Della Redazione Di Democratica
n. 105 Mercoledì 17 gennaio 2018
“Io mi rifiuto di essere la parte dell’accusa. Io rappresento lo Stato e lo Stato
è anche Marco Cappato”. (La pm Tiziana Siciliano al processo Dj Fabo)
“
L’EDITORIALE
Contro l’uso politico
della rabbia
Pierluigi Castagnetti
In questo novantanovesimo anniversario dell’appello “Ai liberi e forti”, Matteo Renzi parteciperà, come hanno fatto tutti i suoi predecessori a partire da Veltroni, all’annuale convegno che il Partito democratico assieme all’Associazione “I Popolari” organizza a Caltagirone, la città di Luigi Sturzo.
È questa l’occasione per rendere omaggio al grande studioso e uomo politico, fondatore della tradizione del cattolicesimo politico, che ha preceduto quella che siamo soliti definire del “cattolicesimo democratico”, che tanto ruolo ha avuto nella storia del Novecento, come gli venne riconosciuto da personalità di tradizione laica quali Piero Gobetti e Antonio Gramsci.
Sturzo dette vita, infatti, al primo partito aconfessionale seppur a ispirazione cristiana, nel 1919, avendone gettato le basi ben quindici anni prima nel famoso “discorso di Caltagirone”. Ha scritto oltre sessanta titoli, alcuni dei quali sono ancora adottati in università statunitensi nella quali lui stesso ha insegnato, e, anche per questo, possiamo dire che continua ad esser una miniera di riflessioni e suggestioni, interessanti anche per questo nostro tempo, pur consapevoli che i cambiamenti intervenuti nella storia del mondo e l’adozione da parte della politica di nuovi paradigmi impongono pensieri nuovi. In questa sede non c’è lo spazio se non per evocare un paio delle sue suggestioni che mostrano una certa attualità: “C’è chi pensa che la politica sia un’arte che si apprende senza preparazione, si esercita senza competenza, si attua con furberia. È anche opinione diffusa che alla politica non si applichi la morale comune e si parla spesso di due morali, quella dei rapporti privati, e l’altra (che non sarebbe morale né moralizzabile) della vita pubblica.
Ora lavoro
sicuro
Dopo la tragedia di Milano Indispensabile
rafforzare ulteriormente i controlli a difesa
della salute e dell’incolumità dei lavoratori
A PAGINA 2
SEGUE A PAGINA 5
PARTITO DEMOCRATICO
NAPOLI E LE BABY GANG
FAKE NEWS
Liste europee, sintonia con Ciudadanos
Adesso si muove anche l’Europa
Più forze dell’ordine
e interventi sociali
ALLE PAGINE 6-7
A PAGINA 4
A PAGINA 3
Lavoro
Il terribile incidente della fabbrica milanese
Tre morti e tre intossicati, uno dei quali in gravissime condizioni. Questo il bilancio del “terribile l’incidente”, come l’ha definito il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, avvenuto ieri pomeriggio nella ditta di materiali ferrosi in via Rho, a Milano. L’azienda “Lamina” ha un forno che si trova a due metri sotto il livello stradale, che viene utilizzato per la fusione di materiale ad altissime temperature.
Durante le operazioni di manutenzione al forno nell’azienda, hanno perso la vita Marco Santamaria di 43 anni, Giuseppe Setzu, di 49, Arrigo Barbieri di 58. L’unico sopravvissuto è Giancarlo Barbieri, di 62 anni, fratello di Arrigo, che resta ricoverato in condizioni disperate. Migliorano invece quelle di Alfonso Giocondo di 48 anni e Costantino Giampiero di 45, i due colleghi che hanno dato l’allarme, intossicati in misura meno grave nel tentativo di salvare gli altri dipendenti.
La Procura di Milano indaga ora con l’ipotesi di omicidio colposo plurimo. Come atto dovuto, per il sequestro della fabbrica e per gli accertamenti, verranno iscritti nel registro degli indagati il responsabile legale dell’azienda e probabilmente altre figure, come i responsabili della sicurezza.
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“Lavoro è prima di tutto sicurezza”. Parla Boccuzzi
“Ricordo sempre che l’articolo 41 della nostra Costituzione, accanto alla libertà di impresa privata, sottolinea che essa «non può svolgersi… in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana»”. Con Antonio Boccuzzi, deputato torinese del Partito Democratico e impegnato da anni sui temi della sicurezza sul lavoro (anche come superstite della tragedia che nel dicembre 2007 costò la vita a sette operai della Thyssen), commentiamo l’incidente che ieri ha ucciso tre lavoratori della Lamina di Milano. Partendo dalle leggi che la sinistra italiana ha realizzato in questi anni con l’obiettivo di aumentare la sicurezza sul lavoro.
“Il punto di partenza fondamentale è la legge 81 del 2008, voluta dal Governo Prodi anche come risposta alla strage della Thyssen e varata dalle Camere ormai sciolte come ultimo atto di quella legislatura. Un passaggio fondamentale, secondo molto osservatori la migliore legge europea in materia, che dopo decenni dava finalmente all’Italia un testo unico sulla sicurezza e la salute dei lavoratori. In questi ultimi anni i governi Renzi e Gentiloni hanno proseguito nell’impegno, con alcuni importanti passaggi. Penso alla Legge Martina-Orlando contro il caporalato, così come ricordo che con il Jobs Act è stato introdotto l’Ispettorato Nazionale del Lavoro: un’intuizione che ha permesso di unire gli ispettori dell’Inps, dell’Inail e del Ministero del Lavoro razionalizzandone le funzioni. I risultati si sono visti. Lo scorso anno, su 150.000 controlli effettuati dalla nuova struttura, sono stati individuati 43.792 lavoratori in nero e 4.400 casi di caporalato con sanzioni per circa 25 milioni di euro. Controlli più efficienti e numerosi, insieme ad una legge che colpisce un fenomeno di nuova schiavitù che non è presente solo al Sud (come talvolta si immagina). Più di recente, la Legge di Stabilità ha introdotto l’obbligo di tracciabilità per il pagamento degli stipendi: un provvedimento solo apparentemente tecnico, ma che in realtà rafforza la tutela della sicurezza e della dignità sui luoghi di lavoro”
Eppure di lavoro si continua a morire. Appare indispensabile riflettere sui passi in più che restano da fare, anche guardando alla prossima legislatura.
“Sì, resta ancora molto da fare sia per migliorare le leggi sia per rendere più efficaci i controlli e la prevenzione. Innanzitutto dobbiamo sbrigarci a chiudere tutti i decreti attuativi della legge 81 (solo nel 2016, ad esempio, abbiamo approvato il decreto che introduce il Sistema informativo nazionale per la prevenzione sui luoghi di lavoro). Quella stessa legge ha bisogno di un tagliando, dopo dieci anni, nel senso di una semplificazione che non può in alcun modo diventare un alibi per indebolirne la forza. Abbiamo già visto il modo in cui la destra ha ridotto le tutele sulla sicurezza: penso ad esempio al decreto 106 del 2009 con cui l’allora ministro del Lavoro Sacconi finì per indebolire l’impianto sanzionatorio della legge e la stessa tutela dei lavoratori. Oggi si può immaginare una semplificazione, ma certamente senza ridurre la responsabilità in primis del datore di lavoro. Un altro fronte è quello della formazione e informazione dei lavoratori, che devono aver chiaro che al centro del lavoro deve esserci sempre l’incolumità del lavoratore. Infine serve un potenziamento dell’Ispettorato nato con il Jobs Act, che ha bisogno di un coordinamento ancora maggiore e di nuove risorse. Perché al fondo delle nostre battaglie per il lavoro c’è sempre la ricerca di più sicurezza e più tutele, come insegna la nostra storia. Una storia ben raccontata dalla vita del più grande sindacalista italiano, quel Giuseppe Di Vittorio che decise di impegnarsi nella tutela dei lavoratori dopo la morte sul lavoro di suo padre: il risarcimento che la famiglia ricevette da quello che allora chiamavo “padrone” fu di due sacchi di fave. Ecco, lavoro e tutela della sicurezza vanno ancora insieme”.
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Occorre potenziare
l’Ispettorato nato con il
Jobs Act, a partire dalle risorse
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Sicurezza
Più forze dell’ordine
e interventi sociali. Ecco
la ricetta Minniti contro le gang
Cento uomini in più sul territorio ed educatori di strada contro l’abbandono scolastico
Cento uomini in più sul territorio, più controlli e tolleranza zero sui motorini fuorilegge. Queste le prime misure – dopo un vertice durato più di tre ore a Napoli – per arginare quella che il ministro dell’Interno Marco Minniti ha definito “una violenza nichilista” che colpisce “in modo casuale”, ma che è caratterizzata da “modalità terroristiche”. Quello delle baby gang è un fenomeno difficile da controllare perché spesso vede protagonisti ragazzi con meno di 14 anni, quindi non punibili. “La prima questione è il controllo del territorio”, ha spiegato Minniti dopo il vertice; le zone sotto i riflettori sono soprattutto quelle della movida. Ma serve anche una rete più organizzata: “L’idea – ha detto Minniti – è di avere dieci distretti di polizia, così da avere un responsabile del distretto in contatto con le municipalità. Ci muoveremo per rafforzarla direttamente dal ministero ed è importante che il presidente della municipalità possa parlare con il responsabile della pubblica sicurezza”.
Oltre alla sicurezza, la proposta, in collaborazione con il tribunale dei minori, di togliere la patria potestà ai genitori coinvolti in reati come mafia e camorra. “Vogliamo sottrarre – ha detto il ministro – questi ragazzi ai modelli negativi e all’istruzione alla violenza cui sono assoggettati. È un aspetto molto delicato, ma lavoreremo anche su questo”.
Ma la vigilanza non basta. A queste misure va affiancato un intervento di tipo sociale ed educativo, dal momento che si parla di minori, la fascia più a rischio in Campania. Per questo il piano del governo è quello di un maggiore impegno nel contrasto all’abbandono scolastico – che in alcune zone di Napoli già sta dando buoni risultati – e investire sugli educatori di strada per i quartieri periferici.
A Napoli Minniti ha incontrato anche Arturo, il ragazzino ferito alla gola, e i ragazzi di Pomigliano d’Arco, tutti vittime della violenza del branco. “E ho mandato un affettuoso saluto a Gaetano e sua mamma Stella”, ha detto il ministro, parlando del 15enne aggredito a Chiaiano. Per tutti loro oggi Napoli si è mobilitata di nuovo per dire “basta” alla violenza con una manifestazione da Scampia a Chiaiano.
Sulle indagini legate a questi casi di violenza, il ministro è ottimista: “Possiamo dire di essere sulla buona strada o di aver già individuato i responsabili delle violenze inaccettabili di questi giorni a Napoli”.
Ma di fronte a questi fatti è necessaria la collaborazione di tutta la società, in particolare attraverso la denuncia, come ha dimostrato la manifestazione delle mamme che “ha consentito che altri prendessero coscienza della vicenda”, ha evidenziato Minniti. Per questo per il ministro è necessario “spingere di più sulla collaborazione e spiegare ai nostri ragazzi, alle nostre figtlie e ai nostri figli che girarsi dall’altra parte di fronte a un episodio di violenza è qualcosa che non ferisce gli altri, ferisce loro stessi”.
Silvia Gernini
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La vigilanza non basta.
Va affiancato
un intervento sociale
ed educativo
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Il ministro a Empoli, terra antifascista
La determinazione e lo spirito di sacrificio caratterizzano gli empolani da sempre. La storia ci mostra che quella popolazione l’antifascismo ce l’ha nelle vene, da sempre. Già negli anni ’20 del Novecento, un gruppo di socialisti aveva costituito la guardia rossa per contrastare la presenza dei fascisti sul territorio. E negli anni della Resistenza Empoli dimostrò più volte di non tollerare l’ingerenza nazifascista. Nel 1943 i giovani empolesi si rifiutarono di presentarsi al Comando militare di zona per formare un nuovo esercito fascista. Nel ’44 vennero organizzate le formazioni che successivamente avrebbero portato avanti la lotta partigiana nei boschi vicino alla città. E come non ricordare anche le donne della città che reagirono al rastrellamento, reclamando alla sede del fascio il rientro dei loro cari. E oggi finalmente è arrivato il riconoscimento che la città attendeva da anni per il valore dimostrato durante la Resistenza partigiana. L’onorificenza è stata consegnata dal ministro dell’Interno Minniti alla sindaca Brenda Barnini di fronte alle associazioni di partigiani, ex deportati ed ex combattenti e a centinaia di studenti. “Quando da ragazzo cominciai a fare politica a Reggio Calabria – ha detto Minniti – guardavo a Empoli e alla Valdelsa come a terre esemplari per la forza dei valori di antifascismo, libertà e democrazia. Se mi avessero detto allora che un giorno, da ministro dell’Interno, avrei consegnato la medaglia d’oro al valor civile a Empoli, non ci avrei creduto. Per questo provo oggi un’emozione straordinaria. E vi ringrazio”.
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Focus Politica
Il Pd ha investito più di tutti nella scuola
Abbiamo preso un impegno: fare una campagna elettorale sulla realtà, non sulle chiacchiere o sulle promesse.
E mostrare ogni giorno una differenza con gli altri partiti
Oggi Di Maio dice che se vincono loro smantelleranno “la legge sulla buona scuola perché che non ha nulla di buono”.
Prendiamo sul serio Di Maio, non sottovalutiamolo.
Ci sono 132 mila insegnanti che erano precari, che noi abbiamo assunto e che tornerebbero a fare i precari.
Ci sono gli aumenti previsti sia dal rinnovo del contratto che dalla Card Docenti che loro considerano mancia elettorale ma che per noi sono importanti.
Ci sono gli investimenti sull’edilizia scolastica che sfiorano i dieci miliardi di euro e superano i livelli degli ultimi 30 anni.
Ci sono le novità come la scuola digitale o l’alternanza scuola lavoro che aprono il futuro per i nostri ragazzi.
Ci sono 700 milioni in tre anni per la scuola dell’infanzia, la Zero-Sei.
Tutto questo verrebbe cancellato, anzi smantellato.
Per ripartire da capo e non si capisce bene con quali soldi visto che solo per coprire altre proposte a Cinque Stelle come reddito di cittadinanza e pensioni occorrono quasi 100 miliardi di euro. Ma davvero pensano che nessuno sappia fare due conti?
Ok, l’algoritmo per i docenti del sud non ha funzionato come avremmo voluto, è vero. Ma quanto abbiamo investito noi nella scuola non lo aveva mai fatto nessuno.
Vogliamo parlare di futuro? Ci siamo, a cominciare dal tempo pieno al Sud. Ma smantellare tutto ciò che è stato fatto sulla scuola perché lo abbiamo fatto noi è una scelta che fa male alla scuola e che fa male all’Italia.
Qualcuno può smentirci, nel merito e non con gli slogan?
Matteo Renzi
Liste europee, sintonia con Ciudadanos per riformare l’Ue
L’incontro fra Renzi e il leader della formazione centrista spagnola, convergenze sulla riforma dell’Unione europea
Ieri il segretario del Partito democratico Matteo Renzi ha incontrato a Roma Albert Rivera, il leader di Ciudadanos, la nuova formazione politica spagnola convintamente anti-secessionista e primo partito alle ultime regionali in Catalogna.
Nel loro pranzo di lavoro, Renzi e Rivera hanno parlato di Europa, ma soprattutto della possibilità di dare vita a liste elettorali paneuropee per le elezioni del Parlamento di Strasburgo nel 2019. Un progetto, quest’ultimo, nato con Sandro Gozi alla sottosegreteria degli Affari Europei nel governo Renzi, e che oggi sta andando avanti con il governo Gentiloni, tanto da diventare uno dei temi affrontati nel Trattato del Quirinale Italia-Francia che si è svolto due giorni fa a Roma.
Nel pieno della campagna elettorale contro M5s e Lega per le elezioni 2018, si è parlato poi di populismi e nazionalismi. Su questo tema, entrambi i leader hanno affrontato la necessità di condividere valori e cultura europei e difendere i diritti umani all’interno dell’Ue.
Infine si è parlato dell’interesse di entrambi di unire Spagna e Italia all’asse franco-tedesco, al fine di rifondare e migliorare il progetto europeo.
Dato che lo stesso presidente francese Emmanuel Macron ha detto più volte di voler comporre un asse europeista e liberale capace di opporsi quello anti europeista e protezionista. Anche in ottica delle politiche sull’immigrazione, dato finora il governo di Rajoy non ha mai fatto sponda con l’Italia sulla questione cruciale dei migranti provenienti dall’Africa.
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Cpl Concordia, un’altra sconfitta per Woodcock
Assolto da corruzione l’ex sindaco di Ischia, Giosi Ferrandino, che dichiara: “Ho visto in anticipo il metodo Consip”
Non c’è stata alcuna corruzione. A distanza di due anni il processo su Giosi Ferrandino si è concluso con la sua assoluzione completa: l’ex Sindaco di Ischia esce dalla vicenda basata sui presunti illeciti negli appalti per la metanizzazione dell’isola assegnati alla Cpl Concordia. L’inchiesta era stata presentata nel 2015 come uno dei più grandi scandali di corruzione del Paese e tra i pm che l’hanno condotta c’era anche Henry John Woodcock, l’autore di tante inchieste finite poi in un nulla di fatto. Assolto anche l’altro imputato, Silvano Arcamone, ex dirigente comunale.
La vicenda Cpl ha diversi punti di contatto con l’inchiesta Consip, tanto che lo stesso Ferrandino in un’intervista al Foglio ha detto di aver “visto in anticipo il metodo Consip”. Anche nel caso Cpl, la procura di Napoli aveva affidato le indagini al capitano Gianpaolo Scafarto, indagato a Roma per falso e depistaggio. Nell’inchiesta, poi, l’informativa parlava anche di una intercettazione nella quale un indagato avrebbe pronunciato parole che, però, nel registro dello stesso audio non compaiono mai.
Quando usci l’inchiesta, politica e media amplificarono molto la vicenda, mescolando diverse accuse (tutte da verificare) e descrivendo un degrado che oggi viene smentito dalla sentenza del tribunale di Napoli. “Chi non ricorda – fa notare ad esempio il sindaco di Forio, Francesco Del Deo – i servizi giornalistici realizzati da trasmissioni Rai come ‘Presa Diretta’ che gettarono fango su tutta la società isolana o ancora riviste e giornali che alimentarono una macchina del fango di proporzioni gigantesche”.
Fra i messaggi di congratulazioni a Ferrandino è arrivato anche quello del segretario nazionale del Pd Matteo Renzi: “Giosi Ferrandino, Pd, già sindaco di Ischia è stato assolto nel processo per corruzione su ‘CPL Concordia’. Di questa vicenda si è parlato molto in passato. Si parlerà poco domani sui giornali perché è assoluzione. Ma si parlerà a lungo nei prossimi anni: è una vicenda enorme…”.
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Verso il 4 marzo
Contro
l’uso politico
della rabbia.
Ricordando Sturzo
Pierluigi Castagnetti
Segue dalla prima
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La mia esperienza lunga e penosa mi fa concepire la politica come satura di eticità, ispirata all’amore del prossimo, resa nobile dalla finalità del bene comune. Per entrare in tale convinzione, occorre essere educato al senso di responsabilità, avere forte carattere pur con le più gentili maniere, e non cedere mai alle pressioni indebite e alle suadenti lusinghe di essere indotto ad operare contro coscienza”.
La sua straordinaria esperienza internazionale, durante il periodo dell’esilio a Londra, Parigi, e New York, lo ha poi aiutato a maturare una competenza notevole sul piano delle politiche europeistiche e internazionali in genere, con una visione molto interessante anche per l’oggi: “Ha un certo peso il fatto del Mediterraneo come epicentro europeo e centro internazionale di decisiva importanza. Guardando la storia si noterà che questo mare è stato sempre decisivo nelle vicende umane anche quando, dopo la scoperta dell’America, sembrò che per secoli avesse perduto un suo antico ruolo. Chi avrebbe detto nel 1939 che la guerra scatenata da Hitler sarebbe stata risolta nel Mediterraneo? Ebbene, guerre e paci, sviluppo di civiltà e creazioni di ricchezze, si concentrano qui, e noi sudeuropei ne siamo testimoni, attivi o passivi, partecipi e anche vittime, secondo le grandi e piccole vicende storiche”. Bastano questi due frammenti a narrare la sua concezione della politica come attività che richiede disciplina, rigore e competenza.
Quest’anno discuteremo di un confronto fra due termini che hanno la stessa radice linguistica ma che esprimono valori semplicemente opposti: popolarismo e populismo.
Il popolarismo infatti allude a una tradizione culturale e politica che pone al centro il popolo come soggetto originario – così come lo è la persona -, legittimato ad esprimere la rappresentanza e a gestire la responsabilità della politica. Purtroppo questo concetto di popolo oggi non è presente nel dibattitto politico, perché siamo diventati più popolazione che popolo, cioè un aggregato di individui che ragionano al singolare avendo smarrito la dimensione plurale tipica di una comunità. Eppure il popolo non solo ha una sua soggettività attiva, ma anche una forza di contenimento, rappresenta insieme il controllo e il limite del potere e, dunque, è soggetto irrinunciabile nella vita democratica.
Il passaggio dalla nozione di popolo a quella di popolazione illustra bene la differenza fra popolarismo e populismo. Nella storia della nostra Repubblica c’è stato un altro momento, nell’immediato secondo dopoguerra, in cui di fronte alle inevitabili difficoltà soprattutto economiche qualcuno ha sfruttato il malessere e la rabbia dei cittadini nel tentativo di costruirne un fatto politico, con il movimento dell’ “Uomo Qualunque”, durato l’espace d’un matin, cioè di un solo passaggio elettorale, perché la politica in modo distinto e convergente ha subito reagito recuperando lo spazio della sua responsabilità.
Oggi invece l’uso politico della rabbia popolare, senza lo sforzo di approfondirne le cause per poterle meglio aggredire, sta trasformando sia la modalità del fare politica che quella del competere in politica. Non ci sono più le “banche dell’ira” (così le ha chiamate Peter Sloterdijk), cioè i grandi partiti popolari e le stesse chiese, che permettevano di stoccare i sentimenti di rabbia, rancore e rivalsa, promettendone una soddisfazione differita e, dunque, è diventato normale maneggiare con disinvoltura questi sentimenti senza incanalarli nel solco della responsabilità politica, e può portare a ferite profonde nella convivenza civile proprio quando si dovrebbe avvertire un maggiore senso responsabilità, verso se stessi e verso il proprio futuro.
Parlare di questi temi in un tempo difficile come l’attuale, in un territorio segnato da gravi questioni come la Sicilia, misura il senso di responsabilità che una forza politica sente di avere soprattutto nei confronti delle nuove generazioni a cui va parlato il linguaggio del coraggio e dell’onestà.
Sturzo
e la distanza che separa la ricchezza del popolarismo
dal vuoto populista
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Pensieri e parole
La guerra contro
la disinformazione
in Rete sbarca in Europa
La battaglia contro le fake news approda anche in Europa. Dopo il dilagare, nei mesi scorsi, di voci su possibili interferenze delle bufale diffuse ad arte sulla Rete in processi democratici di importanza cruciale come le elezioni americane e il referendum sulla Brexit, le orecchie ai commissari dell’Unione europea devono essere fischiate forte, fino alla decisione di istituire, qualche giorno fa, il Gruppo di Alto Livello per lotta alle notizie false e alla disinformazione online.
Una scelta nella quale il nostro Paese è in prima linea, dal momento che la spinta decisiva per una istituzione rapida della task force, è stato l’allarme di possibili ingerenze russe nelle prossime elezioni politiche del 4 marzo. Forse anche per questo non è un caso che su 39 membri del gruppo, sono ben 4 gli esperti italiani coinvolti, e cioè i giornalisti Gianni Riotta e Federico Fubini, Oreste Pollicino, docente alla Bocconi, e Gina Nieri, dirigente Mediaset.
“Le fake news non sono un’invenzione, ma un reale pericolo per le nostre democrazie – spiega a Democratica Sandro Gozi, sottosegretario del Governo italiano con delega agli affari europei -. Un tema talmente sentito che anche la Commissione europea ha deciso finalmente di investirci. Fin dalla prima discussione in un Consiglio Affari Generali di qualche mese fa, ho fortemente sostenuto la proposta della Commissione di investire su questo, dunque il Governo italiano è tra quelli che più hanno spinto in questa direzione”.
Compito del Gruppo di Alto Livello, ha fatto sapere la commissaria europea al Digitale Mariya Gabriel, al termine della prima riunione di due giorni fa a Bruxelles, sarà quello di “elaborare meccanismi per identificare le false informazioni e limitare la loro circolazione”, ma anche “favorire la trasparenza, la differenziazione e la credibilità delle fonti di informazioni”.
Per la commissaria Gabriel “le fake news si stanno diffondendo a un ritmo preoccupante, al punto da minacciare il benessere delle nostre democrazie e i valori democratici. Per questo è necessario compiere uno sforzo collettivo contro le informazioni false”.
Il principale obiettivo che si è dato la task force, presieduta dalla professoressa Madeleine de Cock Buning, docente dell’università di Utrecht specializzata in Proprietà intellettuale, e composta da rappresentanti della società civile, delle piattaforme social, delle aziende editoriali, da giornalisti e accademici, sarà quello di presentare entro aprile una strategia per contrastare il fenomeno ‘fake news’.
L’istituzione del Gruppo arriva, tra l’altro, dopo che anche il Parlamento europeo si era mosso, con il voto dello scorso dicembre che, nell’ambito della Relazione annuale sull’attuazione della Politica estera e di sicurezza comune, richiamava l’impegno della Commissione europea e degli Stati membri a combattere le notizie false e a “consolidare ulteriormente la capacità dell’Ue e dei suoi paesi partner di contrastare le notizie false e la disinformazione ed elaborare criteri chiari che rendano più agevole il riconoscimento delle notizie false”. Una posizione che, è bene ricordarlo, aveva visto il voto contrario del M5S.
“Come Parlamento ci siamo impegnati fin dall’inizio per porre all’attenzione il tema delle fake news – spiega a Democratica Nicola Danti, eurodeputato del Pd e incaricato della partita sul digitale in commissione Mercato Interno-, per questo salutiamo con soddisfazione che sia stato posto tra le priorità della Commissione, e che ci sia in animo di proporre delle linee guida per gli Stati membri. Da parte nostra, continueremo a vigilare, soprattutto sull’atteggiamento delle forze contrarie a simili misure”.
“Del resto – prosegue Danti nel ragionamento -, se c’è un tratto comune è che le fake news vanno a sostenere e finanziare tutti i movimenti antieuropeisti. È bene ricordare che non c’è un tema ‘fake news’ in generale, perché la sola disinformazione politica che gira è quella sponsorizzata da chi è fortemente contro l’Europa”.
Carla Attianese
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L’Ue contro le fake news,
ma M5S vota contro
Il Movimento 5 stelle, anche in Europa, si conferma come una forza che non ha alcun interesse a combattere le fake news.
Nel voto del Parlamento europeo dello scorso 13 dicembre, con il quale si richiamava l’impegno della Commissione Ue e degli Stati membri a combattere le notizie false, i grillini hanno votato contro.
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Pensieri e parole
Intervista aStefano Quintarelli
“Contro la viralità delle fake news
più concorrenza per i social network”
“È giusto che l’Unione europea si muova, con l’aiuto di esperti, per conoscere meglio un fenomeno come quello delle fake news”.
A parlare con Democratica è Stefano Quintarelli, esperto di informatica e deputato dal 2013, autore con Giovanni Pitruzzella e Oreste Pollicino, chiamato dalla commissione europea a far parte della task force contro le fake news, del libro “Parole e potere – Libertà di espressione, hate speech e fake news”.
Dunque l’iniziativa della Commissione europea sarà utile nella guerra alle bufale in Rete?
Qualunque iniziativa tesa ad approfondire un tema è utile, e dunque reputo importante l’iniziativa della Commissione. È giusto conoscere e poi, certo, sviluppare strategie. Vedremo se la task force giudicherà possibile la compilazione di linee guida, io credo che si possa fare.
Quali crede potranno essere queste linee guida?
Il pluralismo è di base una cosa positiva, dunque il fatto che esista, di fatto, un solo social network, non è un bene. La strategia di lungo periodo dovrebbe prevedere più concorrenza nell’ambito dei social network, perché siamo di fatto in presenza di un monopolio, visto che Facebook è anche Instagram, Whatsapp e via dicendo. Sarebbe bene invece favorire un regime di concorrenza, perché frammentando le informazioni si riduce la velocità di circolazione, allargando la finestra di tempo utilizzabile per fare controinformazione positiva.
Introdurre più concorrenza con quali strumenti?
Si può introdurre in modo analogo a quanto fatto nella telefonia, dove il mercato è aumentato. Questo aiuterebbe a limitare la velocità di propagazione, perché le bufale sono sempre esistite, il problema oggi è il loro effetto virale.
Quali altri misure si potrebbero adottare?
Un secondo aspetto riguarda gli algoritmi di suggerimento dei contenuti. La direttiva sull’e-commerce dell’Unione europea stabilisce che un intermediario della società dell’informazione non ha responsabilità editoriale, ma quelle regole sono del 2003, quando i social network non esistevano. Il fatto che oggi a fare raccomandazioni sul contenuto da visualizzare sia un algoritmo non è una garanzia sufficiente a non parlare di responsabilità editoriale, visto che fa delle scelte come, ad esempio, dare priorità a contenuti che promuovono l’anoressia. A monte c’è sempre qualcuno che decide, e infatti Facebook sta tornando indietro a un’informazione più simile ai forum di qualche anno fa. Ma io dico: nel momento in cui introduci un algoritmo che decide di promuovere determinati contenuti, non sei più una parte neutrale.
Dunque va introdotta la responsabilità dell’intermediario?
Occorre definire che l’assenza di un intervento umano di per sé non è sufficiente a garantire l’esenzione di responsabilità editoriale. Non è detto però serva una nuova legge, basterebbe ad esempio il pronunciamento della Corte di Giustizia europea.
Nel libro scritto con il professor Pollicino parlate di come conciliare la libertà di espressione con il diritto a una informazione corretta. Quale può essere la soluzione?
Non possiamo consentire che la decisione su cosa sia visibile sia presa da un privato. Ad esempio, se pubblico una parodia, questa deve essere tutelata senza incappare nel rischio di fraintendimento.
Nella parte finale del libro faccio una proposta: serve un meccanismo che consenta a chi scrive un contenuto di fare in modo che quel contenuto non venga rimosso, assumendosene però la responsabilità sul piano giudiziale. D’altra parte c’è un problema legato alla tutela dell’anonimato, devo cioè minimizzare il rischio di ritorsione con l’anonimato protetto. Già simili misure, da sole, pulirebbero la Rete da tanta spazzatura.
Vede un rischio di ingerenza delle fake news nelle elezioni del 4 marzo?
Non c’è dubbio che la comunicazione interferisca sugli orientamenti di voto, ma non è un fenomeno limitato solo alla Rete. La tv la fa ancora da padrone e anche lì si dicono una marea di fake news e fake opinion, che dette in Tv sono caricate anche di un livello di reputazione maggiore. Il tema delle fake news c’è da sempre, al massimo si può mitigare, ma bisognerebbe mitigarlo anche off line.
C.A.
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Facebooksta costruendo una task force italianaper impedire che le sue reti sociali vengano usate per distorcere la campagna elettorale del 4 marzo con massicce infiltrazioni di notizie false.
L’ex ambasciatore statunitense in Russia, Michael McFaul, ha affermato che il voto a favore della Brexit è stato “una vittoria gigantesca per gli obiettivi di politica estera di Putin”.
Dal 2015 la East StratCom, la task force messa in piedi dalla Ue per andare a caccia di bufale made in Russia, ha catalogato 3.300 false notizie diffuse in 18 lingue.
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In redazioneCarla Attianese, Patrizio Bagazzini,Stefano Cagelli, Maddalena Carlino, Roberto Corvesi, Francesco Gerace,Silvia Gernini, Stefano Minnucci,Agnese Rapicetta, Beatrice Rutilonidemocratica@partitodemocratico.itPD BobSocietà editrice:Democratica srl Via Sant’Andrea delle Fratte 16 – 00187 Romawww.democratica.comwww.partitodemocratico.itPer ricevereDemocratica: scrivi su Whatsapp a 348 640 9037oppure vai sul messenger Facebookall’indirizzom.me/partitodemocratico.it DirettoreAndrea RomanoVicedirettoreMario Lavia
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