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Democratica

Della Redazione Di Democratica

n. 116 giovedì 1 febbraio 2018
“Capii allora che per cambiare il mondo bisognava esserci”. Tina Anselmi
(Il 1 febbraio 1945 viene pubblicato il decreto che estese il voto alle donne)

COMMENTO
Di Maio e il partito del caos miliardi
Elisabetta Gualmini

Luigi Di Maio è un fiume in piena. Dice tutto e il contrario di tutto, a seconda dell’interlocutore che si trova davanti. Nel giro di una campagna elettorale, ha mandato al macero dieci anni di battaglie, idee e diktat indiscutibili del Movimento 5 Stelle. Grillo si starà rivoltando nell’altro blog.
Abbandonati velocemente antieuropeismo e referendum sull’euro (per la gioia della cittadina Castelli che così non dovrà decidere cosa votare), cestinato l’odio per le coop che ora sono “impor-tan-tis-si-me”, adesso è il turno di buttare via l’appello al popolo e al cittadino qualunque e soprattutto il no alle alleanze con l’odiata partitocrazia.
Non siamo populisti, dice Di Maio ai finanzieri della city. Esattamente il contrario di quello che rivendicava con orgoglio Beppe Grillo dalle piazze del 2013. Non siamo incompetenti, aggiunge Luigi, facendo fuori in un sol colpo migliaia di cittadini inesperti che da anni sognavano che fosse arrivato il loro turno. Ricordate i cittadini dalla faccia pulita, un po’ nerd un po’ boy scout, che dovevano riappropriarsi delle istituzioni e portare la salvezza a tutti noi? Sono inespertiii, urlava il Grillo dei primordi, non sanno rubare. Ebbene oggi il cittadino naif ha lasciato la pentapoltrona ai super-competenti.
È record
SEGUE A PAGINA 5
CANDIDATI
Fisco La lotta all’evasione non ha mai dato risultati così buoni. È il frutto del nuovo approccio voluto dai governi a guida Pd
Diritti e cultura, le mie battaglie.
Parla Cerno
PAGINA 5
PAGINA 4
lunedì 5 febbraio – roma – teatro eliseo
PARTITO
DEBUNKING
Abolire la legge Fornero? Un danno enorme
Pronto il programma del Pd. Ora il confronto sui contenuti
PAGINA 6
BANCHE
Domani a Bologna con Matteo Renzi e Tommaso Nannicini. Lunedì tutti i candidati al teatro Eliseo di Roma per l’inizio della campagna elettorale
Forza Italia e l’assurda teoria del complotto
PAGINA 2
G. GALLIA PAGINA 7
Partito
Venerdì pomeriggio, alle 15, a Bologna, il segretario del Pd
Matteo Renzi presenta il programma di Governoelaborato
in questo anno di lavoro. Guiderà i lavori Tommaso Nannicini.
Potrete seguire l’evento tramite la diretta Facebook osulla pagina
del Partito Democratico o sul canale Youtube di Matteo Renzi.
Un programma vero per un’Italia più forte e più giusta,
non un elenco di promesse impossibili come quelle arrivate dalla destra
e dai Cinque Stelle.
La nostra promessa?
Non fare promesse, ma dare
obiettivi concreti e verificabili

Lunedì tutti i candidati del PD saranno a Roma al teatro Eliseo per l’inizio della campagna elettorale nazionale. L’evento “Vota la Squadra, scegli il PD” sarà preceduto da un lavoro con tutte le strutture del PD e dei candidati per organizzare la rete di volontari, bellissima, che sta nascendo per questa campagna elettorale (e alla quale potete contribuire cliccando qui).
Candidati
CAPOLISTA NEL COLLEGIO
Friuli Venezia Giulia
SENATO DELLA REPUBBLICA
Tommaso Cerno
“Diritti e cultura saranno le mie battaglie in Parlamento”
Carla Attianese
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Tra i volti nuovi che hanno accettato di mettersi in gio­co candidandosi con il Pd spicca quello di Tommaso Cerno, giornalista, scrittore e conduttore televisivo, in­tellettuale impegnato soprattutto sul fronte dei diritti civili, che incontriamo per Democratica.
Perché la scelta di candidarsi nel pieno della sua carriera giornalistica?
Venticinque anni fa scrissi il primo articolo sul Gazzettino di Udine e subito ebbi la sensazione che il giornalismo potesse essere uno strumento per raccontare ma anche per cambiare il Paese, quindi la mia fu una scelta ideale. Ho fatto un percorso che mi ha portato alla direzione de Il Messaggero Veneto, de L’Espresso e adesso alla condirezione di Repubblica, ma in realtà ho fatto sempre il gior­nalista. Dopo 25 anni di racconto impegnato dell’Italia, ho avuto la sensazione di vivere in uno stadio e che molto di quello che avevo fatto si confondeva in mezzo a questi fischi, che stanno portando il Paese a dividersi in tifoserie che sanno solo protestare. Ho sentito l’esigenza di smettere di fischiare da una tribuna e di provare a fare qualcosa io.
E ha scelto di farlo nel Pd. Perché?
Perché ho visto come negli ultimi anni la politica abbia cercato di mascherarsi, usando per definirsi parole come movimento, forza, lega, e aggettivi vari. Sono scappati dalla più bella parola della po­litica, la parola ‘partito’. Partito deriva da parte, e la battaglia po­litica è prendere parte. Nessuno può avere tutta la ragione, ma il senso dell’impegno è dire da che parte stai e lottare perché la tua parte possa cambiare le cose. L’altra parola è ‘democratico’: dopo la Seconda guerra mondiale ci siamo illusi che il sacrificio di tanti italiani fosse sufficiente a dire che libertà e democrazia fossero date per sempre, oggi vediamo che non è così e spetta ad ognuno di noi riscrivere quelle parole a chiare lettere dentro l’anima di questo Paese.
Qualcuno le ha fatto notare che nel ’95 fu candidato a Udine per AN.
Quella è una battaglia radicale che rivendico. L’unico che accettò di fare la battaglia, che portavo avanti con i miei ideali di ventenne, per intitolare il teatro di Udine a Pier Paolo Pasolini, fu un esponen­te di AN. È una storia che mi ha fatto conoscere il senso profondo di quelle battaglie civili che ho poi combattuto proprio contro la destra più reazionaria.
Lei porterà nel Pd soprattutto le sue battaglie per i diritti civili, è così?
I diritti sono l’unico scudo che ci protegge dall’estremismo che sta cercando di portare indietro l’Europa di cento anni. I diritti sono il dovere civico di ogni democratico, perché la Costituzione dice che non ci sono differenze, ma l’Italia dimostra che non è ancora così. Il Pd con i governi Renzi e Gentiloni ha fatto due grandi passi avan­ti dopo anni di parole. Non solo ha approvato le unioni civili con Renzi, ma ha compiuto un atto importantissimo dal punto di vista simbolico, ponendo la fiducia, per la prima volta nella storia della Repubblica, su un tema che riguardava i diritti civili. Con il biote­stamento approvato dal governo Gentiloni il Pd ha portato giustizia alla battaglia ventennale simboleggiata da Welby, Peppino Englaro e da tanti altri, per affermare che quello alla cura è un diritto della persona. Chi parla di cultura della morte, di fronte al biotestamento dovrebbe invece parlare di cultura della vita, perché quella battaglia difende il diritto del paziente ad esprimersi sulle proprie cure sia che voglia proseguirle sia che voglia invece sospenderle, dunque difende tutti.
Come si concretizzerà il suo impegno su fronti aperti come lo ius soli e la step child adoption?
Il mio impegno sarà avvicinare ancora di più il Paese al tema della piena uguaglianza tra tutti i cittadini aprendo un grande dibattito sulle adozioni in Italia, da quelle dei single in poi, perché stiamo con­tinuando a lasciare orfani i bambini per litigare in Parlamento sul futuro dei genitori, e questo non è da Paese civile. Piena uguaglian­za significa anche dovere, ancor prima che diritto, di cittadinanza, per tutti i bambini italiani che la destra sfruttano come strumento di paura. Quei bambini sono invece un patrimonio dell’Europa e della cultura occidentale. Sono più italiani loro di Salvini, che dopo avere per anni insultato la bandiera nel nome della quale oggi presume di difendere il Paese da chissà quali pericoli, con quella stessa bandie­ra oggi pretende di tornare a una italianità che abbiamo sconfitto 80 anni fa e che non vogliamo più rivedere, quella del razzismo e della xenofobia. Quella italianità di Salvini non esiste, quella di quei bambini invece è la più bella, perché è l’Italia del futuro. Chi confonde lo ius soli con il tema della sicurezza dimentica che è una legge che vige in Paesi come gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia e la Gran Bretagna, che non mi sembrano Paesi particolarmente aperti al tema dell’immigrazione, o poco vigili sul necessario controllo che lo Stato deve garantire.
Tornando a Pasolini, viviamo un momento non facile nel rapporto del Paese con gli intellettuali e la cultura in generale.
Io sono friulano e Pier Paolo Pasolini è sepolto a Casarsa. La sua terra ci ha messo molti anni a riabbracciarlo, spaventata da una figura di intellettuale tra le più alte di sempre. Ma se rileggiamo Pasolini oggi ci rendiamo conto di due cose: le sue denunce sono state inascoltate e il conformismo ha schiacciato la cultura in qual­cosa che al Paese sembra marginale. Camminare in Italia in mezzo alla storia ci fa sentire il dovere di ridare alla parola cultura il suo originario significato: cultura è indagine, sforzo, elaborazione, è la chiave di accesso alla complessità dei problemi, mentre invece oggi molti politici preferiscono la semplificazione. La semplificazione equivale all’ignoranza, semplificare può dare l’impressione di ri­solvere subito, ma la presa d’atto che non esiste la magia come nel Medioevo ci deve spingere a sapere sempre di più e a mostrare al mondo che la nostra storia non ci ha trasformati in un museo.
Lei in passato non ha risparmiato punzecchiature a Matteo Renzi.
È vero, per questo il fatto che io sia candidato è la prova vivente che nel Pd non esiste una posizione predefinita. Esiste invece un dibat­tito anche aspro, che deve alla fine portare a una decisione che poi viene portata avanti, è questo il ruolo del partito. Da giornalista ho scritto su Renzi inchieste e libri, criticandolo quando ho ritenuto di farlo, dunque se fosse vero che nel Pd di Renzi esiste il pensiero unico, semplicemente io non sarei in lista.
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Candidati
Daniela Iaconis
Ricercatrice impegnata nel sociale
Giovane ricercatrice presso la Fondazione Telethon dove si occupa di genetica. Sulla sua candidatura ha detto: “Possiamo fare insieme la differenza. Chi mi conosce sa già che ho sempre sostenuto che la differenza è una questione di stile, che sta nel mio essere semplice ma concreta, limpida ma determinata. Ho voglia di far sentire la mia voce, una voce in cui converge quella dei napoletani, del lavoro precario, dell’alzarsi le maniche e fare impresa, dell’essere donna senza compromessi. Questa sono io e questo porterò con me!”
CANDIDATA AL COLLEGIO
Campania 1 – 08 (Napoli – Fuorigrotta)
CAMERA DEI DEPUTATI
Flavio Corradini
Competenza al servizio dell’innovazione
Docente di Fondamenti dell’Informatica e Complex Systems Design presso Università di Camerino, di cui è stato Rettore dal 2011 al 2017. Al momento della sua elezione a guida dell’Ateneo camerte aveva solo 45 anni ed era il più giovane Rettore italiano. Nel corso del suo mandato ha sostenuto la creazione di più di venti spin-off universitari con l’intento di dare una ricaduta aziendale e produttiva ad un’idea nata dalla ricerca tecnologica universitaria. Di questa sfida ha detto: “Renzi mi ha fatto capire di voler fare una cosa interessante, fresca, di rinnovamento: sono un uomo operativo ed ho accettato di mettermi in gioco quando mi ha detto di voler dare
messaggi positivi al Paese, per far crescere il movimento progressista.”
CANDIDATO AL COLLEGIO
Marche – 03 (Macerata)
CAMERA DEI DEPUTATI
Èl’anno di Palermo, capitale della Cultura
“È un’occasione per tutti gli italiani a cui sicuramente non sfugge la realtà di una città che ha sofferto e certa­mente non ha del tutto superato difficoltà sociali, che è stata an­che al centro di lutti, minacce, che è stata in qualche modo costretta a convivere con stereotipi a livel­lo nazionale e internazionale. E’ una città che sta cambiando, che va verso il futuro: questa è un’oc­casione per noi per dire grazie a Palermo da parte di tutti gli ita­liani che sono orgogliosi di que­sta città”.
Con queste parole il presiden­te del Consiglio, Paolo Gentiloni, ha lanciato il capoluogo sicilia­no come Capitale italiana della Cultura 2018. Un anno ricco di iniziative che coinvolgeranno l’area, da Monreale a Castelbuo­no attraversando Palermo e i comuni della costa tra i quali Ba­gheria e Cefalù. Un viaggio tra le ricchezze naturalistiche, stori­che e culturali che fanno di que­sta area metropolitana un fiore all’occhiello del nostro Paese.
“Il 2018 si annuncia come un anno da protagonista per la no­stra città”, ha detto il Sindaco Le­oluca Orlando, “che ha saputo trasformarsi attraverso un per­corso di riappropriazione iden­titaria, a partire da ciò che più profondamente la caratterizza. Il Mediterraneo dei popoli e il Mediterraneo come orizzonte”.
Orlando ha poi continuato: “Palermo è stata per secoli croce­via di diverse culture, luogo d’in­contro e di scontro il cui risultato è un armonico sincretismo tra occidente e medioriente”.
Una menzione d’onore va poi al logo dell’iniziativa. Dise­gnato da Sabrina Ciprì, 22enne allieva dell’Accademia di Belle Arti, è un inno alla città. E’ forma­to da quattro “P”: La P di Palermo in arabo, ebraico, fenicio e greco, a sottolineare la centralità della città non solo come capitale ita­liana della cultura, ma anche del Mediterraneo. Quattro “P” anche come le quattro sante e le quattro lingue sulla stele della Zisa.
Agnese Rapicetta
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Un anno ricco di iniziative da Monreale
a Castelbuono passando per Palermo, Bagheria
e Cefalù.
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Fisco
Recuperati 20 miliardi dall’evasione
Èrecord
02011201220132014201520162017201510512,712,513,114,214,919,0Dati in miliardi di euroI dati dal 2011 al 201720,1
I risultati sono il frutto del nuovo approccio messo in campo dal Pd
Nel 2017 il fisco ha incassato la cifra record di 20,1 miliardi con un aumento del 5,8% ri­spetto all’anno precedente. Ad annunciare il primato è il di­rettore generale dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, che du­rante la presentazione dei risultati dell’anno appena trascorso ha evidenziato un recupero più alto del 53% rispetto al 2013. Un dato che evidenzia come le politiche di contrasto all’e­vasione dei governi a guida Pd abbiano gene­rato risultati tangibili.
Nel dettaglio, dei 20,1 miliardi recuperati nel 2017, 11 derivano da versamenti diretti in seguito a controlli, 1,3 miliardi da lettere per la compliance (con un incremento rispetto all’anno scorso del 160%), 7,4 miliardi da ruoli e 400 milioni di euro dagli accertamenti sulle richieste di adesione alla prima voluntary di­sclosure.
E una minore evasione – è questa l’idea del Pd – si tradurrà inevitabilmente in meno tas­se, sulla base del modello già utilizzato per il canone Rai (paghiamo tutti, paghiamo meno).
Un modello che fa parte dell’impostazione complessiva di politica fiscale attuata finora dal Pd (i cui principali interventi sono stati la cancellazione Imu sulla prima casa, il bonus di 80 euro e la sforbiciata all’Ires), che ha già cominciato a produrre risultati concreti sul fronte della riduzione della pressione: si ve­dano i dati emersi negli ultimi rilevamenti tri­mestrali dell’Istat, che hanno visto scendere il peso del fisco nel terzo trimestre del 2017, raggiungendo il livello minimo dal 2011.
Ma è soprattutto sul piano qualitativo del­le politiche di contrasto all’evasione che è utile soffermarsi. Se i ri­sultati sono arrivati, lo si deve soprattutto al nuovo approc­cio pensato dal Pd, quel principio di base che ha permesso di combattere l’evasione senza trasfor­mare il contra¬sto in una vessazione pura e sempli­ce,creando al contempo un meccanismo di fiducia con il cittadino. In pratica nessun favore a chi evade e fisco amico per chi è in regola. Lo dimostra il dato diffuso oggi sull’aumento del gettito spontaneo gestito dall’Agenzia delle entrate attraverso i servizi forniti ai contribuenti: 412,6 miliardi, cioè 7,6 miliardi in più rispetto al dato 2016.
Ed è proprio su questo nuovo rapporto con i cittadini che si basano i nuovi strumenti di rivoluzione digitale come la fattu¬razione elettronica e la dichiarazione dei redditi pre­compilata, che nel 2017 è stata presentata da ben 2,4 milioni di cittadini. Ed è sempre su questi principi che il governo Renzi ha deciso di chiudere Equitalia (una delle prime propo­ste che uscì dall’edizione 2010 della Leopolda) e di riformare la Riscossione che nel biennio 2015/2016 ha recuperato 17miliardi (record anche in questo caso) di euro cambiando pas­so e introducendo nuovi strumenti e servizi.
Infine, allargando lo sguar­do alle altre offerte politi­che, va sottolineato come da una parte ci sia l’im­postazione di buon senso del Pd, che vede un fisco più semplice e dialogante con il cittadino. Imposta­zione che sta ottenendo risultati concreti. Dall’al­tra troviamo invece le pro­poste inattuabili dei partiti di Centrodestra, come la flat tax, di fatto irrealistiche considerando l’evidente assenza di coperture. E ri­sulta onestamente difficile credere a un even­tuale governo Berlusconi capace di ridurre il peso fiscale, visto che dalla sua discesa in campo del ’94 nessuno dei quattro governi da lui guidati ha onorato tale promessa.
Stefano Minnucci
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Decisivo il rapporto di fiducia che si sta creando con
il cittadino
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Di Maio e il partito del caos
Nel partito-involucro di Di Maio sono entrati tutti: professoroni ed espertoni, giornalisti e professioni­sti, nuotatori e imprenditori, dotti, medici e sapienti.
Massimo rispetto per chi, tra l’altro con una laurea, vuole cimentarsi con la politica, ma almeno non vendetecela come “Società Civile”. Dentro all’involucro di Di Maio non c’è praticamente niente, è chiaro che devi guardare fuori.
Ma il massimo della confusione arriva con l’ipotesi di governissimo, sempre ieri a Lon­dra. E giù a dare la colpa al traduttore, che non è in grado di capire la differenza tra “al­leanza programmatica sui temi” e “grande coalizione”, tra “apertura a tutte le forze po­litiche” e “compromesso di governo”. Anche perché la differenza non c’è, diciamo la veri­tà. Luigi si affretta a smentire, ma la sostan­za rimane, la disponibilità a collaborare con tutte le forze politiche su specifici program­mi. Appunto, una grande coalizione, quello che nei Vaffa-show era il grande inciucione tra PDL e PDmenoL. Tanto schifato e vomi­tato, che i cittadini-onorevoli piombati per la prima volta da Marte in Parlamento non volevano nemmeno dare la mano ai quei puzzoni della partitocrazia. Ora è cambiato tutto.
Questa sì che è una novità, perché ciò che da sempre tiene alto nei sondaggi il M5S è il fatto di non aver mai governato il paese, la rivendicazione di una verginità politica, ancora non scalfita dalle esperienze fatte nei comuni. Aprirsi ad alleanze con i partiti tra­dizionali rischia davvero di essere il cambia­mento più radicale di un Movimento nato e cresciuto come anti-partito. E vedremo come il gruppo degli elettori più ortodossi reagirà.
Ma l’interrogativo comunque rimane. Ce la farà Di Maio con il dream teamdei su­per-competenti a cambiare il paese? Più pas­sano i giorni, più diventa difficile stargli die­tro. Ma magari siamo noi che non abbiamo capito, e traduciamo anche male.
Elisabetta Gualmini
Segue dalla prima
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Debunking
Smontiamo le bugie /4.Abolire la riforma Fornero sarebbe un beneficio per il Paese?
Al centro del programma di alcuni partiti politici in vista delle elezioni del 4 marzo viene sbandierato l’azzeramen­to della riforma previdenziale che porta la firma dell’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero. L’abolizione totale della legge è uno dei cavalli di battaglia della Lega e del Movimento 5 Stelle. Ma nella coalizione di centrodestra non c’è uniformità sulla questione, dato che il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi non ha mai parlato di cancella­zione della riforma ma solo dell’introduzione di alcuni correttivi migliorativi.Sta di fatto, però, che tra i vari punti contenuti nel programma elettorale della coalizione si legge: “Azzeramento della legge Fornero e nuova riforma previdenziale eco­nomicamente e socialmente sostenibile”. Tanto che lo stesso Salvini ha festeggiato con tweet in cui parlava di “missione compiuta”. Quale riforma proporrebbe il centrodestra una volta al governo? Al momento non è dato sapere, ma in base alle dichiarazioni fatte dai due leader appare evidente come i punti di vista materia siano decisamente divergenti e confusi. Si va avanti a slogan: azzeramento della legge Fornero, innalzamento delle pensioni minime a 1000 euro (quasi il doppio di oggi), erogazione di una pensione per le mamme (scaricati in toto sulla fiscalità generale) e delle generazioni future. Promesse realizzabili? Decisamente no, ecco perché.
Come funziona l’Inps. E perché sono state fatte (tante) riformeInnanzi tutto occorre dire che l’Inps è un sistema pensionistico a ripartizione senza copertura patrimoniale, il che significa che le pensioni per la maggior parte (circa il 52%) vengono erogate ricorrendo alla fiscalità generale e non sono coperte da un reale accantonamento dei contributi. Grazie al cosiddetto “patto intergenerazionale”, le pensioni vengono erogate facendo ricorso ai versamenti contributivi delle generazioni successive ed è anche a causa di questo che il debito previdenziale contratto negli anni ‘70 e ‘80 è andato via via riversandosi sulle spalle dei nuovi nati. Per porre rimedio a tutto questo (ed evitare il fallimento dell’Inps) dalla metà degli anni ‘90 in poi i governi hanno introdotto riforme previdenziali sempre più stringenti. La legge Fornero si inserisce in questo filone.
Come nasce e come funziona la riforma Fornero
La legge è stata introdotta alla fine del 2011 in un momento di grave crisi per l’Italia, sull’orlo di un vero e proprio default finanziario. La riforma pensionistica cercò di mettere in sicurezza i conti pubblici e prevede l’applicazione del calcolo contributivo per tutti i lavoratori, anche per quelli che in base alla riforma Dini del 1995 sottostavano a un sistema di calcolo misto retributivo-contributivo. In sostanza, la pensione ora viene calcolata in base ai contributi versati dai lavoratori nel corso della loro carriera professionale e non più in base agli ultimi stipendi percepiti (che generava pensioni più alte e non coperte).
La riforma ha poi innalzato l’età pensionistica di uomini e donne stabilendo una serie di nuovi requisiti: l’aumento di un anno contributivo per le pensioni di anzianità e l’abolizione delle cosiddette quote. La riforma introdusse anche l’allungamento graduale dell’età di pensionamento di vecchiaia delle lavoratrici dipendenti private per allinearle a tutti gli altri e l’adeguamento all’aspettativa di vita a cadenza biennale dopo il 2019.
La riforma Fornero ebbe un grave effetto collaterale: la generazione dei cosiddetti “esodati”, un’intera categoria anagrafica di lavoratori rimasti senza pensione e senza lavoro, a causa di accordi di pre-pensionamento siglati con le proprie aziende che si sono visti di punto in bianco innalzare l’età pensionabile di svariati anni. Nel corso degli anni il governo è intervenuto più volte con le cosiddette salvaguardie, per sanare la situazione garantendo uno “scivolo”.
Quanto costerebbe abolire in totola riforma Fornero
In base ai conti della Ragioneria di Stato, l’abolizione della Legge Fornero verrebbe a costare oltre 23 miliardi nel solo primo anno di applicazione e andrebbe a bruciare quei 350 miliardi di risparmi cumulati fino al prossimo 2060. Il buco di bilancio più significativo si realizzerebbe nel decennio 2020-2030, in cui l’abolizione della legge costerebbe circa un punto di Pil all’anno (17 miliardi di euro) con un massimo di 1,4 punti nel 2020 (23,8 miliardi). Cancellare la riforma Fornero, alzando nuovamente la spesa pensionistica scaricherebbe sulle spalle dei giovani un debito enorme e insostenibile. L’azzeramento della legge comporterebbe l’impossibilità di rientrare nei parametri di bilancio imposti dall’Ue e recepiti nella Costituzione italiana.
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Pagina a cura di Stefano Cagelli
Commissione Banche
Imbrogli e complotti: l’incredibile versione di Forza Italia
Secondo la relazione del centrodestra, nel 2011 l’economia andava a gonfie vele. Poi…
La ricostruzione punta il dito contro un’azione speculativa
guidata da Berlino
La relazione di Forza Italia (FI) a conclusione della Commissio­ne parlamentare sulle banche è stata un’occasione per espor­re compiutamente la fantasiosa teoria del complotto tedesco del 2011. La ricostruzione, basata sulla docu­mentazione messa a disposizione dalla pro­cura di Trani, è del tutto illogica dal punto di vista finanziario e rappresenta l’ennesimo tentativo di scaricare responsabilità politi­che che sono invece, in gran parte, del go­verno allora in carica. Secondo la relazione, nel 2011 l’Italia non aveva un problema gra­vissimo di discredito delle istituzioni, non aveva un serio problema di debito pubblico, non aveva un problema di credibilità verso i mercati causato, da ultimo, dal violento con­flitto fra il Ministro dell’Economia (che an­cora si preoccupava del debito) e un Presi­dente del Consiglio che, dopo la sconfitta alle amministrative del maggio 2011, era tornato a promettere fantasmagorici abbattimenti di tasse. Tutti questi fattori, che contribuiro­no in maniera decisiva a far venir meno la fiducia dei mercati e dei risparmiatori ita­liani e stranieri, finiscono nel dimenticatoio, sicché la storia diventa – citiamo – che “tutti gli indicatori macroeconomici erano ancora positivi. Poi arriva il 2011, l’estate e l’autun­no in cui caschiamo tutti, ancorché non ne fosse responsabile anche lo stesso governo in carica (governo Berlusconi), nel grande imbroglio dello spread… con conseguente colpo di Stato contro un governo legittimo, democraticamente eletto…”. Visto? Andava tutto bene e poi sono piovuti dal cielo, chis­sà perché, il grande imbroglio e il colpo di Stato.
E cosa fu all’origine di questo vero e pro­prio fulmine a ciel sereno? La risposta è secca: all’o­rigine dell’impennata dello spread nell’estate vi fu un’azione specu­lativa di Deutsche Bank AG (DBAG), seguita nei mesi successivi dai giu­dizi negativi sull’Italia espressi dall’agenzia di rating Standard&Poor’s.
Per capire perché la tesi dell’operazione speculativa da parte di DBAG non sta in piedi si con­sideri che per “manipolare il mercato” al fine di speculare al ribasso su un titolo, si devono fare tre cose fondamentali: 1. inizia­re a vendere quel titolo; 2. rendere noto che si sta vendendo, per provocare un abbas­samento del prezzo; 3. infine, ricomprare a prezzo ribassato quello che si era venduto, guadagnandoci. Concettualmente è molto semplice.
Ma con DABG è davvero avvenuto que­sto? Dall’indagine di Trani (ora trasferita a Milano) risulta l’esatto contrario. Vediamo la sequenza degli eventi: 1. nel primo seme­stre del 2011, DBAG riduce la propria espo­sizione al rischio Italia vendendo circa 7 mi­liardi di titoli italiani; 2. nel mese di luglio li ricompra (testualmente) “fino a raggiun­gere (al 29/7/2011) gli stessi livelli di esposi­zione di fine 2010/inizio 2011”: cioè a luglio DBAG torna ad avere la stessa quantità di titoli della fine del 2010 (tenuto conto di al­cuni fattori tecnici legati all’acquisto di Po­stbank, di cui la relazione dà conto); 3. solo il 27 luglio 2011, cioè dopo aver riacquistato i titoli, rende noto al mercato della passata vendita (cosa che non poteva non fare nella relazione semestrale). Qualcosa non torna coi tempi di una “manipolazione del merca­to”. Infatti, nel nostro caso la banca prima ricompra (nel mese di luglio) i titoli venduti in passato, e solo dopo aver­li riacquistati comunica la passata vendita… che sarebbe a questo punto volta deprimere il prezzo dei titoli appena compra­ti!
È incomprensibile che qualcuno possa pensa­re che questa sequenza di eventi configuri una specu­lazione al ribasso. Senza conta­re che le cifre di cui si parla sono troppo piccole per pensare che possano aver influito sull’andamento dei prezzi in un mercato da più di 1.500 miliardi, uno dei più grandi del mondo, in cui ogni giorno passavano di mano titoli per ben 5 miliardi di euro.
Ma c’è di peggio. Secondo la relazione di Trani e la narrativa di Forza Italia, DBAG avrebbe disposto che “le operazioni [di ven­dita nel primo semestre] fossero regolate … in modo da non influenzare il Mercato”. Ca­spita! Vuoi manipolare il mercato al ribas­so e fai di tutto per evitare che il mercato lo venga a sapere? Ma che manipolazione è?
Ancora più sorprendente è che sem­pre questa relazione dice che il riacquisto di titoli effettuato a luglio da DBAG sareb­be «segno inequivoco di una sostanziale e continuativa “fiducia” di una Banca prima­ria e “sistemica” come DBAG nei confronti dell’Italia e della sua affidabilità creditizia». Dunque, la banca aveva fiducia e comprava sulla fiducia, ma viene accusata di aver se­minato sfiducia. Chiaro, no?
Ci sarebbe da ridere, se non sapessimo quante sofferenze ha causato al popolo ita­liano la scelleratezza del governo Berlusconi e la crisi del 2011. Ci chiediamo inoltre cosa ne possano pensare i nuovi amici tedeschi di Berlusconi nel Partito Popolare Europeo.
Giampaolo Galli
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Quella generazione agricola che riparte dall’Italia
C’è una generazione che ha deciso di ripartire dalla propria terra. I dati della Camera di Commercio di Milano, MonzaBrianza e Lodi dicono che nel 2017 in Italia sono nate cir­ca 300 imprese giovanili al giorno. La Col­diretti vede un particolare dinamismo nel proprio settore: “L’Italia con 53.475 impre­se agricole condotte da under 35 è al verti­ce in Europa. Una rivoluzione per lavoro in campagna, dove il 70 per cento delle impre­se giovani opera in attività che vanno dalla trasformazione aziendale dei prodotti alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche alle attività ricreative e sociali”. Entusiasta il commento del ministro per le Politiche Agricola Maurizio Martina, che oggi incon­trerà, a Foggia, 100 ragazzi della nuova ge­nerazione agricola: “E’ il segno più bello del lavoro fatto in questi anni”.

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In redazioneCarla Attianese, Patrizio Bagazzini,Stefano Cagelli, Maddalena Carlino, Roberto Corvesi, Francesco Gerace,Silvia Gernini, Stefano Minnucci,Agnese Rapicetta, Beatrice Rutilonidemocratica@partitodemocratico.itPD BobSocietà editrice:Democratica srl Via Sant’Andrea delle Fratte 16 – 00187 Romawww.democratica.comwww.partitodemocratico.itPer ricevereDemocratica: scrivi su Whatsapp a 348 640 9037oppure vai sul messenger Facebookall’indirizzom.me/partitodemocratico.it DirettoreAndrea RomanoVicedirettoreMario Lavia

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