­le istituzioni democratiche, dei meccanismi legislativi e di governo, la pesantezza del sistema burocratico, l’incepparsi dei canali di comunicazione fra politica e società: tut­to questo alimenta il rifiuto tout courtdella politica e della democrazia. Non siamo certo a Weimar. Nell’Italia del 2018 ci sono forze riformatrici e liberali che sono al governo e che in ogni caso saranno protagoniste. Però, attenzione.
La questione è molto seria e molto com­plessa. Bastasse “sciogliere” i gruppi che si esplicitamente si dichiarano eredi del fasci­smo – CasaPound, Forza nuova – saremmo tutti contenti. Purtroppo è una scorciatoia. Altra cosa – qui forse bisogna fare di più – è punire con il massimo rigore previsto dal­le attuali leggi tutte le ostentazioni di ade­sione al fascismo, al nazismo, al razzismo; tutte le rivendicazioni di “eredità” di quelle nefaste esperienze storiche; e ovviamente tutti i comportamenti violenti o inneggianti alla violenza che spesso connotano i gruppi neofascisti: è ora di dire basta a questi ra­gazzotti che fanno il saluto romano e che spadroneggiano in alcune scuole o in certi quartieri. Applichiamo le leggi esistenti e si lavori insieme per rinnovarle e rafforzarle.
Èpossibile dunque che l’Europa stia an­dando incontro a un nuovo bivio storico. La crisi delle democrazie europee nella quale siamo piombati può sfociare in un nuovo avanzamento sociale, politico, istituzionale – a livello europeo e nazionale – così come può prendere la strada dell’involuzione po­pulista e di destra, irrazionale e disgregatri­ce dell’ordine democratico. E il 4 marzo in questo quadro è uno snodo decisivo per al­zare un argine contro il ritorno dei peggiori incubi del Novecento.
Mario Lavia
Segue dalla prima
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Germania al bivio
Larghe intese a rischio, Spd a picco nei sondaggi. E i populisti fanno paura
La notizia è di quelle che non possono non suonare come un campanello d’allarme: in Ger­mania, per la prima volta, i po­pulisti di destra di Alternative fuer Deutschlandsuperano i so­cialdemocratici della Spd. Secondo un son­daggio condotto dall’istituto Insa per conto della Bild Zeitung, il partito xenofobo e an­ti-europeista che nelle elezioni federali dello scorso settembre ha fatto il suo primo stori­co ingresso in Parlamento, oggi otterrebbe il 16% delle preferenze, contro il 15,5% della Spd. Un disastro per la grande volkspartei che, dal dopoguerra a oggi, si è sempre spar­tito le prime due posizioni della griglia po­litica con i cristiano-democratici. L’Unione Cdu-Csu guidata da Angela Merkel, secondo la stessa rilevazione, guadagna due punti ri­spetto a una settimana fa, con il 32% dei voti virtuali degli elettori. In flessione i liberali della Fdp (9%), stabili invece Linke e Verdi, rispettivamente all’11 e al 13%.
La notizia, dunque, è il crollo verticale della Spd, che già alle elezioni del 2017 ave­va toccato il suo minimo storico con il 20,5%. Non c’è dubbio che a determinare questo scenario sia stato il caos che ha fatto seguito alle elezioni, la resa dei conti infinita che è cominciata il 25 settembre (il giorno dopo il voto), la condotta ondivaga di Martin Schulz e la sua successiva doppietta di dimissioni, da presidente del partito e da ministro degli Esteri in pectore, e, soprattutto, la profonda lacerazione sulle prospettive dell’ennesima Grosse Koalitionguidata da Angela Merkel. Basti pensare che, solo un anno fa, la Spd veniva considerata dai sondaggi intorno al 30% e pienamente in corsa per giocarsi la vittoria alle urne. Con i numeri di oggi, la GroKonon sarebbe neppure possibile.
In questo quadro di profonda debolezza politica, le forze estreme e di protesta attec­chiscono e crescono anche in un Paese come la Germania, dove la disoccupazione è al mi­nimo storico, la crescita economica non si è mai fermata e, dopo un primo momento di emergenza, anche la gestione dei profughi è rientrata in un alveo di normalità. Eppure la propaganda del partito a tinte neonaziste, anti-establishment, anti-migranti, anti-Bru­xelles, divampa anche qui, complice una po­litica che, evidentemente, non riesce a dare le risposte che la gente cerca.
Alla luce di tutto questo, assume un’impor­tanza campale il voto che i 435mila iscritti della Spd si stanno apprestando ad esprime­re proprio sull’accordo raggiunto dai vertici del loro partito con Angela Merkel per la for­mazione del terzo governo di larghe intese nelle ultime quattro legislature. Un accordo che solo qualche mese fa, almeno sulla base delle parole di Schulz, sembrava impossibi­le: “Mai più Grosse Koalition”, aveva tuona­to l’ex presidente del Parlamento Europeo dopo la batosta elettorale, conscio che l’ero­sione di consensi per la Spd era legata anche alla subalternità nei confronti della Cdu. Di qui il tentativo (fallito) della Cancelliera di dare vita alla Jamaika Koalitioninsieme a Verdi e Liberali, e poi di nuovo all’appello alla responsabilità del presidente della Re­pubblica (socialdemocratico) Frank-Walter Steinmeier e alla soffertissima decisione del congresso straordinario della Spd di riapri­re le trattative con la Merkel.
Un congresso in cui si sono scontrate le due anime del movimento, quella dei Giova­ni, guidata da Kevin Kuehnert e quella del­la direzione rappresentata con forza – oltre che da Martin Schulz – dal capogruppo al BundestagAndrea Nahles. Proprio Nahles è stata indicata da Schulz per succedergli alla guida del partito – in via temporanea – dopo la decisione al termine delle trattative con Cdu e Csu di lasciare il suo incarico nel movimento e rinunciare alla carica che gli sembrava riservata nell’eventuale futuro governo, quella di ministro degli Esteri. Ma la scelta di Schulz non è andata in porto, e al posto di Nahles, in attesa che il partito deci­da con una consultazione, è stato messo un altro reggente, Olaf Scholz, possibile futuro ministro delle Finanze, mentre sono state avanzate oltre a quella della capogruppo al­meno altre due candidature.
Ora la parola passa agli scritti, ai 463.723 militanti – aumentati negli ultimi mesi per via della campagna dei giovani del partito, che hanno cercato di attirare con lo slogan ‘Entra e dì no’ nuovi iscritti favorevoli alla loro linea – che potranno dire la loro sul fu­turo della Spd, quello di un altro governo con il blocco conservatore o meno. Se il voto sarà negativo, alla Cancelliera, uscita inde­bolita dalla trattativa, che l’ha vista costretta a fare concessioni anche in termini di inca­richi ministeriali, resteranno solo due stra­de: governo di minoranza o nuove elezioni.
Stefano Cagelli
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Partito democratico

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In redazioneCarla Attianese, Patrizio Bagazzini,Stefano Cagelli, Maddalena Carlino, Roberto Corvesi, Francesco Gerace,Silvia Gernini, Stefano Minnucci,Agnese Rapicetta, Beatrice Rutilonidemocratica@partitodemocratico.itPD BobSocietà editrice:Democratica srl Via Sant’Andrea delle Fratte 16 – 00187 Romawww.democratica.comwww.partitodemocratico.itPer ricevereDemocratica: scrivi su Whatsapp a 348 640 9037oppure vai sul messenger Facebookall’indirizzom.me/partitodemocratico.it DirettoreAndrea RomanoVicedirettoreMario Lavia

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