Della Redazione Di Democratica
n. 109 Martedì 23 gennaio 2018
“Con la Merkel ho sempre avuto eccellenti rapporti”
(Silvio Berlusconi ieri)
“
L’EDITORIALE /1
Così cambiamo
la cooperazione italiana
Mario Giro
Un’Italia che non coopera declina. È questo lo spirito con cui i Governi Renzi e Gentiloni hanno guardato al settore della cooperazione internazionale dopo la riforma di marca PD approvata nell’agosto 2014. Una delle risposte da dare al paese era fare un salto: cooperare come indice dell’estroversione internazionale del nostro paese. Con la nuova legge 215 sono venute nuove risorse: oggi non siamo più l’ultimo paese del G7 e dell’UE in termini di aiuti, ma il 4°, con lo 0,27% del PIL. Lo 0,30 sarà raggiunto prima del previsto.
“
SEGUE A PAGINA 7
“Meglio
del
previsto”
L’EDITORIALE /2
Caro Pd, è il momento
del coraggio
Davide Ragone
Quaranta giorni ci separano dalla data delle elezioni: siamo ormai entrati nel cuore della campagna elettorale e in questa fase anche i dubbi si fanno più insistenti. Coraggio! Non si tratta di una categoria della politica, ma penso che sopra ogni altra cosa il PD debba affrontare con coraggio i prossimi giorni: più si cederà al tatticismo e al compromesso e più si rischierà di incidere negativamente sul percorso da qui alle elezioni. In questi anni non è andato tutto in modo perfetto e sarebbe relativamente agevole indicare alcuni campi su cui bisognerà tornare a riflettere e agire, ma questo è il momento di riscoprire l’orgoglio di appartenenza alla nostra comunità e di rivendicare il ruolo svolto dai governi targati PD nel rilancio di un Paese trovato con il segno meno.
Ripresa Il Fondo Monetario certifica
una crescita italiana oltre le attese. E mette in guardia dal rischio di una retromarcia post-voto
ALLE PAGINE 2-3
SEGUE A PAGINA 6
RAZZISMO
LAVORO
Al via gli sgravi sulle assunzioni dei giovani
La Chiesa italiana
si separa dalla destra
M. LEONARDI A PAGINA 4
Dura presa di posizione dei vedcovi italiani contro le frasi sulla razza bianca del candidato alla presidenza della Regione Lombardia: “Credevamo ormai sepolti i discorsi sulla razza”
DIFFAMAZIONE
Condannato
Travaglio, pagherà 150mila euro
PAGINA 6
PAGINA 5
Focus
Il Fondo Monetario:
la ripresa italiana oltre le attese
Stefano Minnucci
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L’Italia incassa la promozione del Fondo monetario internazionale e vede aumentare, ancora una volta, le proprie stime di crescita. Le nuove previsioni dell’Fmi – diffuse ieri durante la 48ma edizione del World Economic Forum – prevedono una crescita della nostra economia dell’1,4% nel 2018, ovvero 0,3 percentuali in più rispetto alla precedente analisi. Certo, la strada da percorrere è ancora in salita e come è stato sottolineato dall’ultimo rapporto annuale del Censis, la ripresa economica registrata finora ancora non è sufficiente ad arginare il “rancore sociale”, che risulta invece in aumento. Tuttavia i numeri diffusi negli ultimi mesi restituiscono una fotografia del nostro Paese in buona ripresa: il Pil è andato verso l’alto, la disoccupazione e il deficit sono scesi, l’occupazione ha registrato ottimi livelli, il debito si è stabilizzato e l’avanzo primario gode di buona salute. Risultati grazie ai quali l’Italia non è più fanalino di coda dell’Ue.
Secondo il Fondo monetario internazionale, la maggiore spinta della nostra economia proviene soprattutto dall’aumento dell’export e da “una più forte domanda interna”, con buona pace per coloro che criticavano le varie misure pensate per dare una spinta ai consumi, come gli 80 euro.
Quali sono le aspettative per il futuro? Con l’economia, si sa, realizzare previsioni esatte non è possibile. Tuttavia il trend di crescita della manifattura e i livelli record della fiducia di consumatori e imprese (ai massimi degli ultimi anni) fanno ben sperare per i prossimi mesi. L’ultima nota mensile diffusa dall’Istat il 22 dicembre evidenzia ancora una volta l’aumento dell’indice anticipatore utilizzato dall’istituto di statistica, suggerendo un ulteriore consolidamento del ritmo di crescita.
Molto, chiaramente, dipenderà dal risultato delle prossime elezioni che si terranno il 4 marzo. Potrebbe essere infatti complicato formare una maggioranza di governo e come sottolineato da molti osservatori l’Italia potrebbe trovarsi di fronte a una fase di instabilità politica che, come si sa, è acerrima nemica di una crescita economica sana e solida. E spaventano gli effetti negativi che avrebbe sull’Italia l’avanzata di partiti populisti (M5S e Lega) facendo salire eccessivamente i tassi e rendendo il debito italiano più costoso.
In questo senso, ieri, la direttrice dell’Fmi Christine Lagarde non ha mancato di sottolineare i rischi associati in vista delle prossime elezioni, segnalando i “motivi di preoccupazione” che ancora emergono se si guarda al medio termine e rinnovando il consueto invito a “riparare il tetto mentre splende il sole”, cioè a sfruttare la finestra di opportunità data dalla ripresa per portare avanti riforme strutturali. “Mi preoccupano – osserva infine Lagarde – governi o coalizioni di minoranza per l’impasse sulle riforme”.
I tecnici
di Washington
fissano all’1,6%
l’incremento
del Pil nel 2017
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Tutti gli indicatori economiciconfermano che la strada intrapresa finora dai governi a guida Pd è quella giusta
Il trend positivo (e costante) dell’occupazione
Le indagini sulle imprese mostrano come gli investimenti abbiano risposto positivamente alle misure del governo, dal super ammortamento al 140% e all’iper ammortamento al 250%, alle altre misure del piano industria 4.0.
Lavoro
201520142016201714.484.00014.747.00014.921.00014.968.000(570.292)(539.169)(572.929)(535.337)3,9%3,7%3,8%3,6%Occupati tempo indeterminatoTasso licenziamento (licenziamenti (1-11) Inps)
Intervista aMarco Leonardi
Consigliere economico di Palazzo Chigi
“Ecco i nuovi sgravi per le assunzioni.
Diventeranno
strutturali”
Leonardi lei ha seguito in legge di bilancio le norme sugli incentivi all’occupazione, oggi Di Maio, Salvini ma anche Berlusconi dicono che vorranno cambiare il Jobs Act.
Proprio quando il mercato del lavoro segna il massimo numero di occupati oltre 23 milioni dal 1977 in poi, i Cinque Stelle la Lega e Forza Italia spaventano le imprese e i lavoratori sostenendo che vogliono abolire la riforma che ha dato i maggiori frutti in questi anni.
Ma i nuovi incentivi per l’assunzione dei giovani sono partiti?
Sì, sono partiti dal primo gennaio 2018, le aziende possono già assumere giovani entro il trentacinquesimo anno di età a tempo indeterminato e usufruiscono di uno sconto del 50% dei contributi fino a €3000 all’anno per tre anni. È un incentivo pensato per la stabilizzazione di chi non ha mai avuto un contratto a tempo indeterminato.
Quante assunzioni sono previste?
Sono previste più di 400.000 assunzioni di giovani il prossimo anno ma è da notare che la norma non prevede limiti di tempo (è strutturale) e non prevede dei tetti di spesa: l’anno prossimo si prevede di spendere 380 milioni, ma se si spende di più non c’è un tetto e tutte le domande potranno essere esaudite. Dal 2021 in poi si prevede di spendere più di 2 miliardi all’anno per incentivare circa 1 milione di giovani a regime.
Ma perché avete limitato lo scontro contributivo solo i giovani?
Quest’anno le disponibilità finanziarie non erano sufficienti per fare un taglio significativo sul costo del lavoro per tutti i lavoratori. Abbiamo dovuto scegliere una priorità è la nostra priorità devono essere giovani che hanno sofferto più di tutti nel corso di questa lunga crisi basti pensare che la fascia fino a 29 anni ha avuto un crollo del tasso di occupazione dal 2008 ad oggi di circa 10 punti percentuali. Nei prossimi anni è opportuno iniziare a ridurre il costo del lavoro per tutti.
Cosa direbbe un imprenditore che preferisce ancora assumere a termine?
Nessuno si aspetta che il primo posto di lavoro di un giovane che esce da scuola università sia un contratto a tempo indeterminato però ci aspettiamo che la transizione da contratto a tempo determinato a tempo indeterminato sia rapida. La norma sugli incentivi per le assunzioni dei giovani serve esattamente a questo: a un imprenditore che ha un giovane con un contratto a termine direi di affrettarsi a stabilizzarlo che con questa norma ha il 50% di sconto sui contributi per 3 anni.
I detrattori del Jobs Act dicono che l’anno prossimo l’imprenditore inizieranno a licenziare.
Da tempo i detrattori dicono che gli imprenditori inizieranno a licenziare, in questo caso la parola gufi si applica perfettamente, nel 2014 i licenziamenti di vario tipo di lavoratori con contratti a tempo indeterminato erano circa 570.000 (da gennaio a novembre), nel 2017 sono circa 535.000 (ultimo dato disponibile a novembre). Ma nel frattempo il numero dei contratti a tempo indeterminato è molto aumentato (oggi rispetto al 2014 abbiamo più di 500mila occupati in più a tempo indeterminato) quindi in realtà non c’è nessun aumento del tasso di licenziamento, anzi c’è una riduzione. E prevedo che non ci sarà alcun aumento dei licenziamenti in futuro infatti un imprenditore che ha assunto nel 2015/2016 non ha nessun interesse a licenziare un lavoratore in un periodo di ripresa economica.
I detrattori dicono anche che si inizierà a sostituire lavoratori anziani con giovani incentivati.
Non c’è nessuna sostituzione tra vecchi e nuovi assunti: non posso licenziare un vecchio assunto per usufruire dei nuovi incentivi per le assunzioni dei giovani, semplicemente perché la legge prevede che se licenzio qualcuno nei sei mesi precedenti (o in quelli successivi) non posso usufruire dei nuovi incentivi. Inoltre un semplice calcolo economico ti dice che non è conveniente: un licenziamento oggi costa 4 mensilità + il contributo alla Naspi, costa sicuramente di più che pagare i contributi pieni e di più del massimo di 3000 euro di incentivi all’anno (per tre anni) che otterresti per assumere un giovane under 35 nel 2018.
Dopo questa norma che cosa è opportuno fare per i giovani?
Per i giovani è opportuno risolvere il problema strutturale di una lunga transizione tra la scuola e l’università e il mondo del lavoro sviluppando un sistema di apprendistato duale nelle scuole secondarie e anche dopo attraverso gli ITS. Inoltre dobbiamo stabilire un salario minimo in modo che i giovani non possano essere sottopagati, oggi il salario di ingresso nel mondo del lavoro è troppo basso.
Democratica
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Sono previste più 400mila assunzioni di giovani
il prossimo
anno
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Politica e giustizia
Condannato per diffamazione
Travaglio aveva accusato tre magistrati siciliani impegnati in un processo per mafia
Il Tribunale di Roma ha disposto una provvisionale di 150mila euro
“Ora abbiamo anche la ‘cluster sentenza’ che non si limita a incenerire le accuse del processo in cui è stata emessa ma, già che c’è, si porta avanti e fulmina anche altri processi, possibilmente scomodi per il potere”
MARCO TRAVAGLIO16 OTTOBRE 2016
Democratica
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Il direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio è stato condannato dal Tribunale di Roma per diffamazione ai danni di tre magistrati siciliani per un articolo sull’assoluzione degli imputati del processo sulla latitanza e la mancata cattura di Bernardo Provenzano. Lo rende noto Carlo Arnulfo, legale dei magistrati Mario Fontana, Wilma Mazzara e Annalisa Tesoriere. Il Tribunale ha disposto una provvisionale di 150mila euro, riferisce l’avvocato, “una cifra mai vista”, sostiene. I tre formavano il collegio – IV Sezione Penale – che giudicò gli ex ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento alla mafia nella persona del superboss e che vennero assolti. Nell’articolo del 16 ottobre 2016 Travaglio scrisse tra l’altro “ora abbiamo anche la ‘cluster sentenza’ che non si limita a incenerire le accuse del processo in cui è stata emessa ma, già che c’è, si porta avanti e fulmina anche altri processi, possibilmente scomodi per il potere”. Travaglio si riferiva al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia, attualmente ancora in corso a Palermo, che sarebbe stato condizionato da quella sentenza.
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Il grande bluff della parlamentarie del Movimento 5 Stelle si sta rivelando in tutta la sua grandezza. Nella sostanziale indifferenza generale (pensate cosa sarebbe successo se al posto dei grillini ci fosse stato il Pd), è stata spacciata per “un rivoluzionario esperimento di democrazia diretta”, quella che sembra essere la più chiara operazione etero-diretta della già complicata, in questo senso, storia del Movimento.
Su Repubblica Sebastiano Messina mette in fila le tre più macroscopiche opacità (tra le tante) che stanno alla base della consultazione. In primis, scrive, “il modo in cui le candidature – si parla di 15mila richieste per 945 posti, una proporzione che ricorda quelle dei concorsi pubblici per l’assunzione alle Poste – sono state scremate da Di Maio, da Grillo e da Casaleggio”. Messina ricorda che “il regolamento approvato in gran fretta dal terzetto magico che ha le chiavi del Movimento prevede come motivo di esclusione automatica ‘comportamenti che possono pregiudicare l’immagine o l’azione politica del Movimento 5 Stelle’, una formula così elastica che bastava un like a un post con richiesta di chiarimenti per essere depennati”.
La seconda opacità, che è uno dei tanti sintomi del mutamento genetico del Movimento, riguarda l’impossibilità dei cosiddetti ‘uomini nuovi’ di scalare le gerarchie precostituite. “Non c’è bisogno di fare pensieri maliziosi – scrive Repubblica – per capire come mai i parlamentari uscenti siano risultati quasi ovunque in cima alle liste (…) Neanche un nuovo Barack Obama italiano – nell’improbabile ipotesi che avesse voluto candidarsi con Di Maio – avrebbe potuto farsi conoscere in 48 ore e battere personaggi del calibro, si fa per dire, di Paola Taverna o di Carlo Sibilia”.
Infine il terzo e forse il più pesante mistero, quello riguardante i tempi e i numeri. “Le votazioni – riferisce Messina – si sono concluse mercoledì 17 gennaio ma fino alla sera di domenica 21 i nomi dei vincitori sono stati gelosamente custoditi dal trio Grillo-Di Maio-Casaleggio”. Non solo, aggiunge, “questa volta non sappiamo quanti sono stati i votanti, non sappiamo quanti voti ha preso ciascun candidato, non sappiamo chi ha controllato, e come, che quelle cifre corrispondano effettivamente ai voti espressi dai clic degli iscritti”.
Avremo mai delle risposte? Di Maio ha promesso di sì. Nel frattempo fa molto comodo continuare a vendere, in campagna elettorale, la grande bolla (o balla?) della democrazia diretta. Un concetto sempre meno supportato da fatti concreti.
Il grande bluff delle parlamentarie del M5S
Stefano Cagelli
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La Cei contro il razzismo
Pd, è il momento del coraggio
La Chiesa italiana si separa
dalla destra
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Davide Ragone
Segue dalla prima
Nessun’altra forza politica può vantare il nostro popolo appassionato di militanti che si batte per i suoi ideali e per realizzare una società più giusta, che anima le realtà locali passando da feste de l’Unità a un numero infinito di iniziative concrete per il proprio territorio e che ci consentirà di portare avanti una campagna capillare, anche investendo sul nuovo strumento dei volontari di seggio.
Il PD non ha poi depositato un elenco di promesse da libro dei sogni, bensì un programma serio, che ha la credibilità per poter realizzare, soprattutto in virtù dei risultati ottenuti nel corso di questa legislatura. Le importanti leggi che hanno colmato ritardi e lacune nel campo dei diritti (le unioni civili, il testamento biologico, il “dopo di noi”, i minori stranieri non accompagnati…) si affiancano alle disposizioni in materia di giustizia (dall’anticorruzione alla riforma del diritto fallimentare), alla lotta contro gli sprechi alimentari e farmaceutici, all’introduzione di una misura universale di contrasto alla povertà, all’inserimento nel codice penale di un titolo dedicato ai delitti contro l’ambiente, agli enormi investimenti sulla scuola (dall’edilizia alle assunzioni di docenti) fino agli innumerevoli interventi in materia di lavoro, pubblica amministrazione, cooperazione internazionale…
Si tratta di un bilancio ampiamente positivo, raggiunto in un contesto politico difficile e con i numeri claudicanti in Senato. Inoltre, siamo l’unica forza in campo che ha una visione per i prossimi anni, è consapevole del ruolo internazionale dell’Italia, ha tirato fuori il Paese dalla crisi e scommette sul suo futuro.
È arrivato, dunque, il momento del coraggio, che deve animare la conduzione della campagna, la selezione delle candidature, la convinzione nelle proposte. Sarà bello dimostrare che questo Paese ha ancora tanto bisogno di noi. E allora forza e coraggio, PD!
L a prolusione del cardinale Gual tiero Bassetti al Consiglio episco pale permanente, arriva a un mese e mezzo dal voto e chiarisce alcuni punti chiave del rapporto fra Chiesa e politica, Chiesa e società italiana, in un frangente particolarmente delicato per l’Italia.
Il cardinale, dal maggio scorso alla guida della conferenza episcopale, ha chiarito che la “Chiesa non è un partito e non stringe accordi con nessun soggetto politico”, il dialogo con tutti costituisce anzi l’orizzonte di riferimento, ma “dialogare non è negoziare”, non è insomma la ricerca di favori, come pure ha chiarito Papa Francesco. La cornice è dunque quella della piena e reciproca autonomia fra Chiesa e politica in un quadro che è concordatario nella forma e nella sostanza, il contributo dei vescovi in tal senso va inteso come ricerca “del bene comune di tutti”.
E tuttavia nelle parole di Bassetti è possibile rintracciare alcune indicazioni valoriali, di principio e di metodo, che meritano di essere osservate da vicino. In primo luogo va letta con attenzione quella condanna netta e senza appello delle espressioni relative alla “razza” rimbalzate nel dibattito elettorale di questi giorni e utilizzate in modo specifico dal candidato leghista alla presidenza della regione Lombardia, Attilio Fontana. Il cardinale oltre a condannare “i discorsi sulla razza”, ha chiesto di reagire a “una cultura della paura” che si trasforma in xenofobia e che non può mai diventare lo strumento che in base al quale si orientano politiche e scelte.
“Oggi – ha aggiunto – in un contesto estremamente differente, noi possiamo far nostre, senza esitazioni, le parole di Paolo VI nella ‘Populorum progressio’. Di fronte all’ostacolo del ‘razzismo’ che impediva di edificare ‘un mondo più giusto e più strutturato secondo una solidarietà universale’, Montini invocò la ‘carità universale che abbraccia tutti i membri della famiglia umana’.
Parole rilevanti che stabiliscono un legame fra passato e presente. In tal senso il nesso fra le leggi razziali introdotte durante il fascismo, l’impegno contro il razzismo affermato da Paolo VI alla fine degli anni ‘60, la diffusione a piene mani del virus della paura e della xenofobia da parte di lacune forze politiche nella campagna elettorale – la Lega in primis ma non solo – disegnano uno scenario inedito.
La Chiesa italiana per la prima volta dopo alcuni decenni, si separa- sul piano dei valori fondamentali della democrazia e dei diritti umani – dalla destra(che nel frattempo ha perso al suo interno anche la parvenza di una rappresentanza cattolica moderata). E, dato da non sottovalutare, lo fa ponendo nella sua stessa storia le basi di un limite insuperabile: quello delle leggi razziali del 1938 come negazione del cristianesimo tout-court e del Paolo VI post Concilio Vaticano II.
Non per questo Bassetti fa una dichiarazione di voto ad altri, i temi che solleva nella sua prolusione sono anzi quelli di un’attualità stringente e, dal punto di vista sociale, critica: l’allarme per la gravità della carenza di lavoro- e su questo punto ha messo in luce la piena sintonia della Chiesa con il Capo dello Stato Sergio Mattarella – per l’impoverimento delle famiglie italiane, per una società che rischia di disgregarsi. In un simile contesto però il richiamo alla classe politica è quello a non assumere comportamenti “immorali” facendo promesse che non si possono mantenere . Un rifiuto fermo quindi di quel populismo urlato, fatto di promesse eccessive e poco praticabili, così in voga nello scenario politico nazionale.
Francesco Peloso
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Il cardinal Bassetti: “Bisogna reagire alla cultura della paura, credevamo sepolti i discorsi sulla razza”
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Focus
Cooperazione,
così cambiamo il paradigma
Abbiamo riempito un vuoto di idee con un pensiero nuovo. Ora più investimenti
Mario Giro
Segue dalla prima
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Un’inversione di tendenza anche in termini di visione che ha ridato dignità agli attori della cooperazione, vecchi e nuovi: ONG, diaspore, enti locali, imprese, terzo settore ecc. Il dibattito attorno alla cooperazione oggi esiste ed è vivace, intrecciato specialmente con la questione delle migrazioni. Lo avevamo detto: se l’Italia non si interessa al mondo, il mondo certamente si interesserà all’Italia. È ciò che è avvenuto, a dimostrazione che non basta chiudere gli occhi perché la globalizzazione non ti raggiunga, con il suo bagaglio contradditorio di minacce ed opportunità. Ma per la destra la questione migratoria è più una polemica ai fini interni, manipolato per far leva sulla paura, piuttosto che un tema da gestire con lungimiranza. Noi ci siamo confrontati con la sfida dell’ “aiutarli a casa loro”. Concretamente. Molti hanno del mondo visto solo come minaccia, sognano un’Italia vintage; altri parlano di “inversione etnica” e disquisiscono di “razza bianca”; altri ancora accusano il mondo delle ONG di “guadagnarci” (vedi la questione “taxi del mare”). Noi crediamo invece che chi si cimenta con il difficile impegno dello sviluppo è degno di tutto il nostro rispetto. E’ la parte migliore del nostro paese e dell’Europa: quella di chi non si arrende davanti al dramma ma prova ad entrare negli inferni di questo mondo, a trovare soluzioni. Ma non basta: c’è la sfida di avere impatto, cambiare la prospettiva di futuro per i giovani africani o mediorientali. Per questo la nostra cooperazione è cresciuta, uscendo fuori dall’ordinario. Per rispondere alla domanda sullo sviluppo dell’Africa sono nate nuove interlocuzioni: da una parte quella con il settore privato e le imprese, dall’altra con le diaspore e le collettività straniere in Italia. Èemersa una nuova coscienza: per aiutare davvero l’Africa, occorre fare in modo che vi si creino opportunità di lavoro. In altre parole: per sfuggire allo poverty trap l’Africa deve produrre. Qui si connettono gli interessi della cooperazione con quelli del nostro settore privato (specie le PMI): creare lavoro in Africa e internazionalizzazione delle imprese sono due aspetti che possono andare insieme facendo saltare i vecchi steccati ideologici che dividevano ONG e imprese. Aiutarli a casa loro ed aiutarsi assieme. Il difficile negoziato a Bruxelles sugli investimenti per lo sviluppo ne è la prova concreta con la nascita dell’External Investment Plan, un’idea italiana. In altre parole: non bastano gli aiuti, servono investimenti. Abbiamo riempito un vuoto di idee con un pensiero. Le risorse in più potranno funzionare perché abbiamo rimesso in movimento idee, riflettendo su come l’Italia potesse fare la sua parte per rispondere efficacemente alle sfide della povertà, delle diseguaglianze, della sicurezza e della pace. I tempi non sono facili e i venti della xenofobia soffiano in Europa e anche nel nostro paese. Ma siamo convinti che cooperare sia la cosa migliore da fare: porta in sé lo “spirito unitivo” di cui parlava La Pira.
Per la destra la questione migratoria è solo una polemica per meri fini interni
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Conferenza nazionale della
cooperazione allo sviluppo. Il promo
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In redazioneCarla Attianese, Patrizio Bagazzini,Stefano Cagelli, Maddalena Carlino, Roberto Corvesi, Francesco Gerace,Silvia Gernini, Stefano Minnucci,Agnese Rapicetta, Beatrice Rutilonidemocratica@partitodemocratico.itPD BobSocietà editrice:Democratica srl Via Sant’Andrea delle Fratte 16 – 00187 Romawww.democratica.comwww.partitodemocratico.itPer ricevereDemocratica: scrivi su Whatsapp a 348 640 9037oppure vai sul messenger Facebookall’indirizzom.me/partitodemocratico.it DirettoreAndrea RomanoVicedirettoreMario Lavia
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