I MORTI? NON SONO TUTTI UGUALI!!!
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Democratica

Della Redazione Di Democratica

n. 112 venerdì 26 gennaio 2018
“Il 1968 è stato probabilmente l’anno più importante, folle e confuso della mia vita” (Paul Auster)

Il dovere
della memoria
L’EDITORIALE /1

Il ricordo del male
contro i germi dell’odio
Walter Verini
La settimana che precede il 27 gennaio, giornata della memoria di questo 2018 ottantesimo anniversario della vergogna delle leggi razziali, ha avuto e ha come straordinaria cornice avvenimenti diversi, ma accomunati da un significato di grande valore civile e culturale, politico e morale.
Il primo è stata la decisione del Presidente Sergio Mattarella di nominare senatrice a vita Liliana Segre, sopravvissuta dal campo di sterminio di Auschwitz, dove vennero uccisi il padre e i nonni paterni. Una scelta emozionante, che ha unito il Paese.

SEGUE A PAGINA 2
L’EDITORIALE /2
La verità, vi prego,
sul lavoro precario
Teresa Bellanova
Un po’ troppo disinvoltamente si continua a parlare di precarietà nel mercato del lavoro come se in questi anni non fosse accaduto nulla. Gli slogan a fini elettorali vanno bene se non distorcono la realtà, altrimenti sono solo una miope retorica politica. Dannosa perché produce confusione e cattiva informazione.
Partiamo allora da ciò che è universalmente condiviso e indiscutibile: un forte aumento degli occupati dal 2014 ad oggi, anche trainato dagli sgravi per le assunzioni introdotti a partire dal 2015.
Domani la giornata mondiale
in ricordo della Shoah
Sempre più attuale il contrasto
a xenofobia e antisemitismo
PAGINE 2-3
IL DISASTRO FERROVIARIO
“La mia Pioltello nell’ora del dolore e della solidarietà”
SEGUE A PAGINA 5
PRODUZIONE INDUSTRIALE
Sale il fatturato,
è record investimenti
La paura, i soccorsi, una comunità
stretta di fronte a una tragedia. Avviata un’indagine sull’incidente che, alle porte di Milano, è costato 3 morti e circa 100 feriti.
Il racconto della drammatica giornata di ieri.
SIMONA MALPEZZI A PAGINA 4
MARCO FORTISA PAGINA 4
Giornata della Memoria
Contro la xenofobia,
l’antidoto del ricordo
Un gesto che parla alla coscien­za collettiva e allo spirito del tempo meglio di ogni discor­so. Che invita non solo a non dimenticare, a custodire la memoria dell’Olocausto e degli orrori del secolo scorso, ma che indi­ca soprattutto alle generazioni più giovani quanto per il futuro siamo preziosi i valori della democrazia, della libertà. Della pace. E l’impegno contro ogni forma di sopraffa­zione, discriminazione, odio razziale, odio verso il diverso.
Il secondo fatto è stata la decisione di Sky (produttore), di Rai, Mediaset e La 7 di mandare in onda a reti unificate – domani sera – il bellissimo film-intervista di Walter Veltroni a Sami Modiano, anch’egli te­stimone di quell’abisso di orrori rappresentato dai campi e da Auschwi­tz-Birkenau.
Si tratta certo di un omaggio ad una persona i cui occhi hanno visto e dicono tutto, una persona che dopo aver visto familiari e amici uccisi in quell’inferno, dopo aver sofferto pene indicibili, ha trovato dopo anni la forza di parlare e di tornare. Il coraggio per raccontare ai ragaz­zi cosa fu quell’orrore, perché non torni più. Lo stesso coraggio di Liliana Segre, e di Pri­mo Levi che con Piero Terracina era amico di Sami. O di Shlomo Venezia e Nedo Fiano, di Andra e Tatiana Bucci, rinchiuse bambi­ne a Birkenau e scampate dai folli e crudeli esperimenti eugenetici di Mengele.
Lo stesso coraggio di tanti sopravvissu­ti, testimoni della Shoa, che hanno trovato dentro se stessi una forza incredibile, per superare quel dolore profondo, per supe­rare perfino “sensi di colpa” per essere so­pravvissuti ai propri genitori, ai propri fra­telli e sorelle, parenti e amici che caricati nei vagoni piombati partirono dal Binario 21 di Milano o dalla Stazione Tiburtina. Senza più tornare.
É per questo che Liliana Segre e Sami Mo­diano e gli altri hanno deciso di parlare.
Per non dimenticare. Per raccontare. Per far capire che quelle cose hanno avuto ger­mi nell’odio. Germi che ancora oggi posso­no attecchire. Sono i germi della xenofobia, dell’omofobia. Germi dell’antisemitismo, della violenza e dell’odio verso il diverso o semplicemente verso chi non la pen­sa come te. Sono cose non di ot­tanta anni fa. Accadono ogni giorno, in giro per l’Europa. Dilagano sulla rete con violenza esponenziale. Si chiamano neofascismi e neonazismi. I sessanta­nove ragazzini venne­ro massacrati dal neo­nazista Breivik a Utoya appena sette anni fa. Le sinagoghe incendiate sono notizie di questo tempo dif­ficile, dove insicurezze e pau­re, assieme a fasce di marginalità sociale, possono essere facile terreno di coltura per queste pulsioni, dentro le qua­li c’è qualcuno cui capita anche di evocare persino la difesa della “razza bianca”!
In questo senso è in questo quadro si comprende anche perché le parole pronun­ciate da Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, siano state apprezzate perché rigorose e limpide, coe­renti con una Chiesa che vuole affrontare con sguardo aperto le sfide della contempo­raneità.
Ecco perché, allora, la scelta di Sergio Mattarella e quella delle quattro diverse reti televisive italiane di trasmettere sabato 27 a reti unificate “Tutto davanti a questi oc­chi”rappresentano davvero fatti di grande rilievo. Fatti che accanto ai valori fondanti della nostra convivenza civile, rimandano anche alla necessità di rafforzare una nuo­va idea d’Europa. Quella che trasse radici nel confino di Spinelli a Ventotene, che ini­ziò faticosamente a costruire una sua nuova identità dalle macerie della seconda guerra mondiale. Una Europa i cui cittadini negli ultimi settanta anni non hanno conosciuto guerre. E che può e deve tornare sempre di più ad essere sentita come una straordinaria opportunità di democrazia, civiltà, lavoro e crescita, pace e convivenza, contro forme miopi, egoiste e pericolose di sovranismi, populismi, muri e barricate.
Quella degli Stati Uniti d’Europa, come grande obiettivo di futuro. Alla portata.
La giornata della Memoria dovrebbe du­rare trecentosessantacinque giorni. Quella di quest’anno ha davvero un significato par­ticolare.
Walter Verini
Segue dalla prima
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I germi
del razzismo e dell’antisemitismo dilagano sulla Rete con violenza esponenziale
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Giornata della Memoria
Il film di Walter Veltroni
In occasione della Giornata della Memoria, domani in contemporanea su Sky, Iris, Rai 3 e La7, sarà trasmesso Tutto davanti a questi occhi, il film realizzato e diretto da Walter Veltroni, in onda domani sera su Sky TG24 HD, Sky Cinema Hits HD, Rai3, Iris e La7.
Prodotto da Sky in collaborazione con Palomar, il film racconta l’orrore della persecuzione razziale e dello sterminio degli ebrei, esclusivamente attraverso la testimonianza sconvolgente di Sami Modiano, uno dei pochi sopravvissuti al campo di sterminio di Birkenau. Nel film, aperto da una veduta aerea del lager accompagnata da ‘Auschwitz’ di Francesco Guccini, suonata al piano da Danilo Rea, Veltroni, attraverso poche domande si affida alla potenza delle parole di Modiano.
“Da Stazzema rinnoviamo i valori dell’antifascismo”
Sant’Anna di Stazzema è un nome legato, nella memoria collettiva, a uno degli epi­sodi più tragici della seconda guerra mon­diale. È in questa piccola frazione di un Co­mune versiliano che nell’agosto del 1944 una divisione delle SS, con la complicità dei soldati italiani della 36ma divisione Mussolini, si resero colpevoli di una delle stragi più efferate tra le tante compiute dai tedeschi, con l’uccisione a sangue freddo di 560 civili, di cui 130 bambini, l’eccidio più sanguinoso dopo quello di Marzabotto.
A 74 anni di distanza da quegli eventi, su iniziati­va del sindaco Maurizio Verona è nata a Stazzema la prima “anagrafe antifascista”, una iniziativa di cui parliamo con il primo cittadino che l’ha ideata.
Sindaco, perché un’anagrafe antifascista a tanti anni di distanza da quella strage?
Lo scorso 27 dicembre ho avuto l’idea di lanciare questa iniziativa pensando soprattutto al 1 gennaio 2018, data del settantesimo anniversario dell’entrata in vigore della Costituzione, e allo Statuto del Parco della Pace, che ospitiamo nel mio Comune, che come la Carta si richiama ai valori della libertà e dell’an­tifascismo. È un’iniziativa nata anche a seguito dei preoccupanti episodi che si sono susseguiti , come il saluto fascista sul campo di Marzabotto o lo stendar­do di Hitler esposto durante una partita di Hockey a Forte dei Marmi. Spesso si sente dire che il fascismo ha avuto anche aspetti positivi, ma chi afferma que­sto non conosce la storia. Il fascismo ha portato alla soppressione delle libertà , a stragi come quella di Sant’Anna, alle leggi razziali e alle deportazioni.
In cosa consiste, nella pratica?
Sul sito del Comune di Stazzema ci si può iscrivere al Comune virtuale antifascista, dunque chi aderisce diventa titolare di una vera e propria ‘cittadinanza antifascista’, che comporta anche una assunzione di responsabilità verso quei valori. Mi auguro che di­venti uno dei Comuni più grandi d’Italia.
Si è fatto tanto per ricordare dal 1945 ad oggi. C’è ancora bisogno di rinnovare la memoria con iniziative come la sua?
Se ancora oggi si verificano episodi come quelli di cui abbiamo parlato vuol dire che lo sforzo per ricor­dare non è bastato, e ce n’è ancora un grandissimo bisogno soprattutto tra i giovani. A Sant’Anna incon­triamo 30mila ragazzi all’anno, ma quando parlano con i superstiti della strage viene fuori che non sanno nulla di questi episodi, dunque serve un impegno che deve partire innanzitutto dalla scuola insieme a un richiamo alla politica a farsi carico della memoria.
A proposito di politica e memoria, in questi giorni di campagna elettorale c’è chi ha mollato un po’ il freno, pare.
Nel clima infuocato di questi giorni c’è chi parla alla pancia, cercando di discriminare per un pugno di voti. Quando si sentono frasi come ‘prima gli italiani e poi gli altri’ è lì che bisogna cominciare a preoccu­parsi.
Che risposta ha avuto finora la sua iniziativa?
In meno di un mese siamo già a 10mila iscritti. Stan­no aderendo personalità importanti, non solo della politica, come il ministro Luca Lotti e altri, ma anche dello sport e dello spettacolo. L’ultima è stata quella di Marcello Lippi, che come era già successo con Le­onardo Pieraccioni non solo si è iscritto ma ha tele­fonato. Anche secondo lui c’è bisogno di riaffermare con forza questi valori in un momento di crisi.
Un Comune vive anche di iniziative. Cosa avete in programma?
Stiamo lavorando a una iniziativa per la prossima primavera per la quale cercheremo di coinvolgere i personaggi famosi che hanno aderito per innescare un percorso virtuoso e parlare soprattutto con le gio­vani generazioni. E presto sbarcheremo anche sui so­cial network.
Salvini contro
Mattarella:
“Il fascismo fece cose buone”
A 24 ore dal discorso di Sergio Mattarella nel quale il Presidente ha osservato una volta per tutte che “il fascismo non ebbe meriti”, ecco Matteo Salvini affermare l’esatto contrario con i soliti luoghi comuni. “Che durante il periodo del fascismo siano state fatte tante cose, è stato per esempio introdotto il sistema delle pensioni o le paludi bonificate, è un’evidenza. Poi le leggi razziali e altre follie sono altre cose”, ha affermato il segretario della Lega a “Circo Massimo” su Radio Capital. Sembra proprio che il capo leghista non abbia compreso l’essenza del discorso del Capo dello Stato, teso a porre una parola definitiva contro ricorrenti discorsi revisionisti e relativisti.
Carla Attianese
Intervista a Maurizio Verona
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Cronaca e Politica
La mia Pioltello, unita e solidale
I vagoni che conosco bene, ora accartocciati, ripiegati, squartati uno dentro l’altro
Pioltello è casa mia. Uno lo dà quasi per scontato, in fondo non ci pensa, poi sente tutto ad un tratto cosa vuol dire “casa mia”. Come ieri a Roma quando scesa dall’aereo, io che prendo sempre il treno, e acceso il cellulare ho visto le noti­zie dell’incidente appena avvenuto. E sono tornata subito a casa. A Pioltello. A casa mia appunto. Perché la senti immediatamente la tua comunità coinvolta e toccata, pronta ad aiutare e a intervenire e se te ne senti par­te sai dove deve essere il tuo posto. Quando sono arrivata il clima era proprio questo. Le immagini, lo dico subito, non danno l’idea di cosa sia realmente successo: quei convogli davanti ai miei occhi sembravano plastili­na malleabile e non lamiere, tanto l’impatto aveva fatto cambiare loro la forma. Vagoni accartocciati, ripiegati, squartati uno dentro l’altro, vagoni che conosco bene: Trenord su cui viaggio almeno due volte a settimana da cinque anni a questa parte, tutte le volte che ne prendo uno la mattina presto per andare alla stazione centrale o la sera per tornare a casa dalle mie figlie e da mio marito. Stessa linea, non stessa tratta, ma poco importa: i pendolari sono tutti pendolari, con la borsa spesso sulle ginocchia se riescono a sedersi e il tentativo di guadagnare qualche minu­to di sonno, o qualche centimetro di spazio se sono in piedi, assorti nei loro pensieri nell’attesa della fermata successiva. Era un treno di pendolari quello deragliato a 300 metri da casa mia, erano pendolari le tre donne che ieri sera a casa non sono più tor­nate. È un incidente che riguarda lavoratori e studenti e Il fatto che sia capitato in luoghi familiari che conosco così bene, mi stordisce ancora di più perché restituisce un doloro­so e primitivo senso di appartenenza che a tratti toglie il fiato.
Perché poi conosci tutti e incroci il tuo sguardo con quello dei soccorritori che chia­mi per nome, Claudio, Rocco, Antonella, e in quelli che non conosci ti riconosci comun­que. Straordinario, lasciatemelo dire, è stato proprio il lavoro dei soccorsi di ieri. Forze dell’ordine, vigili del fuoco, medici e para­medici, protezione civile, sindaci, ammini­stratori e semplicissimi cittadini volontari: tanti volti per un’unica azione coordinata alla perfezione e nell’ordine se è vero, come posso testimoniare, che alle 11,30 non c’era­no già più persone neppure nelle palestre allestite al volo per dare il primo soccorso ai non feriti mentre gli altri venivano distri­buiti in tutti gli ospedali della zona con pro­tocolli precisi che hanno liberato le strade per dare le priorità. Prendersi cura: che si trattasse di un supporto psicologico, fornito da un valido team abituato alle emergenze, o di una bevanda calda servita da don Mar­co Taglioretti che a Pioltello, Limito per la precisione, è arrivato da pochissimo, e che si è adoperato immediatamente tra litri di tè e caffè e soprattutto di conforto. E in mez­zo al dolore e all’incredulità, allo spavento e anche alla rabbia, quello che poi prevale è fortunatamente un Paese che dimostra di essere migliore di chi si candida a guidarlo utilizzando le tragedie come spot elettorale per raccattare qualche voto in più, come ha fatto qualcuno ieri mattina, a ridosso della notizia, mentre c’erano ancora persone pri­gioniere tra le lamiere. C’è un Paese che sa essere solidale e organizzato e che dimostra nei momenti più difficili cosa significhi la parola comunità. Oltre i campanili e i con­fini di territorialità. A Pioltello ieri eravamo semplicemente tutti insieme.
L’inchiesta farà il suo corso e le respon­sabilità verranno accertate. Per noi adesso è l’ora del rispetto, dell’umanità, del ringra­ziamento e della riconoscenza.
Simona Malpezzi
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La Regione Lazio per la destra è merce di scambio
Alla fine la quadra è stata trovata sul nome più improbabile in assoluto, quello di Stefano Parisi. Ex diretto­re generale di Confindustria, city manager con Gabriele Albertini, impren­ditore dalle fortune alterne, candidato alla poltrona di sindaco di Milano nel 2016 e vel­leitario federatore di un centrodestra mo­derno ed europeo, ora si ritrova in corsa per diventare presidente della Regione Lazio.
Si parlava di Maurizio Gasparri, poi di Fa­bio Rampelli, poi, ancora, di una convergen­za sul sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi. E invece, all’ultimo, ecco spuntare il “candi­dato per tutte le stagioni”, quel Parisi che, in cambio dell’appoggio della coalizione (e della promessa di un posto in un eventuale governo di centrodestra), si è impegnato a far sparire dalla circolazione il movimento “Energie per l’Italia” che non si presenterà alle elezioni politiche.
Nel frattempo, Roberta Lombardi, candi­data del Movimento 5 Stelle stenta a decolla­re nei sondaggi. Ecco quindi l’ultima pensa­ta, almeno stando alle ultime indiscrezioni: imbarcare Sergio Pirozzi, uomo dalla solida formazione di destra, offrendogli un asses­sorato.
È la politica, signori. Con la p minuscola, però.
Stefano Cagelli
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Economia
Industria, investimenti
al massimo storico
Marco Fortis
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È stata un’altra settimana molto positiva per i dati eco­nomici italiani. Mentre la campagna elettorale è sem­pre più dominata dalle promesse più sfacciate, da tagli irrealistici di tasse e del debito pubblico fino alle più diverse varianti del reddito di cittadinanza, i fatti nudi e crudi dimostrano che la politica del passo dopo pas­so ha concretamente rimesso in moto l’economia del nostro Paese. Certo, restano molti problemi aperti, come la disoccupazione giova­nile ancora troppo elevata e i divari che persistono tra Nord e Sud, ma è solo proseguendo sulla strada intrapresa in questi anni delle riforme e del bilanciamento tra crescita e rigore fiscale che tali pro­blemi potranno trovare soluzioni percorribili e non miracolistiche.
Il Fondo Monetario Internazionale nell’aggiornamento di gen­naio del suo “World Economic Outlook” ha rialzato le stime sulla crescita del PIL italiano a +1,6% nel 2017 e a +1,4% nel 2018. Se pen­siamo che nel gennaio 2017 le previsioni del FMI per il nostro PIL dell’anno passato erano ancora ferme a un modesto +0,7%, si com­prenderà quale svolta in termini di miglioramento dell’economia si è registrata nel giro di soli dodici mesi e come le istituzioni interna­zionali siano state colte di sorpresa dall’incisività in termini di impatto sulla ripresa delle politiche economiche adot­tate dal Governo Renzi (non ultimo il Piano Industria 4.0) e poi proseguite dal Governo Gentiloni.
I dati Istat sul fatturato dell’industria a novem­bre 2017 confermano la solidità del ciclo espansi­vo italiano. Si è registrata una crescita congiun­turale del fatturato dell’1,3% rispetto al mese precedente e un aumento tendenziale corretto per i giorni di calendario del 5,1% rispetto al novembre 2016. L’indice destagionalizzato del fatturato di novembre 2017 ha raggiunto il li­vello più elevato da settembre 2011. La crescita tendenziale, sempre a novembre, è stata partico­larmente forte su base annua per i comparti me­talmeccanici: metalli e prodotti in metallo +12,4%; apparecchi elettrici +7,1%; macchine industriali ed ap­parecchi meccanici +6,8%.
Lo scatto in avanti del ciclo economico italiano viene spesso er­roneamente associato unicamente alla ripresa che sta interessando l’intera Eurozona, con ciò sminuendo – più o meno intenzionalmen­te – il carattere fondamentalmente interno dell’attuale momento della nostra economia. In effetti le statistiche mostrano che negli ul­timi quattro anni la ripresa italiana è stata essenzialmente trainata dalla domanda domestica, che ha spinto il PIL con le due leve dei consumi delle famiglie e degli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto. L’export è aumentato molto, sì, ma il suo contributo è stato soprattutto quello di controbilanciare la crescita dell’import che normalmente si verifica durante i cicli di ripresa. Per cui la do­manda estera netta (cioè l’export meno l’import) non ha sottratto slancio al PIL e ha permesso a consumi ed investimenti di dispiega­re tutta la loro efficacia. Ma questa efficacia non sarebbe mai stata così intensa se non fossero state impilate l’una sull’altra come dei mattoncini – con pazienza e gradualità – tutta una serie di misure che hanno contribuito ciascuna in modo decisivo a rilanciare la do­manda interna: dagli 80 euro all’eliminazione di diverse tasse su famiglie e imprese, dalle decontribuzioni per le assunzioni a tempo indeterminato al super e iper-ammortamento.
Lo dimostrano anche le ultime statistiche dell’UCIMU (l’Unione dei costruttori italiani di macchine utensili e robotica) relative agli ordini di macchine utensili sul mercato inter­no italiano, cresciuti del 154% in quattro anni durante i Governi Renzi e Gentiloni. Secondo il presidente di UCIMU, Massimo Carboniero, “i dati degli ordini del 2017 dimostrano la validità delle mi­sure del piano Industria 4.0. Super e iperammortamen­to, nuova Legge Sabatini e detrazione fiscale per le spese in Ri­cerca e Sviluppo hanno spinto gli investimenti in Italia. Ora occorre forzare la formazione 4.0, indispensabile per guidare l’innovazione delle nostre fabbriche”.
La conferma dei due incentivi principali del programma gover­nativo Industria 4.0, cioè il super e l’iperammortamento, anche nel piano Impresa 4.0 inserito nella Legge di Bilancio 2018, testimonia la volontà del Governo italiano di proseguire nel pieno sostegno alla politica di rilancio degli investimenti e di modernizzazione del sistema produttivo avviata negli ultimi anni. Uno sforzo che ha già avuto un impatto macroeconomico ampio con un aumento cu­mulato in termini reali degli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto in Italia del 25% dal secondo trimestre 2014 al terzo trimestre 2017 (dati Istat): un incremento più che doppio rispetto a quello registrato nello stesso periodo in Germania. I risultati rag­giunti sono fatti concreti, non annunci di misure impossibili tipo la Flat tax. Sono risultati che in termini di capacità di governo e competenza valgono sicuramente di più delle fantasiose promesse elettorali che si stanno ascoltando negli ultimi giorni.
I risultati raggiunti sono fatti concreti, non annunci di misure impossibili tipo la Flat tax
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Lavoro
La verità e i numeri
su precariato e Jobs Act
I contratti a tempo indeterminato rimangono la forma contrattuale dominante
Come è ovvio le misure di decon­tribuzione, da sole, non poteva­no e non potranno interrompere una spirale negativa nella do­manda di lavoro: l’occupazione non si crea per nor­ma. Per questo abbiamo lavora­to, e sarà necessario continuare a farlo, su politiche industriali e Industria 4.0 per accelerare la dinamicità delle imprese e la domanda di lavoro qualificato. I risultati, come noto, ci sono.
A partire da qui, oggi possia­mo cominciare a riflettere an­che sulla struttura e sulla “qua­lità” dell’occupazione che si è andata creando.
Il Jobs Act, va ribadito, ha so­stanzialmente inteso interveni­re sulla ridefinizione comples­siva degli assetti con il fine di contrastare la precarietà. Non certo alimentarla! Contempora­neamente ha puntato ad offrire strumenti di sicurezza per una platea più ampia (si veda ad esempio il tema dell’indennità di disoccupazione) e rinnovare il sistema delle politiche attive.
A guardare i dati Istat con una prospettiva più ampia del mese solare, sembra che l’o­biettivo sia stato raggiunto. In questi anni registriamo un tra­vaso dalle forme di lavoro più flessibili (ad esempio le collabo­razioni), verso contratti come il tempo determinato, di certo flessibili ma sicuramente più tu­telati. Come può dirci chiunque riceveva meno contributi in quanto collabo­ratore pur lavorando come un dipendente. Un aspetto trascurato dal dibattito in corso ma che dovrebbe essere adeguatamente va­lutato.
Allo stesso tempo non va trascurato il dato che, in termini di composizione degli occupati, quella a tempo indeterminato per­manga come forma contrattuale dominante che, certo, il Jobs Act non ha scalfito, anzi. Se nel 2014, su 100 occupati, quelli permanenti erano il 65,1%, nel 2016 sono il 65,4%. Nel 2008, ai tempi d’oro pre-crisi, la percentuale si attestava al 64,7%.
Quanto al tempo determinato, la sua cre­scita non sembra essere così esplosiva come paventato, soprattutto se considerata sosti­tutiva al lavoro indipendente: in termini di peso sul totale gli occupati a tem­po determinato sono passati dal 10,2% del 2014 al 10,7% del 2016 a fronte di un leggero calo della quota di indipendenti.
Nel frattempo i dati Eurostat ci mostrano una situazione del lavoro temporaneo in Italia che, in termini percentuali sul totale degli occupati, è inferiore alla media europea e prossima a pa­esi europei molto virtuosi come ad esempio la Germania e la Da­nimarca.
Nessun trionfalismo.
Siamo consapevoli del tanto lavoro che ancora c’è da fare per mettere in sicurezza i risultati raggiunti, e certo quello che c’è da fare è sempre di più di quel­lo che si è fatto. Di sicuro, è ne­cessario ed urgente fare molto di più per l’occupazione giova­nile, tema al centro anche della Stabilità 2018 con una rete im­portante di azioni: dall’incenti­vo strutturale all’occupazione giovanile stabile, anche nei casi di conversione dei contratti a tempo determinato o di lavorato­ri impegnati nell’apprendistato o nell’alternanza scuola-lavoro, alle ulteriori agevolazioni per le assunzioni a tempo indetermina­to per il Mezzogiorno.
Teresa Bellanova
Segue dalla prima
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FONTE: ISTAT22.00022.20022.40022.60022.80023.00023.20023.400789101112131420132014201520162017Tasso di disoccupazioneOccupati (dx)Occupati e tassodi disoccupazioneMigliaia di unitàValori %
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Debunking
Smontiamo le bugie /2.È vero che il Pd ha favorito l’immigrazione clandestina?
“Il governo negli ultimi anni ha aperto le porte agli immigrati clandestini”. Questa frase è stata pronunciata, negli ultimi mesi, da una serie impressionante di politici nostrani, impegnati a screditare il lavoro del governo da una parte e alimentare, per poi cavalcare strumentalmente, le paure dei cittadini italiani. E alle parole è seguita la propaganda, con la diffusione capillare di fake news, che ha fatto sì che milioni di persone vedessero nell’immigrazione una minaccia contro la quale i governi degli ultimi anni non hanno fatto abbastanza.
Il contesto internazionale è completamente cambiato
In questa campagna elettorale sentirete spesso dire agli esponenti del centrodestra che quando al governo c’erano loro gli sbarchi erano ai minimi storici. Erano anni in cui la situazione, nei Paesi arabi e del Mediterraneo, era sostanzialmente stabile. L’Italia nel 2008 aveva firmato un accordo con la Libia di Gheddafi in cui il colonnello di Tripoli si impegnava a bloccare le partenze di migranti verso l’Italia. Poi vennero le Primavere Arabe e il quadro cambiò completamente.
La guerra in Siria e le crisi umanitarie in Africa
Mentre il mondo assisteva alle “rivoluzioni” (o presunte tali) in Tunisa, Algeria, Libia ed Egitto, in tutta quell’area si creavano delle condizioni di forte instabilità politica e sociale. Anche in Siria esplosero le rivolte contro il regime di Bashar al-Assad. Fu l’inizio, tra il 2011 e il 2012 di una guerra civile che infuria ancora oggi, così come in Iraq, in Afghanistan, nello Yemen. Queste situazioni, insieme alle crisi umanitarie del Corno d’Africa, alle minacce terroristiche in Nigeria e nel Mali, e all’instabilità politica del Nordafrica ha creato le condizioni per un’esplosione del fenomeno migratorio.
Esplode il fenomeno migratorio
Il 2015, 2015 e 2016 sono stati un anno di passione sul fronte migrazioni. Centinaia di migliaia di profughi si sono riversati in Europa attraversando il mare che separa Turchia e Grecia. Il flusso si è interrotto a marzo 2016 quando l’Unione Europea ha stretto un accordo con la Turchia. Si è contemporaneamente assistito a un costante incremento dei flussi di migranti in arrivo dalle coste nord africane, libiche soprattutto, verso l’Italia. Questo flusso ha portato oltre 180mila persone a sbarcare in Italia nel 2016, mai così tante. E 5.022 persone a morire nel Mediterraneo, mai così tante.
2017, l’anno dell’inversione di tendenza
Il flusso che è proseguito fino metà 2017, salvo poi rallentare a partire da luglio. Secondo i dati Unhcr tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2017 sono sbarcate in Italia 119.247 persone. Un dato in netta diminuzione rispetto al 2016. Tra gennaio e giugno 2017 sono arrivate 83 mila persone, il 18% in più rispetto allo stesso periodo del 2016. Tra luglio e dicembre 2017 sono arrivate 36 mila persone, il 67% in meno rispetto allo stesso periodo del 2016.
Le strategie politiche italiane
La chiusura della rotta Libia-Italia era stata annunciata fin da inizio anno come il vero obiettivo del 2017. A inizio febbraio è stato siglato un primo accordo tra Italia e Libia, che è stato poi gradualmente rafforzato fino ad arrivare ad una notevole riduzione delle partenze a partire da luglio. La netta diminuzione degli arrivi sulle coste italiane deriva quindi dalla diminuzione delle partenze dalla Libia, ma anche da una rinvigorita attività di controllo lungo tutta la rotta africana, soprattutto in Niger.
Il ricollocamento dei profughi in Europa
Oltre al controllo dei flussi dall’esterno, l’altro grande asset su cui si decide la strategia europea è il ricollocamento dei profughi in modo che siano distribuiti più equamente tra gli stati dell’Unione Europea. L’accordo, stipulato a settembre 2015, prevedeva inizialmente il ricollocamento di 160 mila persone da Grecia e Italia ad altri paesi europei entro settembre 2017. Purtroppo, alla data del 3 novembre 2017 sono state rilocate solo 31 mila persone: il 29% rispetto all’obiettivo fissato più di due anni fa.
Il trattato di Dublino e le bugie della destra
Il dibattito pubblico italiano, negli ultimi anni, è stato spesso incentrato sul cosiddetto trattato di Dublino. In particolare sull’articolo 13 di quella Convenzione, che recita: “Quando è accertato che il richiedente ha varcato illegalmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale”. In piena campagna elettorale, Silvio Berlusconi ha sostenuto che “l’emergenza migranti è colpa di Renzi e della sinistra che hanno firmato il trattato di Dublino”. In realtà è l’accordo di Dublino II (ratificato dal nostro Paese nel 2003, quando al governo c’era la destra) che ha reso operativo il regolamento sulla gestione dei meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo.
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Pagina a cura di Stefano Cagelli
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