Della Redazione Di Democratica
n. 69 Lunedi 13 novembre 2017
“Per mesi ho avuto l’impressione di portare sulla schiena il peso di quei corpi”. (Laura Leveque, sopravvissuta alla strage del Bataclan)
L’avversario
Destra In Polonia torna l’incubo xenofobo e antisemita, enorme manifestazione con la partecipazione di delegazioni italiane.
Un fenomeno in crescita anche nel nostro Paese
“
L’EDITORIALE / 1
Giggino Di Maio e il suo alter ego
Mario Lavia
IIl gaffeur della politica italiana ha colpito ancora. Dopo l’immortale “Pinochet dittatore del Venezuela” (13 settembre 2016) – proprio quel “Venezuela che può mediare sulla Libia” (5 maggio 2017) – e diversi stupri del congiuntivo, ieri Luigi Di Maio è caduto su una locuzione che rinvia addirittura al delicato terreno della psicanalisi. Ha detto il gran raccoglitore di clic a un peraltro stralunato Fabio Fazio: “Io quando incontro le ambasciate degli altri Paesi, come incontro i miei alter ego di altri Paesi…”. Ma come sarebbe a dire, alter ego? Cioè Di Maio incontra uno che fa le veci di un altro? O un “doppio”, secondo una secolare storia letteraria che va da Plauto a Shakespeare, da Goldoni a Dostoevskij fino a Charlie Chaplin? A PAGINA 5
L’EDITORIALE / 2
“
Nazione e autonomia, come quadrare il cerchio
Angelo Rughetti
I Ireferendum di Lombardia e Veneto hanno riaperto il dibattito sull’autonomia e sul rapporto fra comunità, istituzioni territoriali e Stato. Aldo Bonomi, attento osservatore delle dinamiche di frontiera ha più volte richiamato l’attenzione sulla necessità di prendere in seria considerazione la connessione fra centri urbani e campagna, fra metropoli e provincia, fra piattaforme territoriali e istituzioni centrali. La spinta politica e culturale degli anni ‘90 ha prodotto una riforma Costituzionale con più ombre che luci. La soluzione più condivisibile di quel disegno è quella contenuta nell’art.116 perché contiene una giusta sintesi fra la voglia di differenziazione delle comunità territoriali e la tenuta dello Stato unitario. A PAGINA 4
PAGINA 2
CULTURA
Musei statali, è boom di visitatori
PAGINA 3
IL PARTITO
A Napoli il Pd è anche buona politica
PAGINA 5
TORINO
Ecco la cultura che resiste ai tagli M5s
PAGINA 6-7
Ultradestra
Colloquio con Francesco Cataluccio
Il campanello d’allarme che è suonato a Varsavia
Agnese Rapicetta CONDIVIDI SU
IIn sessantamila, secondo la polizia, hanno gremito le strade di Varsavia avvolti da fumogeni rossi, intonando parole come “Dio, Onore, Patria”, “Gloria ai nostri eroi”, “Polonia pura, Po-
definire metafisico, ma lonia bianca”, “Fuori i
non reale. Eppure que-rifugiati”. Quello che ab-
sta frustrazione c’è e l’a-biamo visto non ha nulla vallo del governo -con il a che vedere con l’anniver-ministro degli interni, Ma-
L’estrema destra si sta internazionalizzando Non si può trascurare un fenomeno che riguarda anche l’Italia
sario dell’indipendenza della Polonia che si sarebbe dovuta festeggiare tutti insieme, ma anzi ha diviso il Paese. E ha spaventato l’Europa.
Francesco Cataluccio, grande studioso di cultura e politica polacca, ha cercato di interpretare ciò a cui abbiamo assistito ieri: “Sbaglieremo a dire che quella è la Polonia di oggi. Quella che abbiamo visto è solo una parte, grande e preoccupante, ma non è l’unica. Di sicuro la Polonia è una democrazia giovane e fragile con tante contraddizioni, nate dopo il 1989, e ora stiamo vedendo gli effetti.
Quali?
Il Paese grazie all’Europa ha fatto un grande balzo avanti, ma i benefici non sono arrivati a tutti. Se giri per Varsavia non noti tante differenze rispetto a Berlino o a qualsiasi città europea, ma basta spostarsi di 100 kilometri e si precipita in un’altra epoca. C’è una sacca che è rimasta indietro e cerca un capro espiatorio nell’Europa. Niente di più sbagliato.
Il problema è sempre il rapporto con un certo tipo di Europa…
Gli slogan che abbiamo sentito in piazza sono di odio verso qualcosa che in realtà non c’è. Abbiamo sentito gridare contro gli ebrei al potere ma sappiamo che in Polonia la comunità ebraica è davvero irrisoria. Così come gli islamici. E’ un odio che si potrebbe
riusz Blaszczak, che ha parlato di una “splendida vista” – è da vero irresponsabile.
Chi rappresentano i ragazzi scesi in piazza?
I giovani si sono appropriati di un’idea di nazione sbagliata, che non esiste. Quello che abbiamo visto è semplicemente una manifestazione impropria. E’ una manifestazione di chiusura che è contraria alla realtà dei fatti. Non è la prima: già pochi mesi fa si era organizzata una catena umana sul confini del Paese per pregare contro l’invasione dei migranti. L’idea della Polonia come barriera dall’est risale ai tempi del ‘600, ma non ci si accorge che è ormai solo un rito stanco e ridicolo.
Fra i manifestanti c’era anche il “nostro” Roberto Fiore di Forza Nuova: la Polonia diventa il centro del nuovo neofascismo europeo?
In effetti stiamo assistendo ad un certa internazionalizzazione dell’estrema destra. Lo vediamo anche negli stadi di calcio, durante le partite, ci sono gemellaggi tra tifoserie che non hanno niente a che vedere con il calcio. È un problema di cui forse i Ministri degli Interni europei si stanno occupando troppo poco, forse perchè concentrati soltanto sulla questione islamica.
Il rapporto tra neofascismo e Chiesa in
Polonia sembra essere molto stretto, lo abbiamo sentito gridare in piazza e lo vediamo nelle politiche del governo nazional-conservatore di Beata Szydlo
Il rapporto con la Chiesa in Polonia ha radici antiche. Già Papa Wojtyla si era accorto che con la caduta del Muro, la chiesa cattolica rischiava di indebolirsi. Dopo il ruolo centrale che aveva avuto negli anni dell’occupazione – ricordiamo che nelle parrocchie è nata e si è sviluppata Solidarnosc – con la nuova fase si è assistito ad una normale laicizzazione. Nel tempo si è trasformato in un vero e proprio inutilizzo delle chiese come luogo di confronto: essendo diventata la Polonia un paese libero non servivano più, avevano perduto il loro ruolo ed erano rimaste solo un luogo rituale. Oggi le cose stanno cambiando. Il governo ha intessuto rapporti sempre più stretti con quella parte di Chiesa che osteggia il progressismo di Papa Francesco. Per questo assistiamo a leggi restrittive in tema di aborto o matrimoni fra omosessuali e vediamo sorgere nuove costruzioni di chiese.
La Polonia è un Paese “perso”?
Leggendo i giornali polacchi questa mattina ho notato una certa indifferenza verso la manifestazione di ieri e questo è davvero preoccupante. Purtroppo non esiste opposizione nel paese. Esistono, fortunatamente, pochi sparuti intellettuali o donne che fanno sentire la propria voce. Ma non c’è niente di organizzato e questo è il problema. Le reazioni, anche dei giovani, non sono come ci si aspettano dovrebbero essere. Sono campanelli d’allarme che non scattano.
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SU DEMOCRATICA.COM
Cultura
Musei, è boom di visitatori
Riforme e maggiori risorse dal 2013 al 2016 hanno moltiplicato gli accessi alla cultura
2014 Con il decreto legge “Artbouns” prende il via la riforma
Nuovo piano tariffario e istituzione
delle domeniche gratuite Nasce la Direzione generale Musei Istituiti i 17 poli museali regionali: nasce il Sistema museale nazionale Nascono i primi 20 musei autonomi
2015 Selezionati con bando internazionale i direttori dei primi 20 musei autonomi La fruizione dei musei e dei luoghi della cultura è riconosciuta come servizio pubblico essenziale
2016
Prende il via la seconda fase della riforma I musei con autonomia speciale salgono a 30 Dettati i nuovi criteri per l’apertura al pubblico, la vigilanza e la sicurezza
2017
Selezionati con bando internazionale i direttori dei nuovi 10 musei autonomi Nascono i Parchi archeologici del Colosseo e di Pompei
IIl 2014 è l’anno zero per la cultura italiana, grazie alla riforma che ha riguardato i Musei statali in Italia. I dati di affluenza e di incassi dei poli museali segnano dati più che positivi con un incremento di visitatori nel 2016, rispetto a quanto segnato nel 2013 del 18,5% (+7 milioni), arrivando al record di 45,5 milioni di ingressi nel 2016. Il 2017 conferma un trend di crescita dei musei statali italiani significativo: tra gennaio e settembre i visitatori sono cresciuti del +9,4%, mentre gli introiti sono aumentati del +13,5%. Tra i 30 musei autonomi grandi numeri per il Colosseo che con 6.697.939 è il polo museale più visitato, segue Pompei con 3.505.422 mentre in terza posizione si classificano le Gallerie degli Uffizi con 3.365.302.
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Migliori incrementi visitatori e introiti dei Musei e i Parchi Archeologici autonomi 2013-2016 Museo Archeologico Nazionale Reggio Calabria +1727,8% -+4.035,2% Gallerie Estensi Modena +257,6% -+371,8% Museo Archeologico Nazionale Taranto +203% -+492,6% Incremento incassi Italia 2013-2016 +38,4% Le regioni con il maggior incremento: Calabria +1714% Liguria +239,4% Abruzzo +198,6% Incremento visitatori Italia 2013-2016 +18,5% Le regioni con il maggiore incremento: Calabria +155,8% Liguria +91,4% Sardegna +49,6%
Spettacoli dal vivo, finalmente una legge di sistema
Rosa Maria Di Giorgi CONDIVIDI SU
DDopo la legge sul cinema, questa legislatura fa registrare un altro traguardo di fondamentale importanza per la nostra cultura, mettendo ordine in un settore che coinvolge centinaia di migliaia di addetti e caratterizza l’immagine, la bellezza, e la storia del nostro Paese. Di questo non possiamo che essere orgogliosi.
Con la nuova legge sullo spettacolo dal vivo abbiamo finalmente, una norma organica che riconosce il valore culturale delle arti e della loro filiera, senza distinzioni di genere. Erano trent’anni che si attendeva una legge di sistema, e io non posso che esprimere la mia soddisfazione, essendone stata relatrice al Senato, ed avendo seguito passo passo, fino all’approvazione, l’iter di questo provvedimento che ritengo di straordinaria importanza.
D’ora in avanti infatti gli operatori del settore, gli artisti e i giovani emergenti avranno un punto di riferimento e di stimolo per sviluppare progettualità di qualità, innovative e diffuse sul territorio. Nello specifico il provvedimento prevede un aumento delle risorse per lo spettacolo: +19milioni di euro per i prossimi 2 anni e +22,5milioni di euro dal 2020. La riforma incrementa sensibilmente le risorse del
Fondo Unico per lo Spettacolo (Fus) con fondi pari a +9.5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019 e a +22.5 milioni di euro a decorrere dal 2020. Viene esteso inoltre l’Art Bonus a tutti i settori dello spettacolo che potranno avvalersi del credito d’imposta del 65% per favorire le erogazioni liberali. La legge stabilizza il tax credit musica ed estende il sostegno statale allo spettacolo dal vivo anche alla musica popolare contemporanea, ai carnevali storici e alle rievocazioni storiche e verrà riconosciuto il valore di diverse forme di spettacolo, tra cui le pratiche artistiche amatoriali, le espressioni artistiche della canzone popolare d’autore, il teatro di figura, gli artisti di strada. La legge autorizza inoltre la spesa di 4 milioni di euro per attività culturali nei territori colpiti dal sisma del Centro Italia. Viene aggiornata poi la disciplina delle fondazioni lirico-sinfoniche, che godranno di un fondo specifico con nuovi criteri di erogazione dei contributi statali, in base alle risorse ricevute da privati, Regioni e Enti Locali e alle capacità gestionali dimostrate. Per quanto riguarda la discussa presenza degli animali nei circhi, le nuove norme prevedono il graduale superamento del loro utilizzo sia nelle attività circensi che in quelle dello spettacolo viaggiante.
Infine voglio ricordare l’istituzione del Consiglio superiore dello spettacolo, organismo consultivo del ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo che va a sostituire la Consulta per lo spettacolo, e che avrà compiti di consulenza e supporto nell’elaborazione e attuazione delle politiche di settore, e nella predisposizione di indirizzi e criteri generali relativi alla destinazione delle risorse pubbliche.
Insomma, una provvedimento di ampio respiro, destinato a fornire agli operatori strumenti pratici ed una normativa di settore finalmente definita ed organica. Un risultato raggiunto non senza fatica, grazie ad una grande determinazione, dopo un laborioso iter di consultazioni in commissione, cui ha fatto seguito un serrato lavoro in Parlamento. Non era scontato, ma ce l’abbiamo fatta. Che spettacolo sia, dunque.
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Federalismo
Nazione e autonomia, come quadrare il cerchio
La tenuta dello Stato unitario può andare d’accordo con la differenziazione territoriale
Angelo Rughetti CONDIVIDI SU
I Ireferendum di Lombardia e Veneto hanno riaperto il dibattito sull’autonomia e sul rapporto fra comunità, istituzioni territoriali e Stato. Aldo Bonomi, attento osservatore delle dinamiche di frontiera ha più volte richiamato l’attenzione sulla necessità di prendere in seria considerazione la connessione fra centri urbani e campagna, fra metropoli e provincia, fra piattaforme territoriali e istituzioni centrali. La spinta politica e culturale degli anni ‘90 ha prodotto una riforma Costituzionale con più ombre che
luci.
La soluzione più condivisibile di quel di
segno è quella contenuta nell’art.116 perché
contiene una giusta sintesi fra la voglia di
differenziazione delle comunità territoria
li e la tenuta dello Stato unitario. Questa
disposizione raccoglie la migliore dottrina
autonomista italiana di matrice “sturziana”,
mette da parte un concetto estraneo alla no
stra cultura e alla nostra costituzione quale
è il federalismo e individua un meccanismo
non troppo complesso per poter andare in
contro alle richieste che vengono dal basso.
È totalmente in linea con la nostra storia
e la nostra tradizione piena di voglia di dif
ferenziazione e di rivendicazione verso uno
Stato che abbiamo sempre sentito come la
casa di tutti ma non come la casa di ognuno
di noi. Perché il popolo italiano organizzato nelle varie comunità locali, si è sempre sentito migliore del suo Stato ed ha sempre considerato più importanti le relazioni private di quelle pubbliche. I beni comuni, gli spazi comuni sono stati messi sempre un passo indietro rispetto ai beni privati e alla ricerca di un percorso individuale di carriera professionale o sociale che fosse.
Oggi c’è un’inversione di marcia. In una recente ricer-
Dopo i referendum di Lombardia e Veneto si può rilanciare una via riformatrice
ca pubblicata da IPSOS per mentre altre piattaforme Symbola è stato fotogra-
come ad esempio quella fato l’interesse dei nostri
di Venezia-Treviso-Ve-concittadini per il valore
rona-Padova risentono della pubblica utilità, os-
maggiormente della sia per le cose che servo-
specialità dei territori no ad ognuno in quanto
circostanti e per questo persone appartenenti ad
hanno bisogno di una una comunità. Penso che differenziazione per po-
sia molto opportuno mettere insieme la domanda di autonomia che viene dai territori con la nuova tendenza degli italiani per il bene comune che ha modi di manifestarsi diversi da luogo a luogo (a seconda della tradizione e delle sensibilità locali).
Questa occasione, valorizzare l’autonomia intesa come la migliore forma del bene comune di comunità, non va sprecata dietro ad inutili rivendicazioni che hanno solo lo scopo di dare una targa politica ad un’iniziativa così rilevante. Occorre invece una seria valutazione delle domande sociali che vengono dal basso e proporre risposte con
grue che siano attente alle differenze che sono all’interno delle singole aree geografiche che hanno attivato questo percorso. Le piattaforme territoriali sono più omogenee dei confini geo-politici ma allo stesso tempo possono avere al loro interno delle differenti sensibilità di cui tenere conto. Milano ha dato un chiaro segnale europeista e forse considera la relazione infra statuale (fra territori e stato) non più attuale,
ter competere. Insomma
l’avvio di questo processo se
preso sul serio può avviare una
fase storica dalla quale dipenderà la qualità della vita dei nostri cittadini per i prossimi anni e dal quale dipenderà l’esigibilità dei diritti fondamentali delle persone che vivono queste comunità.
In altre parole potrebbe essere l’inizio di una nuova forma di convivenza civile che ruota intorno allo sviluppo della persona e al modo in cui essa vive le relazioni sociali in chiave europea ma sempre più vicina alla storia e alla tradizione millenaria delle nostre comunità locali.
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Il Partito
A Napoli il Pd è anche buona politica
L’esempio di un gruppo di giovani amministratori e militanti impegnati per il territorio
Democratica CONDIVIDI SU
“M“Ma se sei una brava
persona, cosa ci
fai nel PD?”
“Ma quanto ti pa
gano?”
“Tanto sono tutti
uguali.”
“Attento perché andando con lo zoppo impa
rerai a zoppicare.”
“Se nel PD fossero tutti come te, lo voterei!”
Alzi la mano chi non si è mai sentito dire
anche una sola di queste frasi (o simili). Nes
suno? Immaginavamo.
Ecco perché nasce TempismoDemocratico!
Siamo giovani amministratori e militanti
appassionati; siamo nativi democratici; sia
mo quelli che in questo partito ci hanno cre
duto forse più e prima di tutti; siamo quelli
che ogni giorno, da anni, impiegano tempo,
soldi e energie, sacrificando tutto, forse or
mai anche troppo, per un sogno, un ideale,
perché semplicemente credono.
Credono che non ci sia nulla di più nobile e
bello dell’impegno politico.
Credono che la politica, quella bella, sia in grado davvero di cambiare la vita delle persone.
Credono che una classe dirigente attenta allo sviluppo del proprio territorio possa e debba esistere.
Credono che questo partito, la nostra casa, meriti di più che finire sui giornali per le solite guerre tra bande a suon di tesseramenti e ricorsi.
Avete presente la scissione, le liti congressuali, porte che sbattono, polemiche, critiche? Ecco, dimenticatele. Perché nel 2017, in una terra bella e dannata dimenticata dai più, giovani amministratori e giovani dirigenti di partito hanno incrociato il loro cammino per far comprendere alla propria gente cosa è davvero il Partito Democratico.
Tempismo Democratico è una piattaforma molto semplice: studenti, laureati, tirocinanti, lavoratori precari, giovani professionisti che ogni settimana raccontano quello che stanno
facendo per le loro comunità. Grazie a all’impegno di Vincenzo Zarra, ad esempio, classe 1989, ingegnere civile e consigliere della IX municipalità (Pianura-Soccavo) una discarica è stata trasformata in un campo da basket;
o
a quello di Dominique Pellecchia che, nel periodo in cui ha ricoperto la carica di Assessore al Comune di Melito, ha consentito di ripensare a scuole e strade grazie ad una
collaborazione col dipartimento di Architettura dell’Università degli studi di Napoli Federico II, costruendo la città del futuro.
Tempismo De
mocratico nasce così: da un insieme di esperienze e pratiche di buona amministrazione e sano impegno politico.
Non per dire che siamo migliori. Ma per dire che il PD è altro rispetto a ciò che, ogni giorno, leggiamo sui giornali. È tanto altro. È una storia di passione, di impegno, di volontà, di sacrificio. Sono le nostre storie.
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L’alter ego di Giggino Di Maio, il principe dei gaffeur
Un nuovo strafalcione che forse nasconde un problema psicanalitico
mario Lavia CONDIVIDI SU
IIl gaffeur della politica italiana ha colpito ancora. Dopo l’immortale “Pinochet dittatore del Venezuela” (13 settembre 2016) -proprio quel “Venezuela che può mediare sulla Libia” (5 maggio 2017) – e diversi stupri del congiuntivo, ieri Luigi Di Maio è caduto su una locuzione che rinvia addirittura al delicato terreno della psicanalisi.
Ha detto il gran raccoglitore di clic a un peraltro stralunato Fabio Fazio: “Io quando incontro le ambasciate degli altri Paesi, come incontro i miei alter ego di altri Paesi…”. Ma come sarebbe a dire, alter ego? Cioè Di Maio incontra uno che fa le veci di un altro? O un “doppio”, secondo una secolare storia letteraria che va da Plauto a Shakespeare, da Goldoni a Dostojevskj fino a Charlie Chaplin?
Attenzione a cosa scriveva Sigmund Freud sull’origine del “doppio”, che nasce “sul terreno dell’amore illimitato per se stessi, del
narcisismo primario che domina la vita psichica sia del bambino che dell’uomo primitivo, e, col superamento di questa fase, muta il segno del sosia, da assicurazione di sopravvivenza esso diventa un perturbante presentimento di morte”. Pauroso eh?
Alla ricerca di un alter ego, va dunque il giovane Luigi. Il quale – non è difficile indovinarlo
–
voleva dire “un interlocutore” o forse “un mio pari grado” – così si dice in italiano. A meno che, ed è l’ipotesi più inquietante, egli non immaginasse un sim
posio al quale fossero seduti tanti Di Maio, un Di Maio col complesso di essere basso, un altro Di Maio con quello di essere un po’ ignorante, un terzo Di Maio con il complesso di non parlare benissimo la sua lingua… Alter ego, alla lettera.
A questo punto le alternative per il nostro raccoglitore di clic sono due: o un corso accelerato di lingua italiana; o una non altrettanto breve terapia psicanalitica. Noi lo aspettiamo con pazienza. Fino al prossimo sfondone.
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SU DEMOCRATICA.COM
Torino, la cultura che resiste ai tagli M5s Pensieri e parole Alice Militello CONDIVIDI SU
“T“Torino è una città che invita al rigore, alla linearità. Allo stile. Invita alla logica, e attraverso la logica apre la via alla follia”, scrive Italo Calvino. Ed è una follia positiva quella che aleggia sul capoluogo piemontese ogni anno, durante la prima settimana di novembre. Contapassi alla mano,
Sneakers ai piedi, si parte per la maratona torinese tra arte, musica,
libri, brunch delle gallerie, che si è conclusa domenica. Decine e decine
di chilometri macinati con passo svelto tra la fascinazione delle archi
tetture industriali e la meraviglia dei tanti palazzi storici dischiusi per
l’occasione; su e giù dalla metro – da Lingotto alle OGR – dalle OGR al
centro – dal centro verso Lingotto; senza contare le numerose corse in
taxi per riuscire a visitare in tempo utile quanto più possibile.
Se le fiere più giovani – Paratissima, Flashback, Dama, – aprono il
vorticoso weekend dell’arte; se The Others rimarca il ruolo di punto
d’incontro tra mercato e ricerca; la capofila delle fiere italiane resta
Artissima, che fa da traino per presenze (52 mila visitatori, 206 galle
rie, oltre il 60% straniere) e vendite. Quest’anno banco di prova per la
neo direttrice: Ilaria Bonacossa, che gioca tra continuità e innovazio
ne. Tra le ottime intuizioni dell’edizione 2017 si devono menzionare la
sezione disegni, affidata a Luís Silva e João Mourão, co-curatori della
Kunsthalle di Lisbona; e il progetto Piper, pensato e coordinato da Pa
ola Nicolin: una serie di riflessioni sull’arte, le sue dinamiche e i suoi
spazi, a partire dal noto Club aperto dal 1966 al 1969, progettato da
Pietro Derossi con Giorgio Ceretti e Riccardo Rosso.
Nel turbinio delle rassegne torinesi si inserisce ancora una novità
rappresentata da FLAT, una piccola ma ben fatta fiera internazionale
dedita all’editoria dell’arte: un vero e proprio campo fertile per cultori
e collezionisti della carta stampata di riferimento. Un evento raffor
zato dall’apporto di due interessanti mostre, entrambe curate da Ele
na Volpato: la prima improntata sulla produzione di libri come opere
d’arte, considerati come dimensione intima del pensiero; la seconda
dedicata al segno tracciato da Ettore Sottsass sulle pagine di alcune
riviste nel corso della sua carriera.
Nella miriade di eventi off connessi alle fiere, le vere protagoni
ste di queste giornate sono le OGR, Officine Grandi Riparazioni, con
la mostra dal titolo evocativo: Come una falena alla fiamma, Like a
SEGUE A PAGINA 7
Pensieri e parole
SEGUE DA PAGINA 6
Moth to a Flame, che merita una visita sia per l’impaginazione dell’esposizione, sia per il concept curatoriale, firmato da Tom Eccles, direttore del Center for Curatorial Studies del Bard College di New York, Mark Rappolt, redattore capo della rivista inglese «Art Review», e l’artista britannico Liam Gillick. Ne emerge un ritratto di Torino attraverso gli oggetti che la città stessa e i suoi abitanti hanno collezionato, tra passato e attualità, in un dialogo aperto con altre istituzioni locali.
Le OGR sono state anche il palcoscenico naturale di 8 giorni di performance live delle teste di serie per antonomasia dell’elettronica: i Kraftwerk, evento culto del weekend. Ogni sera, per bene due volte, per otto sere consecutive, il gruppo capitanato da Ralf Hütter ha condotto il pubblico in un viaggio nel tempo e nel loro percorso artistico.
Se c’è una Torino dell’arte, quella del giorno, i Kraftwerk hanno introdotto la Torino della musica, quella della notte. Infatti il primo weekend di novembre della capitale piemontese, ormai da ben diciassette anni, coincide con uno dei festival di elettronica più imponenti d’Italia, forse l’unico in grado di competere con il panorama internazionale: Club to Club. Un’edizione che, già dal sottotitolo scelto, si propone di riflettere sull’isolamento dell’individuo pur presente in una dimensione massificata. Cheek to Cheek, questo il tema di sottofondo, rivendica il ruolo della musica come esperienza condivisa e, soprattutto, reale; fatta di corpi che si muovono insieme, uniti dal medesimo ritmo: un invito a recuperare la dimensione sociale e gioviale del ballo.
Guardando alla line up del Festival, emergono i nomi consacrati della minimal techno, come Richie Hawtin, che ha messo in piedi un’ora e quindici minuti di show potente, virando su sonorità più ricercate del solito hunz-tunz; la stella dell’elettronica Nicolas Jaar, con un live meno convincente del solito, ma che ha recuperato tutta la sua determinazione nel dj set che l’ha visto protagonista il sabato notte. Alle certezze gli organizzatori alternano alcuni dei progetti musicali più attuali ed avanguardisti di questi ultimi anni, come Ben Frost; scommettendo anche su proposte un tantino spiazzanti per i frequentatori abituali del Club to Club, come Liberato che, ad ogni modo, si è ritrovato perfettamente nel suo ruolo. Tra gli altri si segnalano Lorenzo Senni e i “vampiri” Ninos du Brasil, quest’ultimi fautori di un mix multiforme ed efficacissimo di suoni: una babele di ritmi techno, batucada, samba, accompagnata dalle loro movenze febbrili ed energetiche.
Lasciando da parte le inutili polemiche lette sulle code per prendere da bere; auspicando invece che si prendano in considerazione le questioni che concernono la sicurezza dei luoghi pubblici e di aggregazione, che prima o poi dovranno essere affrontate a carattere più generale e su scala nazionale (meglio prima che poi); Club to Club si conferma ancora una volta un festival maturo e contemporaneamente in crescita. Una grande macchina artistica capace di conciliare sapientemente le spinte innovatrici con l’autorevolezza dei nomi della musica, per offrire uno spaccato della contemporaneità, senza dimenticare il prima e pensando al dopo.
Chissà che la politica non possa guardare ad una esperienza, apparentemente distante, come Club to Club, alla sua forza attrattiva e transgenerazionale, in grado di parlare proprio al target di persone – dai 18 ai 40 anni – con i quali i partiti non riescono più a comunicare in via indiretta. In fondo un evento di successo, in grado di perdurare nel tempo, non si costruisce attraverso i contenuti? Non si rafforza mostrando un’identità chiara e comprensibile ai più? Non si costruisce sull’attualità ma si fa forte anche del sul passato? In fondo, quando si pensa ad un progetto, non si riflette anche su quale investimento per il futuro?
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