Democratica/Mente: IN CHE SENSO!!!
11 Dicembre 2017
Comitato Paralimpico Del Molise: Celebrata La Festa Del Tennis Molisano 2017
11 Dicembre 2017
Mostra tutto

Democratica

Della Redazione Di Democratica

n. 88 lunedì 11 dicembre 2017
“Si ascoltino le donne che denunciano molestie, anche se accusano Trump” (Nikki Haley, ambasciatrice americana all’Onu)
Bruxelles, meno tasse
Al via la campagna elettorale. L’impegno
del Pd per più flessibilità in Europa e meno pressione fiscale in Italia
ALLE PAGINE 2-3
IL COLLOQUIO
PARTITO DEMOCRATICO
C’era una volta
Sabato a Reggio Emilia
la (hard) Brexit
la squadra in campo
A PAGINA 5
A PAGINA 7
L’EDITORIALE / 1


Le potenze straniere dietro le fake news
Salvatore Vassallo
L’ L’ atto di accusa di Joe Biden va ben oltre i riferimenti al referendum costituzionale italiano. Mette nero su bianco, con il peso dell’ex vice di Barack Obama, un problema geopolitico di prima grandezza, che in realtà finora non ha visto solo chi non voleva vedere. «Il governo russo sta sfacciatamente assaltando le fondamenta della democrazia occidentale in tutto il mondo. Sotto il Presidente Vladimir Putin, il Cremlino ha lanciato un attacco coordinato attraverso molti strumenti – militare, politico, economico, informativo – utilizzando una varietà di mezzi, in modo palese e segreto». Ha invaso Georgia e Ucraina per evitare che si avvicinassero alla Nato. Ma «in maniera più frequente e insidiosa, ha cercato di indebolire e sovvertire le democrazie occidentali dall’interno usando come armi le informazioni, la rete, l’energia e la corruzione». Non stiamo parlando solo della disinformazione teleguidata sui social network. Il capitalismo di Stato rende Putin particolarmente influente nei confronti sia degli oligarchi russi che fanno affari in Europa sia delle compagnie europee che beneficiano in Russia della sua benevolenza. Gli uni e le altre diventano quindi potenziali canali di finanziamento per attività politiche benviste dal Cremlino. E «un bel po’ dei loro soldi è andato a candidati o movimenti antiestablishment in Europa che sostengono un partenariato più stretto con la Russia o che pubblicamente mettono in discussione il valore dell’appartenenza alla Nato o all’UE. Per il Cremlino, poco importa quale sia l’ideologia specifica di questi candidati o movimenti; l’obiettivo più importante è indebolire e dividere internamente le democrazie occidentali». SEGUE A PAGINA 2
L’EDITORIALE / 2

La nostra attenzione strategica sulla ricerca
Francesco Verducci
M M ettere Università e Ricerca al centro delle priorità. Per far crescere il Paese, per dare protagonismo alle nuove generazioni, per combattere le diseguaglianze. Nella legge di bilancio ci sono misure importanti, da cui emerge un progetto strategico.
SEGUE A PAGINA 6
Europa L’Italia è tornata a crescere, non fermiamo la corsa
Giacomo Rossi CONDIVIDI SU
La nostra proposta: Tornare per 5 anni ai parametri di Maastricht, con un rapporto deficit-Pilal2,9%
PPiù flessibilità per meno tasse e più crescita. Poche parole che riassumono una proposta concreta e insieme un progetto complesso e ambizioso che il Partito democratico intende portare fino in fondo, completando il percorso che già sotto il governo Renzi era stato avviato con successo. A partire dalla flessibilità ottenuta dall’Europa già nello scorso anno e che ha permesso all’Italia di riportare il Pil, il prodotto interno lordo, vicino al 2%.
Per questo uno dei temi fondamentali della prossima legislatura sarà la battaglia politica sulla flessibilità. Il ritorno ai parametri di Maastricht, inserito in una dinamica di riduzione del debito e di
rinnovamento delle istituzioni europee, sarà un punto chiave fondamentale per i prossimi anni. Secondo il segretario del Pd Matteo Renzi – che con questa proposta mira ad alzare il deficit fino al 2,9 per cento del PIL, sospendendo per 5 anni l’obbligo indicato dall’Unione europea per continuare a ridurlo rispetto all’attuale 2,1 per cento -vale tra i 30 e i 50 miliardi di euro. L’operazione permetterà di investire sulla crescita e contemporaneamente abbassare le tasse a chi crea lavoro e alle famiglie.
Lo scambio tra flessibilità e ridu­zione della pressione fiscale, per il Pd, non rappresenta la semplice ri­chiesta di allargare le maglie delle regole europee. Si tratta piuttosto di tracciare un nuovo tragitto an­ti-austerity, una nuova agenda di politica economica basata su nuovi investimenti per la crescita.
Una battaglia iniziata già nel 2014. Se all’inizio del governo dei mille giorni i rigoristi di Bruxelles non erano disposti a concedere nulla, dopo un duro scontro politico, durato mesi, il governo italiano è riuscito a ottenere una flessibilità (di circa 20 miliardi), fondamentale per mettere in campo nuove misure di sostegno della ripresa. Un successo politico, ha rivendicato in più occasioni Renzi, che poi a giugno del 2016, nel tentativo di rendere più strutturali gli investimenti, ha presentato un Position paper a Bruxelles (assieme a Padoan). Si trattava di una proposta condivisa da tutto il Pse per tentare di correggere l’agenda comunitaria, un documento dedicato al rafforzamento dell’Ue e delle sue politiche per la crescita.
Ora la proposta dem intende confermare la rotta intrapresa dal governo Renzi e che ha portato l’Italia fuori dal pantano. A dirlo sono i numeri: il Pil per il terzo trimestre dell’anno è cresciuto dello 0,5% rispetto al precedente. La crescita di beni e servizi prodotti in Italia nel 2017, secondo le previsioni preliminari comunicate a novembre dall’Istat, si attesta quindi a +1,8%, superiore alle previsioni. La conferma che il sistema italiano si è rimesso in moto e che ora no va frenato.
LEGGI SU DEMOCRATICA.COM
Europa
Perché le regole di Bruxelles non devono fermare la crescita
GGli stati membri dell’Ue devono rispettare una serie di obblighi nei loro bilanci pubblici. Tra questi c’è la famosa regola che vieta di fare più del tre per cento di deficit. L’obiettivo di queste regole, da una parte, è quello di evitare che i singoli stati membri intraprendano politiche di bilancio troppo sbilanciate e, dall’altra, di cercare di armonizzare le economie dell’Ue. Questo approccio però è molto poco elastico e in molti in Europa sostengono che in un periodo di crisi globale,
mantenere paletti così rigidi pos-sa creare un grosso problema per lo sviluppo. Per questo molti Pae-si europei negli anni scorsi hanno sforato i parametri di Bruxelles. L’Italia ha chiesto e ottenuto più flessibilità in cambio del raggiun-gimento di particolari obiettivi legati ai conti e alle riforme strut-turali. Obiettivi perseguiti e rag-giunti durante il governo Renzi e il governo Gentiloni. Le tappe della flessibilità conquistata??2014 – Il Governo Renzi inizia una dura battaglia in Ueper ottenere quella flessibilità che potesse dare più respiroalla crescita, in un periodo di forte depressione dell’economiaglobale2015 – In primavera Bruxelles concede la flessibilità per leriforme strutturali2016 -Viene concessa nuova flessibilità per riforme einvestimenti, a condizione che ci fossero dei progressi tangibili.La Commissione europea ha riconosciuto all’Italia un marginedi deficit in più per circa 14miliardi grazie alle clausole perinvestimenti, riforme e spese pergestire l’afflusso dei migranti piùper quelle relative alla sicurezza.2017 – L’Ue confermaconferma che “L’Italia sta vedendouna ripresa che si rafforza” e rinviaa maggio la valutazione definitivasui conti, come avvenuto anche nel2016 dopo la manovra-bis di aprile.Più flessibilità = più risorse??L’Italia potrà recuperare tra 30 e i50 miliardi di euro senza tagliarele speseSi potrà procedere ad unamassiccia riduzione delle tasse,per continuare l’operazionestrutturale iniziata nei mille giorniIl taglio delle tasse sarebberivolto in primis a chi crea lavoroe alle famiglie
Mondo
Salvatore Vassallo CONDIVIDI SU
Segue dalla prima
BBiden lo scrive in un saggio pubblicato su Foreign Affairs, tra le più importanti riviste di politica internazionale al mondo, firmato insieme a Michael Carpenter nella loro attuale veste di Presidente e Direttore del «Penn Biden Center for Diplomacy and Global Engagement», la think thank creata
dallo stesso Biden all’interno dell’Università della Pennsylva
nia. Non si tratta di gossip, ma di una analisi articolata, che
trae fondamento da fatti accertati da strutture di intelligence
non solo americane coerenti con la visione che Putin perse
gue da anni.
Con la lodevole eccezione de La Stampa, i grandi giornali
italiani hanno rapidamente spostato la notizia alla dodicesi
ma pagina, con toni dubitativi, come se fossero in gioco solo
“la sfida tra Renzi e Di Maio”. Il Corriere pare averla chiusa
con una intervista a Berlusconi, che esattamente come Tru
mp, a dispetto della montagna di prove accumulate dai ser
vizi di intelligence occidentali, rassicura tutti sulla base della
cordiale intesa che lo unisce al capo del Cremlino: il caro ami
co Putin è un tipo perbene; lui con la fabbrica delle fake news
e con i troll made in Russia non c’entra niente.
Putin ovviamente non è il motore primo delle difficoltà in
cui si dibattono le democrazie liberali. Non è stato lui a creare
Trump o i populisti europei, che si sono affermati sfruttando
un malessere reale. Ma ha un oggettivo interesse a sfruttare a
sua volta il loro successo e favorirlo. I fondamentali della sua
strategia, gli interessi sottostanti e le debolezze europee in cui
si insinua sono documentati in maniera tanto efficace quanto
preoccupante da James Kirchick in The End of Europe: Dicta
tors, Demagogues, and the Coming Dark Age (La fine dell’Euro
pa: dittatori, demagoghi e l’era buia che sta arrivando), pubbli
cato dalla Yale University Press a marzo di quest’anno.
Come ha ricordato Kirchick, la politica di Putin è ancora
oggi guidata da quanto aveva detto nel famoso discorso tenu
to alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza nel 2007. Per l’ex
ufficiale del KGB, la sconfitta sovietica nella guerra fredda e
il mondo “unipolare”, con la conseguente perdita di identità
della Russia e il netto declino della sua posizione dominante in
“Eurasia” sono ferite che devono essere rimarginate. In quel
lo stesso anno il Cremlino lanciò la sua politica revisionista
di riscrittura dei manuali scolastici per riabilitare Stalin e l’U
nione Sovietica. Allo stesso tempo, l’ideologia guida comuni
sta è stata sostituita da un nazionalismo illiberale ammantato
della difesa della «civiltà cristiana» contro le degenerazioni
libertarie europee e l’attacco dell’Islam. Accanto alla faccia-
La stabilità europea sotto attacco da potenze straniere ta di procedure elettorali democratiche, il potere di Putin si è consolidato, all’interno, attraverso l’eliminazione con vari metodi dei dissidenti, la cooptazione di altri parlamentari di opposizione, l’intimidazione dei media, la repressione delle manifestazioni di massa contro il governo. Verso l’esterno, Putin ha un oggettivo interesse ad indebolire l’Unione Eu-ropea, la quale, con l’allargamento ad Est, ha contribuito a smembrare il blocco sovietico, ed oggi costituisce un ostacolo per la riaffermazione di una egemonia russa a cavallo dei due continenti. Dunque, la Brexit, la secessione della Catalogna, l’affermazione di movimenti politici che moltiplicano sfidu-cia e risentimento verso le istituzioni, producono instabilità e impediscono il riavvio del progetto europeo su nuove basi sono benedetti. Senza una politica energetica comune, l’UE continuerà ad essere ostaggio dei gasdotti russi. Senza una forte politica co-mune di difesa, ben connessa con la Nato, sarà più facile ripe-tere interventi militari come quelli in Georgia e in Ucraina. Se il mercato comune viene messo in crisi e gli scambi intra-co-munitari dovessero crollare, per la Russia di Putin sarà più facile stabilire relazioni bilaterali asimmetriche con singoli paesi europei. Per di più, fino a due anni fa, l’Ue poteva conta-re su una sponda abbastanza solida oltre oceano. Ma nella vi-sione di Trump la sicurezza dell’Europa non è così cruciale, e anche per lui l’Ue è un inciampo. È più importante per Trump stabilire un accordo con il Cremlino sulla gestione dei conflitti e la mappa del potere in Medio Oriente. In tutto questo, la settimana scorsa, la “massima esperta” di questioni europee dei Cinque Stelle, alla domanda posta da Lilli Gruber a Otto e Mezzo su cosa voterebbe in un referen-dum sull’uscita dall’Euro convocato dal suo stesso partito, in prima battuta ha risposo che «non si dice per cosa si vota». Poi, incalzata dalla conduttrice incredula a dire cosa secondo lei sarebbe meglio per l’Italia, conclude: «veramente non lo so»! Ora, se è vero che ha interesse ad avere intorno a sé una Europa debole e confusa, per chi volete che tifi Vladimir Pu-tin? LEGGI SU DEMOCRATICA.COM È stato vice presidente degli Stati Uniti, con Barack Obama, dal 2009 al 2017. Joe Biden Michael Carpenter È stato vicesegretario assistente alla Difesa tra il 2015 e il 2017 per Russia, Ucraina, Eurasia e Balcani, direttore per la Russia al Consiglio per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca.
Mondo
Colloquio con Roberto Bertinetti??
C’era una volta la (hard) Brexit
“L’intesa premia l’Europa. Il governo britannico ha perso otto mesi per la miopia politica di Theresa May e le rigidità idologiche dei populisti”
Stefano Cagelli CONDIVIDI SU
CCerto, occorrerà attendere l’esito del negoziato vero e proprio. Ma l’intesa raggiunta tra Europa e Regno Unito, che chiude la prima parte dei negoziati per l’uscita di Londra dall’Unione, è tutto fuorché un anticipo della paventata hard Brexit. Anzi, al contrario, chi sembra trarre i maggiori vantaggi da questo primo accordo è proprio Bruxelles.
Ne è convinto Roberto Bertinetti, docente di letteratura inglese all’Università di Trieste, autore di numerosi saggi e grande esperto di politica britannica. “L’esecutivo inglese ha perso otto mesi, su un totale di ventiquattro disponibili, a causa di rigidità ideologiche. Quello
della ‘hard Brexit’ era solo uno slo-te di Belfast. Quello che oggi il prigan utile per garantirsi consenso mo ministro sbandiera in patria
interno, che non ha avuto alcun risultato in termini pratici. Il team Ue guidato da Barnier – ricorda Bertinetti – sin dall’inizio della trattativa aveva posto tre chiare condizioni prima di passare alla seconda fase”. Tre condizioni che sono state confer
mate con l’intesa dell’8 dicembre. D’altronde, osserva Bertinetti,
E’ stato chiesto, e ottenuto, che i 3,2 milioni di cittadini europei residenti in Gran Bretagna (di cui 600mila italiani) continuino a godere degli stessi identici diritti di cui hanno goduto fino ad oggi. E’ stato chiesto, e ottenuto, che Londra si faccia carico di un’ingente spesa economica per l’uscita dall’Unione. La cifra sarà definita nel tempo ma Downing Street ha confermato che si viaggia su una forbice che va dai 40 ai 45 miliardi di euro. Infine è stato chiesto, e ottenuto, che nessuna frontiera fisica venga ripristinata al confine tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, visto che l’assenza di barriere era al centro degli accordi pace del Venerdì Santo del 1998. Come questo possa succedere senza un riconoscimento formale di un status speciale dell’Ulster – con conseguente levata di scudi degli alleati unionisti di Theresa May e reazione e a catena di Scozia, Galles e della stessa Londra – è ancora
tutto da vedere. “E’ paradossale – rileva Bertinetti

che proprio Theresa May, su queste tre richieste che oggi sono la base dell’intesa, si sia detta scandalizzata per mesi e in più di una circostanza abbia fatto cenno alla possibilità di uscita unilaterale del Regno Unito, pronto a riaprire il capitolo delle ‘relazioni specialiì con Washington e con i paesi del Commonwealth, un tempo colonie dell’impero inglese”.
E invece, il vero inganno della Brexit è stato proprio questo fantomatico richiamo ad un impraticabile ritorno ai fasti dell’impero.”Si è rivelata ben presto una mera ondata populista gestita in campagna elettorale da Nigel Farage e Boris Johnson, aggravata poi dalla miopia politica di Theresa May”, che ha portato il Paese al voto anticipato, convinta
di rafforzare la sua maggioranza, e invece si è ritrovata indebolita, appesa al voto di dieci deputati del partito lealista protestan-
come un successo (l’intesa rag
giunta con Bruxelles) è invece
solo un cedimento strutturale,
che garantisce la momentanea
tenuta del governo ma nascon
de una sostanziale subalternità
di Londra nelle possibilità di condurre la trattative.
“la durezza dei numeri in campo economico deve aver fatto mutare idea alla premier e a gran parte del suo esecutivo, a dispetto dell’intransigenza di facciata”. Il campanello d’allarme suona per la caduta del Pil, da previsioni di crescita del tre per cento a poco sopra lo zero, per i redditi delle famiglie, in sostanza bloccati, per l’aumento dell’inflazione, per il crollo degli investimenti stranieri e della sterlina. “E ancora non è successo niente”, conclude Berti-netti. “Resta una domanda alla quale Theresa May e i suoi ministri non hanno ancora offerto una risposta: quale vantaggio in termini economici viene agli inglesi dalla rottura con la Ue a poco meno di mezzo secolo dall’ingresso nel mercato unico? Difficile riescano a spiegarlo nei prossimi mesi. Perché Brexit resta soprattutto una scelta ideologica. Indipendentemente dai danni che può provocare”.
LEGGI
SU DEMOCRATICA.COM
L’intesa in tre punti
I 3,2 milioni di
cittadini europei (di cui 600mila italiani) residenti nel Regno Unito continueranno a godere degli stessi diritti di cui hanno goduto fino ad oggi. I cittadini britannici residenti in Europa (circa 1,2 milioni) potranno godere delle stesse tutele.
L’uscita costerà
cara a Londra. La cifra sarà definita nel tempo ma Downing Street ha confermato che si viaggia su una forbice tra i 40 e i 45 miliardi di euro. Il conto include 10 miliardi di euro per le pensioni dei funzionari europei.
Tra Irlanda del
Nord e Repubblica d’Irlanda non verrà ripristinata alcuna frontiera fisica, come previsto dagli accordi di pace del Venerdì Santo del 1998. È tutt’ora ancora non chiaro come sia possibile che sulla stessa isola possano convivere il mercato unico europeo e il mercato chiuso britannico senza controlli al confine su persone e merci. La questione è ancora tutta da affrontare.
Nessuno è stato in grado di spiegare quali siano i vantaggi economici dell’uscita per il Regno Unito
Università??
La ricerca è la migliore risposta a paure e bugie
La centralità strategica degli interventi massicci per l’Università e la Ricerca

Francesco Verducci CONDIVIDI SU
Segue dalla prima
DDiritto allo studio, reclutamento di nuovi ricercatori, valorizzazione dei dottorandi, recupero scatti stipendiali dei docenti, stabilizzazione dei precari degli enti di ricerca e ancora al
tro. Frutto della sinergia tra il lavoro della
Ministra Fedeli e del Presidente Gentiloni e
l’iniziativa politica del Pd. A questo si aggiun
ge una misura di grande portata: lo stanzia
mento di 400 milioni per i Prin e la ricerca di
base, che pone le condizioni per un rilancio
imperniato su una programmazione nazio
nale che superi la frammentazione, sull’inte
grazione tra Università ed Enti, sul legame tra
ricerca-imprese-territori, sul presidio delle
grandi frontiere tecnologiche.
Nel nostro Paese, quando la crisi economi
ca più drammatica del dopoguerra era già ar
rivata, mentre molti Governi reagivano pun
tando su ricerca e innovazione, tra il 2009 e
il 2010 Tremonti operava tagli insostenibili
all’Università pubblica. Il combinato tra i ta
gli e le norme Gelmini hanno costretto il siste
ma ad una dura involuzione, con i forti sem
pre più forti ed i deboli sempre più deboli.
Sono diminuiti drasticamente immatricolati,
laureati, ricercatori, docenti. È aumentata in
vece la precarietà, sempre meno fisiologica e
sempre più cronica.
Nella crudezza di questi elementi, c’è l’es
senza della ‘questione universitaria’.
C’è un nesso stretto tra futuro dell’Univer
sità e futuro del Paese. Nonostante la ripresa
economica ed occupazionale, dovuta in par
ticolare alle misure redistributive del Gover
no Renzi, le ferite della crisi rimangono. Crisi
sociale e democratica. Ingigantita da politi
che sbagliate: austerità e rigorismo. C’entra
l’Università? Si. C’entrano i tagli, il definan
ziamento, la marginalizzazione dall’agenda
politica, il discredito nel discorso pubblico, la delegittimazione nel senso comune. L’Università è cittadinanza, è rimuovere gli ostacoli all’eguaglianza, allo sviluppo, alla partecipazione.
Quale Paese e quale Università vogliamo? Ristretta, selezionata sulla base del censo, concentrata solo in alcune zone? … Un modello sbagliato e dannoso, che allontana il Paese dalla sua vocazione al capitale umano e all’innovazione, che ci rende marginali in un contesto mondiale in cui le economie competono per ricerca avanzata, per qualità e capillarità di alta formazione.
Per una società di diritti e opportunità, abbiamo bisogno di un modello largo di Università, non
più parametrato su un’offer-Diritto allo studio, reclutamento dei ricercatori, più soldi per rifondare il sistema
ta angusta (per mancanza soffre di troppa esclusione, di finanziamenti), ma sul-in cui ragazzi e famiglie la domanda, sul grande sono angosciati dall’es-potenziale delle nuove sere tagliati fuori, noi generazioni (affrancan-stiamo dalla loro parte e dole dalla crisi). In cui lavoriamo per includere. la valutazione non si L’università va aperta. sostituisca alla program-Apertura e qualità vanno mazione politica, in cui i insieme. Migliorando i li-
meccanismi premiali non diventino una rendita, in cui l’autonomia si rafforzi sempre più secondo logiche virtuose e responsabili, nel quale venga riconosciuta centralità alla didattica e siano semplificati ruoli e figure. Serve un’alleanza tra politica e soggetti del settore, mettendo da parte incomprensioni, diffidenze, corporativismi. Tenendo insieme, in una visione strategica, politiche per alta formazione/industria/mercato del lavoro/ pubblica amministrazione. Dando alla politica un ruolo primario rispetto a tecnicismi che se non governati diventano conservativi e regressivi. Recuperando l’insostenibile divario territoriale. L’urgenza più grande riguarda il diritto allo studio: avere un sistema per l’accesso in linea con i Paesi più avanzati. Que
sta legislatura ha costituito uno spartiacque: i fondi per le borse sono quasi raddoppiati ed è stata introdotta la misura rivoluzionaria della ‘no tax area’, fortemente voluta dal Pd. Ma serve di più. Servono opportunità e standard uguali in tutte le regioni: vanno introdotti i livelli essenziali per le prestazioni di servizi e welfare studentesco.
Un Paese che non studia non ha strumenti, né anticorpi, né consapevolezza. È preda di irrazionalismo, paure, fake-news. L’antiscientismo attecchisce dove c’è un cattivo rapporto tra opinione pubblica e Università, la cui delegittimazione è una grande questione democratica. Sullo scarso numero di immatricolati pesa la strozzatura di chi proviene da istituti tecnici e professionali. Una barriera di ‘classe’. Serve un segmento cruciale: lauree professionalizzanti in filiera con tecnici e professionali (il Miur ha appena varato la prima, fondamentale, sperimentazione.)
Un’università più grande ha bisogno di maggiori investimenti, di certezze e continuità dei finanziamenti. E c’è un punto politico, che va affrontato. Va superata la logica del numero chiuso. In una società che
velli di accreditamento degli
Atenei e l’orientamento verso
lauree con maggiori opportunità
lavorative.
C’è una misura che, potente e strategica, è fondamentale per rifondare il sistema, per renderlo europeo, affrontando i punti cruciali di crisi (esigenze studentesche; precarietà dei ricercatori; divario territoriale): il reclutamento strutturale e continuativo di 10 mila ricercatori di tipo B in 5 anni, l’arco temporale della prossima legislatura.
Per fare di diritto allo studio, università e ricerca il luogo decisivo in cui costruire un’Italia solida, inclusiva, coesa, sicura di sé, riferimento politico e valoriale in Europa, nel Mediterraneo, nel Mondo.
LEGGI
SU DEMOCRATICA.COM
Il partito??L’obiettivo del Pd è l’Italia??Sabato 16 dicembre a Reggio Emilia??ore 10.00 – 13.00 con Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, i ministri, gli amministratori e i volontari del partito Siamo il partito che rispetta il Tricolore nato proprio a Reggio Emilia Saremo in collegamento con mille sedi del Pd sul territorio per chiedere a tutti quelli che credono in questa sfida di mettersi in gioco.È tempo di partire??
#OreNove#terrazzaPD Facebook??Twitter??Instagram??Social??in diretta su Facebook e Youtube??
democratica@partitodemocratico.it
Per ricevere Democratica:
www.democratica.com
scrivi su Whatsapp
www.partitodemocratico.it
a 348 640 9037
Direttore
In redazione Andrea Romano
oppure vai
Carla Attianese, Patrizio Bagazzini,
PD Bob
sul messenger
Vicedirettore
Stefano Cagelli, Maddalena Carlino,
Mario Lavia
Roberto Corvesi, Francesco Gerace,
Facebook
Società editrice:
Silvia Gernini, Stefano Minnucci,
all’indirizzo
Democratica srl
Agnese Rapicetta, Beatrice Rutiloni
Via Sant’Andrea delle Fratte 16 – 00187 Roma
m.me/partitodemocratico.it

[download id=”1422″ format=”2″]