Della Redazione Di Democratica
n. 111 giovedì 25 gennaio 2018
“Il fascismo non ebbe meriti”
(Sergio Mattarella, oggi)
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L’EDITORIALE /1
Due anni
senza Giulio
Una delle legislature
più sociali di sempre
Stefano Lepri
Il PD in questi anni ha vinto la medaglia d’oro nel sociale. Non lo diciamo noi, ma l’equipe di studi guidata da don Vinicio Albanesi, fondatore con don Luigi Ciotti del Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza: “quella che sta per concludersi sarà ricordata come una delle legislature più sociali di sempre”.
In effetti, la mole delle misure adottate è poderosa. La legge sul terzo settore e il servizio civile è una riforma epocale: i cittadini, nelle varie forme associate o d’impresa sociale, sono riconosciuti e promossi come soggetti pienamente titolati a realizzare attività d’interesse generale. Per combattere la povertà sono stati approvati il Reddito d’inclusione e la legge contro lo spreco alimentare.
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SEGUE A PAGINA 5
L’EDITORIALE /2
Partite Iva, ecco
i diritti che non c’erano
Chiara Gribaudo
Alle partite IVA, ai freelance, al mondo dei professionisti ho dedicato la gran parte della mia legislatura. Cinque anni fa partivamo dal nulla cosmico: zero tutele, zero diritti, e anche zero dibattito. C’erano due milioni di lavoratori, fondamentali per l’efficienza e l’innovazione del nostro sistema Paese, sui quali da tempo si scaricavano solo costi e tasse senza garantire nessuna sicurezza.
Noi non siamo rimasti a guardare, assieme a loro ci siamo rimboccati le maniche e siamo arrivati a risultati allora impensabili.
Il 25 gennaio 2016 si persero le tracce al Cairo del giovane ricercatore, trovato morto pochi giorni dopo. Gentiloni: “Vogliamo la verità”
A PAGINA 3
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VERSO IL 4 MARZO
TRASPORTI
Sondaggi: cresce il Pd,
cala la destra
Tragedia a Milano, deraglia il treno dei pendolari. Tre morti
L’incidente forse dovuto al malfunzionamento di uno scambio. Delrio: “Diritto alla mobilità deve partire dalla sicurezza”. E Salvini sciacalleggia
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Cronaca
Deraglia il treno dei pendolari Tragedia alle porte di Milano
Tre morti e cento feriti, l’ipotesi è un cedimento strutturale dei binari
Incidente gravissimo questa mattina alle porte di Milano. Poco prima delle 7 un treno di pendolari, partito da Cremona e diretto alla stazione Milano Porta Garibaldi, è deragliato all’altezza di Pioltello. Al momento i morti confermati sono tre, mentre i feriti sono 46, cinque sono in codice rosso, otto in codice giallo e 33 in codice verde.
La macchina dei soccorsi è partita immediatamente e il San Raffaele ha attivato un piano di maxi-emergenza che prevede la mobilitazione di tutto il personale, la liberazione di posti letto nei reparti, l’assistenza di un team di psicologi, l’attivazione di un numero di telefono per i familiari delle persone coinvolte, lo 02.26439000.
Sull’incidente è stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Milano per disastro colposo ferroviario. I tecnici di Rete Ferroviaria Italia durante gli accertamenti hanno segnalato “un cedimento strutturale di circa 20 centimetri di binario, circa due chilometri più indietro rispetto al luogo del deragliamento del Treno regionale Trenod. Attraverso indagini successive si dovrà stabilire se il cedimento del binario sia stato causa o effetto del deragliamento del treno”.
I tecnici hanno escluso qualsiasi malfunzionamento degli scambi della stazione di Pioltello. Al contrario, è risultato che i sistemi di sicurezza della rete hanno funzionato: i sensori posizionati sugli scambi hanno rilevato il passaggio anomalo di alcune vetture del treno ed hanno disposto a “via impedita” tutti i sistemi di segnalamento, bloccando di fatto la circolazione nell’area.
“Il diritto alla mobilità deve partire dalla sicurezza delle persone come garanzia imprescindibile. In questa direzione occorre continuare a lavorare da parte di tutti” ha detto il ministro dei Trasporti Graziano Delrio che è in costante contatto con Prefettura e Protezione civile e alle 16 parteciperà al vertice interistituzionale a Milano.
Chi non ha perso tempo per fare sciacallaggio è Matteo Salvini che – mentre sono ancora in corso le verifiche sulla dinamica dell’incidente – ha accusato il governo dichiarando che “ogni volta che si parla di interventi economici a Roma, c’è una riga sui tagli al trasporto pubblico locale”. A rispondere al leader del Carroccio il deputato dem Emanuele Fiano che su Twitter gli ha risposto: “Qualcuno ha già cercato di fare campagna elettorale sui morti di Pioltello. Mi dispiace io non sarò mai all’altezza del tuo cinismo Matteo Salvini e ne sono ben contento. Cordoglio per i morti, la magistratura accerti le responsabilità. Non si può morire per andare a lavorare”.
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Il caso Regeni
Due anni senza Giulio
Due anni fa al Cairo scompariva Giulio Regeni, giovane ricercatore che stava conseguendo un dottorato al Girton College dell’Università di Cambridge e si trovava in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani presso l’Università Americana al Cairo. Il 3 febbraio successivo Giulio sarebbe stato trovato morto, sempre al Cairo, sul ciglio di un’autostrada, con evidenti segni di tortura.
Due anni dopo non ci sono ancora certezze su come e perché Regeni sia stato ucciso. Ma a differenza del primo anniversario, l’anno scorso, ora pare essersi innescata una dinamica nuova per fare luce sul caso, con l’Egitto che ha lanciato segnali di collaborazione. Imputati comunque ancora non ci sono.
Ma da metà settembre, con l’insediamento al Cairo dell’ambasciatore Giampaolo Cantini, Italia e Egitto hanno ricucito le relazioni diplomatiche dopo uno strappo durato quasi un anno e mezzo, che ha segnato una delle più lunghe crisi mai affrontate. E sono arrivati segnali di collaborazione. Primi tra tutti i nuovi elementi probatori passati alla procura di Roma nell’incontro del 21 dicembre con quella generale del Cairo. E la consegna, in ambasciata, del fascicolo giudiziario ai legali della famiglia Regeni che l’aveva reclamato invano per un anno e mezzo, costituendosi parte civile nel procedimento giudiziario in Egitto.
Il riavvicinamento fra i due paesi, di cui la richiesta di verità sul caso Regeni è parte integrante, è stato accompagnato da frequenti dichiarazioni delle istituzioni egiziane – amplificate dai media – della volontà di scovare i responsabili dell’atroce morte del ricercatore. Le dichiarazioni in questo senso che pesano di più sono le due del presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi: una fatta in una conferenza stampa a Sharm el-Sheikh e l’altra contenuta nel comunicato emesso dalla presidenza sull’incontro con il ministro dell’Interno Marco Minniti al Cairo del 17 dicembre che ha ribadito la volontà di pervenire a “risultati definitivi”.
Questi sviluppi giudiziari e dichiarazioni, considerati di rilievo da chi conosce la complessità della situazione egiziana, hanno fatto seguito a pressioni venute da colloqui del ministro degli Affari esteri Angelino Alfano, dalla visita del 22 ottobre del sottosegretario Vincenzo Amendola e da quella di Minniti, le prime di esponenti del governo italiano al Cairo dopo la crisi-Regeni. In tutti gli incontro avuti dall’ambasciatore Cantini con i ministri egiziani, inoltre, la questione Regeni è stata posta come prioritaria.
L’omicidio del giovane
ricercatore italiano
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25 gennaio 2016
Il ricercatore italiano dell’Università di Cambridge scompare al Cairo. E’ atteso non lontano da piazza Tahrir da un suo amico ma non arriverà mai all’appuntamento.
3 febbraio 2016
Il corpo di Giulio Regeni viene ritrovato lungo la superstrada Cairo- Alessandria d’Egitto. I suoi genitori davanti al suo cadavere diranno: “Abbiamo visto tutto il male del mondo”.
12 febbraio 2016
A Fiumicello si svolgono i funerali del ragazzo. La tutor di Giulio rifiuta di consegnare alla polizia italiana i dati contenuti nel suoi telefoni e pc. L’Università di Cambridge non risponde alle sollecitazione della Procura di Roma nel consegnare documentazione utile all’indagine.
6 giugno 2016
La famiglia Regeni si reca a Cambridge per una commemorazione ufficiale. Con loro c’è anche il pm Colaiocco che non viene ricevuto dalle autorità accademiche. Anche la professoressa si sottrae alla richiesta di rispondere ad alcune domande.
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Partito democratico
Cresce la fiducia nel Pd
Invertita la tendenza: con l’ultimo sondaggio SWG il Pd in ripresa e la destra in calo
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Welfare
Le leggi approvate
È stata la legislatura
delle politiche sociali
La legge
sul terzo settore
Legge sul servizio civile
Reddito d’inclusione
Legge contro lo
spreco alimentare
Contrasto alle povertà educative
Misure per i minori stranieri non accompagnati
Lo ius soli sportivo
Il Dopo di noiper la disabilità
Care giver
Bonus per i neonati e per la prima infanzia
Recupero delle periferie urbane
Contrasto allo sfruttamento sul lavoro (no alle dimissioni in bianco e al caporalato)
La legge e il potenziamento della cooperazione internazionale
Con i governi a guida Pd il totale dei principali fondi stanziati per il sociale è aumentato da 659 a 4.626 milioni di euro
Per i minori, il programma per il contrasto alle povertà educative, le misure per gli stranieri non accompagnati, lo ius soli sportivo. A favore delle persone con disabilità è stato riconosciuto il “dopo di noi”, l’anticipo pensionistico e un primo stanziamento per i parenti care giver. Per i neonati e la prima infanzia abbiamo varato diversi bonus aggiuntivi. Senza dimenticare l’azione per il recupero delle periferie urbane, il rilancio dell’edilizia popolare, le misure di contrasto allo sfruttamento sul lavoro (no alle dimissioni in bianco e al caporalato), la legge e il potenziamento della cooperazione internazionale.
Molti di questi provvedimenti hanno avuto una specifica e nuova dotazione economica. In altri casi lo stanziamento è stato rafforzato: ad esempio il cinque per mille, stabilmente finanziato con cinquecento milioni all’anno. Non solo: i diversi fondi sociali sono stati tutti fortemente incrementati e poi stabilizzati nell’ultimo anno. L’elenco di queste e di altre misure è ben conosciuto sia dagli operatori pubblici sia da quelli del terzo settore, ma talvolta non ci si rende conto della loro complessiva portata. Per questo serve sottolineare il grande lavoro legislativo e di governo di questa legislatura: per non tornare a com’era prima.
Se si guarda la tabella sintetica allegata, ci si rende conto del salto straordinario cha abbiamo fatto rispetto all’ultimo governo Berlusconi: abbiamo moltiplicato per sette (da 659 a 4.626 milioni) il totale dei principali fondi stanziati! Se vincono lui e i populisti si torna al welfare compassionevole: basta un po’ di volontariato e di vicinato, qualche benefattore, un po’ di trasferimenti in denaro e il gioco è fatto. Con i pentastellati, invece, avremmo un becero assistenzialismo per tutti (reddito di cittadinanza), condito da una pregiudiziale diffidenza verso gli enti del terzo settore. Mentre Liberi e Uguali, i cui deputati hanno con noi lavorato su queste riforme, dovrebbe almeno onestamente riconoscere che molte cose sono state fatte, e bene.
Insomma, diamoci da fare da qui alle elezioni, per far capire che la protezione sociale, specie per i più deboli, è garantita solo dal PD. Non è una promessa da mercante: lo abbiamo dimostrato con i fatti.
Stefano Lepri
Segue dalla prima
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Giustizia e Lavoro
A Ostia è mafia: blitz contro il clan Spada
Maxioperazione questa mattina a Ostia, dove Carabinieri e Polizia, con la collaborazione del Nucleo speciale della Guardia costiera, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere che ha colpito soggetti ritenuti capi e affiliati del clan Spada.
Gli arrestati sono 32, tutti accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso, e tra questi figura anche Carmine Spada, detto ‘Romoletto’, considerato il capo del clan di Ostia. Carmine Spada è il fratello di Roberto, già in carcere per l’aggressione alla troupe della Rai avvenuta fuori alla sua palestra.
Gli arresti scaturiscono da due distinte indagini di Carabinieri e Polizia, poi confluite.
L’operazione ha visto anche la perquisizione di case e locali nella disponibilità degli arrestati, secondo quanto disposto dal gip Simonetta D’Alessandro, che hanno portato al sequestro di numerose pistole e alla scoperta di impianti di video sorveglianza, che il clan utilizzava, a quanto pare, per il controllo delle piazze dello spaccio.
Il blitz arriva dopo lunghe indagini e due mesi di controlli serrati.
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Partite Iva,
il nostro impegno per i diritti
Alle partite IVA, ai freelance, al mondo dei professionisti ho dedicato la gran parte della mia legislatura. Cinque anni fa partivamo dal nulla cosmico: zero tutele, zero diritti, e anche zero dibattito. C’erano due milioni di lavoratori, fondamentali per l’efficienza e l’innovazione del nostro sistema Paese, sui quali da tempo si scaricavano solo costi e tasse senza garantire nessuna sicurezza.
Noi non siamo rimasti a guardare, assieme a loro ci siamo rimboccati le maniche e siamo arrivati a risultati allora impensabili. Attraverso la legge 81/2017 abbiamo sanato una frattura storica nel mondo del lavoro, riconoscendo finalmente diritti e valore ai professionisti. Abbiamo aperto loro l’accesso ai fondi strutturali europei, dato un nuovo regime fiscale forfettario, abbassato l’aliquota previdenziale INPS dal 33 al 25%. Nell’ultimo scorcio di legislatura, abbiamo messo al sicuro le casse professionali dal rischio bail-in e introdotto il principio dell’equo compenso nei rapporti con i committenti più forti, fra cui la pubblica amministrazione.
Ieri la Repubblica affrontava le preferenze politiche delle partite IVA, dando però poco spazio a queste riforme coraggiose. Non gliene faccio una colpa, la campagna elettorale tocca a noi farla e non possiamo certo delegarla ai giornali.
Voglio soffermarmi però anche sull’altro mondo su cui Repubblica si affaccia, quello degli autonomi artigiani e commercianti. Altri 2,5 milioni di lavoratori, che da soli o in micro e piccole imprese sono il cuore delle nostre filiere e del nostro tessuto sociale. Conosco bene le difficoltà che la crisi (e spesso la burocrazia statale) ha creato loro. Il Jobs act in tanti casi ha permesso di assumere forze fresche, mentre la Nuova Sabatini ha consentito di innovare macchinari e produzione. Togliendo dall’Irap la componente del lavoro abbiamo abbassato un po’ la pressione fiscale: sappiamo che non è abbastanza, ma siamo sulla strada giusta.
C’è un punto sul quale questi due mondi, che si riuniscono nel lavoro autonomo, condividono una mancanza storica: l’assenza di un ammortizzatore sociale nei casi in cui il lavoro, contro ogni impegno e volontà, lo perdi per forza.
Anche su questo abbiamo iniziato a invertire la rotta. Dapprima con l’introduzione (e poi la stabilizzazione) della DIS-COLL, il primo sussidio di disoccupazione per i collaboratori, gli assegnisti e i dottorandi di ricerca. E poi nella legge 81, il Jobs act autonomi, abbiamo inserito la possibilità per le casse professionali di erogare prestazioni ai loro iscritti nei casi di drastico calo involontario dei redditi.
Sono primi passi e tentativi, corroborati però pochi giorni fa da una sentenza europea: per la Corte UE anche il lavoratore autonomo ha diritto ad un ammortizzatore sociale quando perde il lavoro indipendentemente dalla propria volontà. Se con la NASPI siamo arrivati all’universalità di copertura per il lavoro dipendente, un grande obiettivo per la prossima legislatura è che anche tutti i lavoratori autonomi, in caso di disoccupazione involontaria, abbiano una vera protezione sociale. E per tutti, abbattere la burocrazia ed i ritardi del pubblico, espandere il credito d’imposta per investimenti in capitale umano e tecnologico, sono le strade obbligate per permettere al cuore del Paese di respirare e correre.
Chiara Gribaudo
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Non siamo
rimasti a guardare e abbiamo ottenuto risultati prima impensabili
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Debunking
Smontiamo le bugie.È vero che
il Jobs Act ha precarizzato il lavoro?
Sono mesi ormai che le opposizioni continuano a puntare il dito contro il Jobs act accusandolo da una parte di aver precarizzato il mondo del lavoro e dall’altra di aver aumentato il numero dei licenziamenti. In questi giorni di campagna elettorale si è arrivati addirittura alla minaccia di volerlo abolire, come se finora avesse provocato soltanto danni. Vediamo allora, numeri alla mano, quali sono stati finora i risultati ottenuti dalla riforma.
Le polemiche (e i numeri Istat) sul Jobs act
Considerando i dati ufficiali dell’istituto nazionale di statistica, dal momento dell’approvazione del Jobs Act (nel 2014) sono stati prodotti più di un milione di posti di lavoro (1.029.000); il tasso di disoccupazione è passato dal 13% all’11%, mentre la disoccupazione giovanile, che prima viaggiava al 43%, oggi è scesa al 32,7%.
I posti fissi sono più di quelli a termine
Osservando poi nel dettaglio i numeri, sembra cadere nel vuoto anche la ricorrente critica sulla precarizzazione: da quando è in vigore la riforma, infatti, i posti di lavoro stabili sono cresciuti in misura maggiore rispetto a quelli a termine. Basti considerare il conteggio complessivo di tutti i nuovi posti di lavoro: il 55% di essi sono stabili, a tempo indeterminato. Stiamo parlando di circa 500mila posti fissi in più. Ma soprattutto, altro dato rilevante, il numero assoluto dei contratti a tempo indeterminato è salito rispetto al periodo precedente alla riforma.
La qualità del precariato è aumentata
Sulla parte dei “contratti a tempo” va evidenziato poi il miglioramento della loro qualità, verificatosi con la riduzione delle varie forme contrattuali, un vero e proprio sfoltimento della miriade di contratti che prima erano a disposizione del datore di lavoro. Oggi, un imprenditore, non potendo utilizzare i vecchi contratti co.co.pro (quelli senza tutele, per intenderci), è infatti costretto a scegliere il tempo determinato, offrendo quindi maggiori tutele al lavoratore (ferie e malattia, ad esempio).
È sufficiente la riforma così com’è?
Acnhe se i risultati sono arrivati, ancora si può fare molto per rendere più conveniente il contratto a tempo indeterminato. In questo senso il Partito democratico sta pensando a misure integrative, anche per offrire maggiori tutele in caso di licenziamento. Tuttavia abolire tout court il Jobs act, come sostengono alcune parti politiche, non avrebbe molto senso alla luce dei risultati ottenuti.
La reintroduzione dell’articolo 18
ridurrebbe i licenziamenti?
L’ulteriore lamentela grillina (e non solo) è quella legata all’articolo 18, che per Di Maio “dovrebbe essere ripristinato nelle imprese con più di 15 dipendenti”, per limitare i licenziamenti. Anche qui, però, sono i numeri a smontare l’accusa: dall’inizio della riforma la frequenza dei licenziamenti è rimasta praticamente invariata. Nel 2014 i licenziamenti di lavoratori con contratto a tempo indeterminato erano circa 570.000 (da gennaio a novembre), nel 2017 sono circa 535.000 (ultimo dato disponibile a novembre). Ci sono poi casi virtuosi, come quello dell’azienda bresciana di software engineering, Pandozy, che ha assunto assunto tremila persone e sciolto soltanto due contratti.
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Pagina a cura di Stefano Minnucci
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