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31 Gennaio 2018
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31 Gennaio 2018
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Democratica

Della Redazione Di Democratica

n. 115 mercoledì 31 gennaio 2018
“Per costruire un gruppo compatto servono bravi giocatori e persone serie. Poi bisogna saperli condurre”. (Azeglio Vicini, 1933 – 2018)

Contro la povertà, sul serio
L’EDITORIALE

Smettiamo di chiamarli populisti, sono estremisti
Giuliano da Empoli
C’è una parola che chi fa politica impiega tutti i giorni, di questi tempi, mentre andrebbe bandita, almeno nelle settimane che ci separano dalle elezioni. Èl’aggettivo “populista” che abbiamo preso in prestito dalle scienze politiche, per pigrizia e per semplicità, e che utilizziamo per definire movimenti come la Lega e il Movimento 5 Stelle.
Il problema è che il termine “populista” non solo non vuol dire molto (i politologi non si sono mai accordati su una definizione condivisa), ma soprattutto contiene nella sua radice un concetto positivo, in una democrazia: il richiamo al popolo. E perché mai dovrebbe il PD regalare il popolo ai
seguaci di Di Maio e Salvini, specie ensando alla struttura opaca e padronale che continua a contraddistinguere sia il M5S che l’attuale centrodestra?
La verità è che il termine più appropriato per definire grillini e leghisti non è “populisti”, ma “estremisti”. Può sembrare un’esagerazione, fino a quando non si prendono in esame, a mente fredda, il linguaggio, i metodi e le proposte di questi movimenti. Allora ci si accorge che, lungi dal coincidere con un’esagerazione isterica, l’aggettivo “estremista” corrisponde alla pura e semplice descrizione della proposta politica della Lega e del Movimento 5 Stelle.
Perché voler cambiare quella che è la collocazione internazionale dell’Italia da settant’anni, ventilando l’uscita dall’Europa, è una scelta estremista, non solo genericamente populista. Perché invocare la difesa della razza bianca, come il candidato leghista alla presidenza della regione Lombardia, o passare dalle parole ai fatti come il candidato grillino di Frascati, significa essere estremisti, non genericamente populisti.
Reddito d’inclusione Dopo il boom di domande, arrivano i pagamenti della nuova misura
a sostegno delle famiglie introdotta dal Pd
PAGINA 2
SEGUE A PAGINA 4
VERSO IL 4 MARZO
I CANDIDATI
L’affondo di Prodi:
“Leu non vuole l’unità del centrosinistra”
I nomi nuovi del Pd per parlare
al Paese
PAGINE 5-6
MONDO
Il Professore scende in campo e si schiera con il Pd: “Renzi e il gruppo dirigente del partito stanno lavorando per unire, non per dividere”
Quel discorso di Trump è solo un’illusione
PAGINA 4
PAGINA 7
Welfare
Se la famiglia ha:
Il Reddito d’inclusione funziona, arrivano
i primi assegni
1 solo componente,
il REI è pari a
187,5 euro mensili
2componenti
294,4 euro mensili
3componenti
382,5 euro mensili
4componenti
461,3 euro mensili
5 o più componenti
485,4 euro mensili
Dopo il boom di domande (ol­tre 75mila in un mese), ora iniziano ad arrivare alle fami­glie i pagamenti del reddito di inclusione sociale, il nuovo sussidio economico introdot­to con l’approvazione della legge delega contro la povertà partito proprio il primo gennaio di quest’anno. Infatti l’assegno vie­ne erogato a partire dal mese successivo a quello dell’approvazione della domanda.
Come funziona?
Il reddito di inclusione sociale è composto da due parti: un assegno mensile e un proget­to personalizzato di reinserimento sociale e lavorativo.
L’assegno mensile dipende dalla dimen­sione del nucleo familiare e dalla distanza del reddito familiare da una soglia di acces­so. L’assegno sarà erogato per 18 mesi ed è rinnovabile per non più di 12 mesi, ma tra la conclusione e l’inizio del Rei successivo dovranno passare almeno 6 mesi. L’assegno non può essere corrisposto in presenza di al­tri sussidi e indennità, come la Naspi.
Il beneficio economico che in prima bat­tuta riguarderà le famiglie in situazione di bisogno con minori, disabili, donne in gra­vidanza a quattro mesi dal parto e over 55 disoccupati sarà erogato per il tramite della carta acquisti ridenominata Carta ReI che consente anche prelievi di contante entro la metà dell’importo massimo attribuito.
La seconda componente del Rei è il proget­to personalizzato per l’integrazione sociale e lavorativa. Il progetto ha lo scopo di portare la famiglia a superare la situazione di difficol­tà. Il progetto non riguarda solo la situazione lavorativa in senso stretto, ma può anche ri­guardare la ricerca di una casa, la sommini­strazione di cure mediche e l’educazione dei figli.
Del progetto si occuperanno i comuni ma se gli impegni presi non verranno rispettati, sono previste sanzioni: dalla riduzione di un quarto del beneficio mensile fino alla totale decadenza dello stesso.
Gli importi del beneficio economico:
1 persona: 187,50 euro
2 persone: 294,38 euro
3 persone: 382,50 euro
4 persone: 461,25 euro
5 e più persone: 485,40 euro
Chi può ricevere il Rei?
Tutti i cittadini italiani e comunitari ma an­che i cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno e i titolari di protezione inter­nazionale (ad esempio asilo politico). In tutti i casi, dovranno essere residenti in Italia da almeno due anni al momento della presen­tazione della domanda. Dovranno essere poi rispettati dei requisiti familiari ed economici.
L’assegnazione del sussidio dipenderà in­fatti anche dall’indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) e dall’indice della situazione reddituale (cioè il reddito re­almente a disposizione delle famiglie per far fronte alle spese di tutti i giorni). L’utilizzo di questo secondo criterio ha lo scopo di non escludere le famiglie che versano in stato di povertà ma che hanno la prima casa di pro­prietà. Purché non abbiano altri immobili che producano reddito.
In particolare, l’indicatore ISEE deve esse­re pari o inferiore a 6mila euro, e l’ISRE deve essere pari o inferiore a 3mila euro.
Vi sono poi dei vincoli patrimoniali. Il pa­trimonio immobiliare, esclusa la casa di pro­prietà, non deve superare i 20mila euro. E il patrimonio mobiliare (conti correnti bancari o postali; certificati di depositi e credito, buo­ni fruttiferi e assimilati, azioni e obbligazio­ni) non deve superare i 10mila euro. Ma la soglia massima per il patrimonio immobilia­re si riduce a 6mila euro per i nuclei familiari composti da una persona e a 8mila per quelli composti da due persone.
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Destinatari
1,8mln
di persone in difficoltà
550mila famiglie
700mila minori
Chi ne ha diritto
Cittadini italiani e comunitari. Cittadini stranieri con permesso di soggiorno e i titolari di protezione internazionale (es. asilo politico) residenti in Italia da più di due anni
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Dal 1° Gennaio 2018 è partito il reddito di inclusione sociale, il nuovo sussidio economico introdotto con l’approvazione della legge
delega contro la povertà.
L’assegno REI viene erogato a partire dal mese successivo a quello di approvazione della domanda.
Il reddito di inclusione sociale è composto da due parti:
un assegno mensile e un progetto
personalizzato di reinserimento sociale e lavorativo.
L’assegno mensile verrà erogato per 18 mesi ed è rinnovabile per non più di 12 mesi, Si basa su requisiti dati dalla composizione familiare e dalla situazione economica.
La seconda componente del Rei è il
progetto personalizzato per l’integrazione sociale e lavorativa. che ha lo scopo di portare la famiglia a superare la situazione di difficoltà. Il progetto non riguarda solo la situazione lavorativa in senso stretto, ma può anche riguardare la ricerca di una casa, la somministrazione di cure mediche e l’educazione dei figli.
Chi ha la priorità
famiglie con minori
disabili
over 55 disoccupati
donne in gravidanza
Requisiti
ISEE:minore o uguale a 6mila euro
ISR: minore o uguale a 3mila euro
PATRIMONIO IMMOBILIARE: (esclusa prima casa) minore o uguale a 20mila euro
PATRIMONIO MOBILIARE: limite massimo tra i 6mila e i 10mila euro secondo la dimensione del nucleo familiare
Lavoro
La disoccupazione
a dicembre cala
al 10,8%, il livello più basso da agosto 2012
Il tasso di disoccupazione a dicembre scende al 10,8% (-0,1 punti percentuali rispetto a novembre) e rappresenta il livello più basso da agosto 2012. Lo comunica l’Istat, nei dati provvisori, sottolineando come la diminuzione della disoccupazione interessi donne e uomini e si distribuisca tra tutte le classi di età. Diminuendo però anche il numero degli occupati, il calo della disoccupazione è legato soprattutto all’aumentano degli inattivi, coloro che non sono in cerca di occupazione. Nonostante questo aspetto, nel trimestre ottobre-dicembre si registra comunque un incremento degli occupati rispetto al trimestre precedente (+0,1%, +16 mila). Mentre su base annua si conferma il buon aumento degli occupati (+0,8%) che ha riguardato nella stessa percentuale donne e uomini.
Buone notizie riguardano il tasso di disoccupazione giovanile, che scende al 32,2% (-0,2 punti). In particolare, l’aumento dell’occupazione in questa fascia di età riguarda soprattutto il settore dell’agricoltura, come emerso da un’analisi della Coldiretti. Con 53.475 imprese agricole condotte da under 35 l’Italia è al vertice in Europa nel numero di giovani in agricoltura, con un aumento del 9% nel terzo trimestre 2017.
Raggi e l’addio alle quote rosa in Campidoglio
Con la votazione di oggi sparisce la parità di genere. Ancora un passo indietro per una Roma che soffre
Sui temi della parità di genere e dei di­ritti delle donne la destra “governa­tiva” si è contraddistinta negli anni manifestando con determinazione una certa ostilità ad ogni forma di progres­so culturale e sociale, rimanendo ancorata al dogma nostalgico e retrivo: “Dio, Patria e Famiglia”.
Nel 2003, si legge nello stenografato di una seduta del Senato, alcuni parlamentari di destra hanno tuonato contro le colleghe de­putate che manifestavano contro il progetto di legge sulla fecondazione assistita dando sfogo ad atti di sgarbo umano prima che po­litico: “Tr***”, “Tornatevene alla Camera, in camera da letto vi portiamo, altro che alla Camera dei Deputati”, “Buttatele fuori”, “Voi siete contrarie alla legge perché volete con­tinuare a essere scop***”, sono alcuni degli epiteti proferiti in quel triste momento per le istituzioni repubblicane.
L’anno successivo, l’allora ministra del­le pari opportunità Stefania Prestigiacomo scoppiò in lacrime con Berlusconi che le die­de della “bambina” per il suo insistere sulle quote rosa in Consiglio dei Ministri.
15 anni dopo il solito leitmotiv. La stessa destra si è appuntata 5 stelle addosso, ma la galanteria istituzionale non è per nulla cam­biata.
Basta ricordare il grillino Massimo De Rosa che in commissione giustizia della Ca­mera accusava le colleghe del PD di essere lì perché “brave a fare pom****”? Lo scorso novembre si è candidato alle “regionarie” per sfidare Gori in Lombardia, perdendo.
Mentre la Raggi, ancora impegnata a tesse­re le lodi di Spelacchio, ha definito la lotta alla parità di genere, una lotta anacronistica per “vecchi politicanti lontani dalle persone rea­li”, superando nei fatti il non rimpianto sin­daco (ora neo-Salviniano) Gianni Alemanno, che nel 2011 si vide azzerare dai giudici am­ministrativi la giunta comunale per il man­cato rispetto del principio di parità di genere nelle istituzioni pubbliche, su ricorso allora anche della nostra avvocata Monica Cirinnà,
“La presenza in giunta comunale di uomi­ni e donne deve essere effettivamente equi­librata. Pertanto, il Sindaco deve dare conto, per motivi obiettivi, di essere stato impossibi­litato a garantire l’effettiva parità dei generi ossia la presenza di un numero di donne ten­denzialmente pari a quello degli uomini nel­la Giunta, pena la violazione di una garanzia costituzionale, garantita anche a livello inter­nazionale” affermavano allora i giudici am­ministrativi.
Principio, evidentemente, non gradito ai grillini, visto che nel maggio scorso 17 consi­glieri del M5S hanno proposto una modifica dello Statuto di Roma Capitale che tocca le norme sulla parità di genere.
Nello specifico la proposta prevede che siano modificati il comma 3 dell’articolo 25, quello che disciplina la composizione della giunta capitolina e il comma 21 dell’articolo 27, relativo alle giunte dei municipi. Si propo­ne, inoltre, di trasformare la “Commissione per le elette” con una generica “commissione pari opportunità”.
Con la votazione di oggi in Campidoglio, non vi sarà più l’obbligo della presenza 50/50 di entrambi i sessi. Un passo indietro per una Roma che soffre.
Alessia Bausone
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Il partito
L’affondo di Prodi: “Leu non
è per l’unità della sinistra”
Sono estremisti, non chiamiamoli
populisti
Perché rimettere in discus­sione le istituzioni della de­mocrazia rappresentativa, per come sono regolate dalla nostra Costituzione, nel nome di una presunta democrazia del clic ancora tutta da dimostrare, significa iscri­versi in una logica estremista, e non solo populista.
Perché mettere a repentaglio la salute dei bambini, inseguendo stregoni e complottisti sui vaccini, vuol dire scivolare nell’estremismo, e non in un generico, inoffensivo populismo. Allora smettiamola di chiamarli populisti, come se stessi­mo conducendo un seminario del Mulino, anziché una campagna elet­torale decisiva. E chiamiamo la Lega e il M5S con il loro nome: movimen­ti estremisti che, con la complicità di un redivivo Berlusconi, puntano il 4 marzo a conquistare per la prima volta la guida dell’Italia.
Romano Prodi, padre nobile del centrosinistra, dopo la presen­tazione delle liste scende in campo e si schiera con il Pd di Renzi. Il professore si schiera netta­mente con il Pd e accusa Leu: “Liberi e Uguali non è per l’unità del Centrosinistra. Punto” dice intercettato da Affari italiani. E in­vece Renzi sì? “Renzi, il gruppo che gli sta attor­no, il Pd e chi ha fatto gli accordi con il Pd sono per l’unità del Centrosini­stra”, risponde il Professo­re.
Parole chiare che non la­sciano spazio a interpretazioni, ribadite oggi in un’intervista su Re­pubblica: “È ovvio che guardo alla coali­zione. Io sono da sempre quello della logica di coalizione – spiega Prodi – e quindi, dico che Liberi e Uguali in questo momento non è per l’unità del centrosinistra. Mentre Renzi e il gruppo che gli sta attorno, il Pd e chi ha fat­to gli accordi con il Pd, lo sono”. Nell’intervi­sta l’ex premier dichiara che andrà a votare, e indirettamente dichiara il suo appoggio al centrosinistra. Un appoggio che vale molto. L’augurio che fa è che le liste presentate “si­ano competitive” e sulle polemiche nella composizione glissa: “Sapete che ho sempre lavorato per l’unità del centrosinistra”.
E a Leu dice: “Se fossero rimasti nel partito oggi il Pd sarebbe diverso”. “Chi sta fuori da questa logi­ca, non è per l’unità: non c’è dubbio su questo”.
“Accogliamo con pia­cere le parole di Romano Prodi che riconoscono la validità del lavoro fatto in direzione di un’azione unitaria delle forze di centro­sinistra – commenta il coordi­natore della Segreteria Pd Lorenzo Guerini – Per noi l’avversario è alla nostra destra e l’obiettivo è dare seguito ai risultati raggiunti dai governi del Pd”.
Giuliano da Empoli
Segue dalla prima
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“Renzi e il gruppo dirigente del Pd stanno lavorando per unire,
non per dividere”
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I nostri candidati
Lucia Annibali
Simbolo della lotta
contro la violenza sulle donne
Nasce a Urbino, nelle Marche, il 18 settembre del 1977. La sua storia è tristemente nota per essere stata vittima di una terribile aggressione, ordita dal suo ex fidanzato Luca Varani e da due complici: è il 6 aprile del 2013 quando sta rientrando nella sua casa di Pesaro, intorno alle nove e trenta di sera. Viene sfregiata con l’acido. Negli anni successivi diventa portavoce della battaglia contro ogni forma di possesso e di sopraffazione dell’uomo sulla donna. L’8 marzo del 2014 viene nominata da Giorgio Napolitano Cavaliere al merito della Repubblica.
CANDIDATA AL COLLEGIO
Emilia-Romagna 12
(Parma)
CAMERA DEI DEPUTATI
Paolo Siani
Pediatra impegnato nella lotta
alla povertà educativa
Pediatra napoletano, fratello di Giancarlo, giornalista ucciso dalla camorra nel settembre del 1985, ha accettato l’invito di Matteo Renzi a candidarsi nelle liste del Pd per le prossime elezioni. “Ho chiesto di potermi occupare di quello che so fare, sanità e infanzia. Ho accettato, chiedendo di poter scendere in campo non solo in un collegio proporzionale plurinominale ma anche in uno uninominale nella mia città. Dopo un anno, se sarò eletto, farò il primo resoconto. Se la mia presenza nel palazzo della politica non sarà costruttiva e utile per la mia comunità, tornerò a fare
il dottore in ospedale”.
CANDIDATA AL COLLEGIO
Campania 1/05
(Napoli, San Carlo all’Arena)
CAMERA DEI DEPUTATI
I nostri candidati
Lisa Noja
In prima linea per la tutela dei diritti delle persone con mobilità ridotta
Classe 1974, l’avvocatessa milanese è da sempre impegnata nella tutela dei diritti sociali, in particolare di quelli delle persone con mobilità ridotta. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala, nell’ottica di rendere la città sempre più accogliente, internazionale e a misura di tutti, le ha affidato, una volta insediatosi a Palazzo Marino, la delega alle politiche per l’accessibilità. Un tema delicato che si riflette in tutti i campi della vita quotidiana, dalla mobilità ai servizi, dal diritto al gioco di bambini con disabilità alle necessità di persone più anziane e di tutte le famiglie con figli piccoli.
CAPOLISTA NEL COLLEGIO
Lombardia 1/04 (Abbiategrasso-Legnano)
CAMERA DEI DEPUTATI
Riccardo Illy
Imprenditore e politico di successo,
un simbolo della sua fantastica terra
Nasce a Trieste il 24 settembre del 1955. Imprenditore di grande successo e rinomata fama, ha legato il suo nome e quello della propria famiglia all’omonima marca di caffè, la quale da quasi un secolo è tra le aziende leader del settore a livello mondiale. Riccardo Illy ha già una grande esperienza politica alle spalle. Deputato parlamentare, che dopo aver ricoperto per due cariche consecutive il ruolo di sindaco della città di Trieste, nel 2003 è stato eletto Presidente della regione Friuli-Venezia Giulia, a capo di una coalizione di centro-sinistra. Ha accettato di rimettersi in gioco, con il Pd, nella sua città natale.
CANDIDATO AL COLLEGIO
Friuli Venezia Giulia 01 (Trieste)
SENATO DELLA REPUBBLICA
Mondo
Trump delude ancora
Il capo della Casa Bianca in cerca di unità. Ma il suo discorso è solo un’illusione
In uno dei discorsi sullo stato dell’U­nione più lunghi di sempre, lo scopo principale di Trump – il presidente con una delle più basse percentuali di popolarità nella storia americana dopo solo il primo anno – era quello di rilanciare la propria immagine e quella della propria amministrazione.
Forse una delle cose più notevoli dell’inte­ro discorso, però, è stato il numero delle cose non dette piuttosto che le proposte delinea­te. In effetti, per la maggior parte del tempo, Trump ha soltanto sottolineato cose già note e che fanno parte del repertorio giornaliero del Presidente; leggendo senza mai discostar­si dal teleprompter e dimenticando comple­tamente di menzionare alcune delle vicen­de più discusse di questa amministrazione, come per esempio il caso del procuratore speciale, Robert Mueller e il “Russiagate”.
Se durante la propria campagna elettorale Trump criticava il ritmo di crescita degli USA, oggi ne esalta le condizioni pur se nei fatti le differenze siano difficilmente riscontrabili.
Èvero, per esempio, che siano cresciuti i posti di lavoro nel manifatturiero, tuttavia si tratta di una crescita minore rispetto a quan­to Trump aveva trovato alla fine del mandato di Obama, 169000 al mese circa con Trump, contro i 185000 in media al mese dei prece­denti sette anni (Figura 1).
Non c’è poi, alcun incremento di posti di lavoro nell’industria automobilistica come affermato dall’attuale Presidente nel suo di­scorso rispetto all’amministrazione prece­dente. Èvero, certamente, che gli stipendi stanno aumentando ma anche questo sta ac­cadendo ad un ritmo minore di quanto stesse avvenendo durante l’ultimo term di Obama (Figura 2).
Èinteressante anche il continuo insistere sulla crescita dei mercati finanziari, seppur vera non è altro che una continuazione del trend ereditato dall’amministrazione di Oba­ma e che ha davvero poco a che fare con le misure ancora da attuare dalla presidenza attuale. Non solo, ma a beneficiare della cre­scita dei mercati è una percentuale minima della popolazione e comunque, la maggio­ranza della popolazione non ne sarà toccata.
Trump poi accenna alla volontà di abbas­sare il costo dei farmaci. Questo è stato argo­mento di campagna elettorale. E tale fino ad oggi è rimasto. Gli americani continuano a pagare le medicine di più di qualunque altro Paese al mondo e nulla è stato fatto perché questo potesse cambiare.
Altro tema caro a quest’amministrazio­ne è quello delle migrazioni: Trump collega l’immigrazione alla criminalità. Eppure stu­di condotti su 200 città metropolitane, e che prendono in considerazione le sequenze sto­riche di vent’anni, lo smentiscono in modo clamoroso. Insomma, da questo punto di vista nulla di nuovo nelle parole di Trump, se non una retorica che, alla meglio, esagera e travisa la realtà, quando non è completa­mente falsa.
Il recente taglio delle tasse, a beneficio del­la middle-class, secondo l’amministrazione, è un esempio chiarissimo. Secondo il Tax Poli­cy Center, oltre il 65% dei risparmi andranno al 20% della popolazione con guadagni più alti; al famoso 1% toccherà il 20% del totale. Nel 2027, quando i tagli finiranno, l’83% dei benefici sarà appannaggio di quel 1%, men­tre per il 60%, partendo dagli stipendi più bassi, avrà visto un aumento delle tasse.
Forse, il rapporto del Tax Policy Center dovremmo farlo leggere anche a Di Maio che sembra voglia seguire i passi del pre­sidente americano sulle tasse.
Trump prova, poi, a richiamare all’uni­tà del Paese. Tende la mano ai democratici quando, dopo aver cancellato il programma di protezione per i ragazzi portati negli USA senza uno status legale, indica la volontà di creare una via per ottenere la cittadinanza per oltre 1,5 milioni di ragazzi. Tuttavia, ri­chiama ad una maggiore restrizione delle misure di sicurezza al confine con il Messico, all’azzeramento della lotteria per ottenere la carta verde e, soprattutto, di volere un’im­migrazione secondo una base di merito e di qualità. Rispetto a questo, mi piace ricordare che in California, che rappresenta per PIL il sesto Stato al mondo, gli immigrati rappre­sentano, fra prima e seconda generazione, circa il 50% dell’intera popolazione dello Sta­to ed è dimostrato da diverse ricerche quanto importante sia questa diversità nel produrre una economia dinamica.
In ogni caso, al momento, non c’è alcun accordo fra i due partiti sulle riforme che ri­guardano l’immigrazione.
Ancora Trump richiama all’unità, quan­do propone un non ben definito piano sulle infrastrutture, di cui c’è certamente bisogno, ma su cuiè difficile credere ci possa essere un accordo bipartisan, per quanto visto fino ad oggi.
La risposta democratica con Joe Kenne­dy, pur di passione e molto ideologica, non credo abbia spostato molto. Di certo, l’aver evitato di nominare il Presidente, non l’aver concesso neanche il beneficio del dubbio alle sue proposte é un segnale chiaro che siamo vicini alle elezioni di mid-term e che i de­mocratici hanno tutta l’intenzione di andare frontalmente contro l’amministrazione cor­rente, forti della bassissima popolarità del presidente e della vittoria recente in alcuni Stati chiave.
Del resto, ci vuol poco a capire quanto re­ale sia la volontà del presidente nel creare un clima diverso: basta solo aspettare il suo prossimo tweet.
Sergio Gaudio
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In redazioneCarla Attianese, Patrizio Bagazzini,Stefano Cagelli, Maddalena Carlino, Roberto Corvesi, Francesco Gerace,Silvia Gernini, Stefano Minnucci,Agnese Rapicetta, Beatrice Rutilonidemocratica@partitodemocratico.itPD BobSocietà editrice:Democratica srl Via Sant’Andrea delle Fratte 16 – 00187 Romawww.democratica.comwww.partitodemocratico.itPer ricevereDemocratica: scrivi su Whatsapp a 348 640 9037oppure vai sul messenger Facebookall’indirizzom.me/partitodemocratico.it DirettoreAndrea RomanoVicedirettoreMario Lavia

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