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Democratica

Della Redazione Di Democratica

n. 62 Giovedì 2 novembre 2017
“Seri bisogna esserlo. Non dirlo, e magari neanche sembrarlo”. (Pier Paolo Pasolini, 5.3.1922 -2.11.1975)
Giulio Regeni Ombre e interrogativi sulle responsabilità dell’Università di Cambridge. Renzi: “Chi nasconde qualcosa? Chiediamo chiarezza”
A PAGINA 2
L’EDITORIALE


Legge di Bilancio, continuiamo a sostenere la crescita
Giorgio Tonini
IIl governo Gentiloni ha proposto al parlamento, che ne ha appena avviato l’esame, una manovra di bilancio in evidente continuità con la linea di politica economica e sociale seguita dai governi guidati dal Pd in questa legislatura. Il perseguimento del pareggio strutturale del bilancio, condizione per avviare la riduzione del pesante fardello del debito pubblico che grava sul presente e sul futuro dell’Italia, è stato sapientemente ed efficacemente armonizzato, attraverso la conquista nel confronto con l’Europa di significativi spazi di flessibilità, con l’obiettivo di rimettere in moto la crescita e l’occupazione. I risultati finali di questa legislatura dicono che la scommessa del Pd è stata vinta: siamo entrati nella legislatura in piena recessione, con la lancetta del pil che segnava -3%, e in procedura di infrazione europea per deficit eccessivo, avendo superato il 3% di disavanzo. Chiudiamo la legislatura con il pil a +1,5 (4 punti e mezzo in più) e il deficit dimezzato a 1,6. Nel frattempo si sono creati un milione di posti di lavoro, la produzione industriale vola e la bilancia commerciale ha l’attivo più grande d’Europa dopo la Germania. SEGUE A PAGINA 4
ELEZIONI SICILIANE
Gli impresentabili dei Cinque Stelle e l’autolesionismo di D’Alema
Domenica 5 novembre si vota.
La sfida gentile di Micari, l’impegno del Partito democratico e Mdp che rimette
in gioco Berlusconi e la destra
PAGINA5
XX SECOLO
Cent’anni di comunismo Parla Silvio Pons
PAGINA 6-7
MONDO
Il populismo che sfrutta il terrorismo
PAGINA 3
Il caso Regeni
La verità, solo quella

Mahfouz Abdel Rahman nella gestione del suo rapporto accademico con Giulio Rege-
L’omicidio del giovane ricercatore italiano

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CCi sono ancora troppe ombre sulla morte di Giulio Regeni. Troppe ombre che l’Università di Cambridge, quella in cui studiava il giovane ricercatore barbaramente ucciso, non ha
aiutato in alcune modo a schiarire. E così la
procura di Roma vuole vederci chiaro. Per
farlo chiede di interrogare Maha Mahfouz
Abdel Raham, la tutor di Giulio Regeni. Lo
scrive il quotidiano La Repubblica secondo
cui i silenzi della docente hanno impedito
fino ad oggi di capire la reale attività di ri
cerca del giovane italiano ucciso al Cairo e
le circostanze della sua morte.
Il 9 ottobre scorso il procuratore di Roma,
Giuseppe Pignatone e il sostituto Sergio Co-
laiocco hanno quindi trasmesso alla “United
Kingdom Central Autorithy”, l’organo bri
tannico giudiziario di collegamento con le
magistrature dei paesi Ue, un ‘ordine euro
peo di investigazione’ con cui si chiede un
interrogatorio formale della professoressa.
Con questa “rogatoria rafforzata” – si spiega
nella lunga inchiesta a firma Bonini e Fo
schini- si chiede anche l’acquisizione dei
suoi tabulati telefonici, mobili e fissi, utiliz
zati tra il gennaio 2015 e il 28 febbraio 2016,
per ricostruirne la sua rete di relazioni.
La rogatoria, per la prima volta, eviden
zia con dettagli inediti l’ambiguità di Maha
ni. Ambiguità che avevano portato lo stesso ragazzo ad esprimere preoccupazione in almeno due conversazioni via Skype con la madre Paola. Secondo il quotidiano, Regeni, infatti, non chiede alla docente la benedizione accademica delle proprie scelte. Piuttosto, le subisce.
Anche l’insistenza della Maha sul tema della ricerca e la scelta di assegnargli come tutor al Cairo la professoressa Rabab el Mahdi dell’American University, che, afferma Repubblica, ha un profilo più simile a quello di una attivista che non a quello di un’accademica, è oggetto delle confidenze di Regeni con la madre e in una chat con un suo amico e collega.
La professoressa Rahman, sottolinea ancora Repubblica, non ha mai voluto affrontare quelli che i magistrati romani definiscono i “cinque punti su cui è di massimo interesse investigativo fare chiarezza”.
Chi ha scelto il tema specifico della ricerca di Giulio? Chi ha scelto la tutor che in Egitto avrebbe seguito Giulio durante la sua ricerca al Cairo? Chi ha scelto e con quale modalità di studio la “Ricerca partecipata”? Chi ha definito le domande da porre agli ambulanti intervistati da Giulio per la sua ricerca? Giulio ha consegnato alla professoressa Rahman l’esito della sua ricerca partecipata durante un incontro avvenuto al Cairo il 7 gennaio del 2016?
LEGGI
SU DEMOCRATICA.COM
25 gennaio 2016
Il ricercatore italiano dell’Università di Cambridge scompare al Cairo. E’ atteso non lontano da piazza Tahrir da un suo amico ma non arriverà mai all’appuntamento.
3 febbraio 2016
Il corpo di Giulio Regeni viene ritrovato lungo la superstrada Cairo- Alessandria d’Egitto. I suoi genitori davanti al suo cadavere diranno: “Abbiamo visto tutto il male del mondo”.
12 febbraio 2016
A Fiumicello si svolgono i funerali
del ragazzo. La tutor di Giulio rifiuta
di consegnare alla polizia italiana i dati contenuti nel suoi telefoni e pc. L’Università di Cambridge non risponde alle sollecitazione della Procura di Roma nel consegnare documentazione utile all’indagine.
6 giugno 2016
La famiglia Regeni si reca a Cambridge
per una commemorazione ufficiale.
Con loro c’è anche il pm Colaiocco che non viene ricevuto dalle autorità accademiche. Anche la professoressa si sottrae alla richiesta di rispondere ad alcune domande.
Terrorismo
Quando il populismo usa il terrorismo
Puntuale arriva la strumentalizzazione politica dell’attentato di New York

Carla Attianese CONDIVIDI SU

QQuello del 31 ottobre a New York è stato l’attentato terroristico più sanguinoso dal 2011, l’annus horribilis delle torri gemelle, è dunque più che comprensibile il clamore e l’emozione che ha suscitato in tutto il mondo. Ci siamo sentiti tutti un po’ argentini sentendo la storia del gruppo di otto amici in viaggio per festeggiare i 30 anni dalla maturità, cinque dei quali sono rimasti vittima dell’uzbeko autore della strage. Oltre
all’autentico raccapriccio però, sulla vicenda di New York, come purtroppo spesso accade in occasione di simili fatti di sangue, immediata è scattata la strumentalizzazione politica, di cui è stato capofila Donald Trump, alle prese con il primo attentato terroristico di matrice islamica sotto la sua presidenza. Il presidente americano si è scagliato contro i democratici, come era prevedibile, contro la giustizia e soprattutto contro la ‘lotteria’ per la green card, il sistema che dal 1990 ogni anno offre 55mila carte verdi per il soggiorno legale negli States ad altrettanti stranieri estratti a sorte tra le nazioni meno rappresentate nella società americana. Una veemenza verbale a cui il tycoon
ci ha abituato, ma che in questi giorni fa sorgere il legittimo sospetto che il vero obiettivo sia sviare a tutti i costi l’attenzione dalla scandalo Russiagate, e poco importa se toni e contenuti spaccano sempre di più una società che dovrebbe governare.
Anche in Italia, come sempre, non si sono fatte attendere le reazioni dei populisti di casa nostra, con in testa Salvini e Meloni che si sono scagliati contro ‘l’islamizzazione della società’, guarda caso scimmiottando in maniera perfetta, per ironia della sorte, proprio quegli account fake governati da Mosca su cui si sta indagando nel Russiagate.
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SU DEMOCRATICA.COM
Russiagate
Fake news, a rischio anche l’Italia
Nel 2016 il caso Russia Today ma l’obiettivo sono tutte le democrazie che vanno al voto

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NNegli Stati Uniti lo scandalo Russiaga-te sta assumendo dimensioni sempre più enormi. Alcuni degli uomini che hanno lavorato con Trump sono stati travolti dalla mega inchiesta condotta dal procuratore speciale Robert Mueller, mentre le testimonianze di Google, Twitter e Facebo-ok di fronte alle Commissioni del Congresso hanno mostrato quanto sia grande il fenomeno dei falsi contenuti messi in rete e diffusi da account riconducibili alla Russia. Numeri esorbitanti che fanno capire come il fenomeno può non essere circoscritto al solo territorio americano. In Italia qualcosa di poco chiaro avvenne alla fine del 2016, in occasione della campagna referendaria. Siamo al 29 ottobre e il Pd organizza una grande manifestazione a Piazza del Popolo a favore del Sì. La grande partecipazione viene raccontata da tutti i principali network. Viene però trasmessa in diretta anche da Russia Today, una potente emittente particolarmente vicina a Mosca, che ne stra
volge il significato. I numerosi cittadini accorsi a Roma per sostenere il Sì, si trasformano improvvisamente in contestatori. Russia Today fa circolare sui social la diretta con il titolo “Proteste in Italia contro il premier” e le condivisioni esplodono, specialmente dall’universo vicino al M5s quello più critico verso la riforma e anche quello più attivo nel diffondere contenuti di questo tipo. Contenuto che però era un falso, clamoroso. L’episodio sarebbe stato anche al centro di un caso diplomatico tra Palazzo Chigi e il Cremlino, raccontato oggi da Stefano Cappellini su Repubblica. Nel retroscena il giornalista parla di una telefonata sull’accaduto tra l’allora premier Renzi e Vladimir Putin. Una conversazione che non è stata conferma
ta né smentita da Renzi, che però oggi, in una conversazione pubblicata dalla Stampa, è tornato a dare l’allerta. Sui social “ci sono decine e decine di news costruite in modo falso e tendenzioso”, sostiene il segretario dem, “è in atto un tentativo impressionante di condizionare la politica italiana, segnatamente contro il Pd”. Renzi non punta il dito verso la Russia, perché “la catena organizzativa di comando la scopriranno i magistrati” ma sottolinea che già in Italia c’è già chi sulle bufale ci vive. “Il M5S – dice Renzi – ha costruito tutto sulla falsificazione scientifica, i trolls, le firme false a Palermo, il bilancio falso a Torino, le coperture false sul reddito di cittadinanza, le fake news rilanciate in modo costante”.
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SU DEMOCRATICA.COM
Legge di Bilancio
Una manovrapercontinuare a sostenere crescita e occupazione
Giorgio Tonini CONDIVIDI SU
Presidente Commissione Bilancio al Senato
Segue dalla prima

TTorna a crescere perfino l’edilizia, mentre le banche, che avevano subito i colpi della recessione e della crisi del debito sovrano, tornano a vedere il sereno, grazie ad un intervento pubblico che peraltro ha pesato sul contribuente italiano in misura assai più leggera rispetto agli altri paesi europei.
Ciò non significa che tutto vada bene e tutti i problemi siano risolti.
Il principale punto di debolezza dell’Italia resta il forte rischio di instabilità politica, conseguenza del vero nostro scacco in questa legislatura: quello della riforma delle istituzioni nel senso della democrazia decidente. L’incertezza della prospettiva politica, abbinata all’elefantiasi del nostro debito pubblico (in gran parte frutto delle politiche previdenziali folli degli anni settanta e ottanta del secolo scorso) e all’esaurirsi degli effetti espansivi della politica monetaria della Bce, devono raccomandarci serietà e autocontrollo, sia sul
piano parlamentare che su quello politico. Le poche risorse disponibili vanno concentrate su obiettivi di qualità, economica e sociale, e non sprecate inseguendo la dema
gogia populista.
La manovra proposta dal governo individua un obiettivo di grande rilievo sul quale concentrare le risorse: quello dell’occupazione giovanile, attraverso una riduzione strutturale del costo del lavoro dei giovani assunti con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Attorno a questo nu
cleo fondamentale ruotano altre importanti misure, tutte rivolte a sostenere gli investimenti, sia nell’ammodernamento degli impianti sia nella qualificazione del capitale umano.
C’è un punto invece sul quale la manovra è carente ed è quello delle politiche a favore della famiglia e della natalità: una lacuna tanto più evidente, se si considera che quella demografica è ormai diventata una vera e
La Legge di Bilancio si concentra su occupazione giovanile e investimenti
propria emergenza nazionale. Questa lacuna va colmata e può essere colmata nel corso dell’esame parlamentare. Ad una precisa condizione: che si concentrino su questo obiettivo tutte le (po
che) risorse disponibili e si sconfigga la tentazione di disperderle in mille rivoli,
o
di destinarle a obiettivi sbagliati, come quello di rimettere in discussione i capisaldi della riforma Fornero, a cominciare
dall’adeguamento automatico dell’età pensionabile all’aspettativa di vita. L’obiettivo sacrosanto di con
sentire l’uscita anticipata dal la
voro a chi svolge mansioni partico
larmente gravose e usuranti può e deve essere perseguito attraverso l’istituto dell’Ape sociale e non attraverso il cambiamento delle regole per tutti. Una via, questa seconda, che rischia di compromettere un bene sociale indisponibile, come la solidità e la sostenibilità del nostro sistema previdenziale.
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SU DEMOCRATICA.COM
GIOVANI
Riduzione strutturale del costo del lavoro
SOCIALE
Potenziamento misure per la lotta alla povertà
INVESTIMENTI
Più agevolazioni fiscali
per le imprese
Sgravi contributivi per tre anni al 100% per imprenditori agricoli e coltivatori diretti
under 40; per il 2018viene stabilizzato il
bonus cultura per i diciottenni.
Crescerà la platea dei beneficiari del reddito
di inclusione, che per le famiglie numerose
sale fino a 534 euro al mese. Aumenterà
anche il fondo per le politiche della famiglia.
La manovra contiene importanti misu-re rivolte a sostenere gli investimenti, sia nell’ammodernamento degli impianti sia nella qualificazione del capitale umano.
Il voto del 5 novembre
Il figlio di Francantonio Genovese? Candidato con Forza Italia
Vi ricordate di Francantonio Genovese? Ex sindaco di Messina, ex segretario regionale del Pd, il deputato è stato condannato per associazione a delinquere, truffa,
frode fiscale e peculato, a 11
anni in primo grado nel processo “corsi d’oro” sulla formazione professionale. Nell’aula della Camera il Pd ha votato per
l’autorizzazione all’arresto dell’allora suo deputato. Il quale, nei mesi
successivi, è passato a Forza Italia ed ora ha candidato il figlio Luigi al consiglio regionale, proprio nelle fila del partito di Berlusconi.
Il figlio di Pio La Torre? Candidato con il Partito Democratico
Quel cognome – La Torre – evoca una pagina eroica che non si può dimenticare. Che la Sicilia non dimenticherà mai. La Torre, Pio La Torre, è uno dei grandi
simboli della lotta alla mafia, il
dirigente comunista ucciso dalla
mafia a Palermo 35 anni fa. “Io
conosco benissimo il peso di
questo cognome – dice Franco La
Torre, oggi candidato del Pd alle Regionali del 5 novembre – e sono
orgoglioso anche per questo cognome di dare il mio contributo a
questa difficilissima battaglia che stiamo combattendo in Sicilia”.
In Sicilia Mdp ha rimesso in gioco Berlusconi
E intanto i Cinque Stelle candidano gli impresentabili

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OOrmai ci siamo. Domenica 5 novembre quasi cinque milioni di cittadini siciliani sono chiamati alle urne per il rinnovo dell’Assemblea
Regionale e del Presidente.
In campo, i candidati e le liste che possono
aspirare a percentuali in doppia cifra sono
sostanzialmente quattro. Ma potevano
essere tre. C’è la destra unita, guidata da
Nello Musumeci; c’è il Movimento 5 Stel
le con Giancarlo Cancelleri; c’è il Pd con il
candidato civico Fabrizio Micari. E poi ci
sono Mdp e quel che resta della sinistra,
con Claudio Fava.
Un quadro che rende, per entrambi i
candidati appartenenti al campo del cen
trosinistra, la sfida estremamente difficile.
Eppure, la situazione avrebbe potuto
essere molto diversa. Se non si fosse de
ciso di utilizzare la Sicilia e il suo futuro
come un mezzo di propaganda di parte,
In vista delle elezioni regionali siciliane, il Pdritira tutti i nomi possibili per la candidatura a presidente con l’obiettivo di lavorare su una personalità condivisa con tutto il centrosinistra Viene proposto al presidente del Senato Pietro Grasso, personalitàdi primo livello, simbolodell’antimafia, di candidarsialla presidenza e alla guida della coalizione Grasso rifiuta la propostadei vertici regionali e nazionale del Pd: “I miei doveri istituzionali attuali mi impongono di svolgere,finché necessario, il mioruolo di presidente del Senato” Mdp, insieme a LeolucaOrlando e Sinistra Italiana propone la candidatura civica di Fabrizio Micari,rettore dell’Università di Palermo. Il Pd accoglie con favore la proposta Dopo la formalizzazione della candidatura di Micariarriva il voltafaccia di Mdpche rompe la coalizione e punta su Claudio Fava LE TAPPE DELLA ROTTURA DI MDP
uno strumento di lotta politica personale. Perché la candidatura di Fava, persona rispettabilissima, è stata pensata e voluta come un tentativo di recare danno al Partito Democratico. Non si potrebbe spiegare altrimenti.
La storia è nota: prima il Pd, su richiesta di Mdp, fa un passo indietro, rinunciando a spingere i propri candidati. Contestualmente arriva la proposta nei confronti del presidente del Senato Pietro Grasso, che però declina. Si continua a lavorare, sulla scia del “modello Palermo” di Leoluca Orlando, su una candidatura unitaria, dall’altro profilo civico. Si arriva così a Fabrizio Micari, rettore dell’Università di Palermo. Tutto inutile, Mdp aveva già deciso di spaccare il centrosinistra per mandare “un messaggio” a Renzi.
Ora, davanti a quella che potrebbe profilarsi come una sfida all’ultimo voto tra le impresentabili candidature di Musume-ci e Cancelleri, deve essere chiaro che le scelte individualiste e politiciste di Mdp si rivelerebbero scellerate e dannose. Non tanto per il Pd, quanto più per i cittadini siciliani. Le vere vittime del grande favore che, ancora una volta, Massimo D’Alema ha fatto a Silvio Berlusconi.
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SU DEMOCRATICA.COM
Pensieri e parole
Colloquio con Silvio Pons
L’eredità del comunismo? Nazionalismo e Stato autoritario

anDrea romano CONDIVIDI SU

“I“Il comunismo non ha lasciato alcuna eredità ideale o culturale, neanche in Occidente. Ma nella Cina contemporanea vediamo all’opera il suo lascito principale: la capacità di guidare la modernizzazione per opera dello Stato”. Con Silvio Pons, Presidente della Fondazione Istituto Gramsci e tra i principali storici europei del comunismo sovietico e occidentale (sua la cura, tra le altre opere, di una monumentale Cambridge History of Communism appena uscita in tre volumi), discutiamo dell’imminente centenario della Rivoluzione bolscevica.
Da quel 7 novembre 1917 a Pietrogrado sarebbe nata una vicenda complessa e drammatica. Oggi quale possiamo dire che stata, nel bene e nel male, l’eredità storica del comunismo?
Quando è crollato il comunismo sovietico, nel 1989-1991, il senso comune (intellettuale, politico e storico) era che quel collasso non avrebbe lasciato alcuna eredità. François Furet, nel suo fondamentale lavoro “Il passato di un’illusione”, scrisse che se la Rivoluzione francese aveva lasciato un patrimonio istituzionale e
culturale ben al di là dei confini francesi, lo stesso non si poteva dire del comunismo.
SEGUE A PAGINA 7
Pensieri e parole
SEGUE DA PAGINA 6
Oggi, al contrario, dobbiamo prendere atto che le cose non stanno così. La tenuta della Cina comunista, comunque la si voglia definire, ci obbliga a vedere una continuità di quei regimi anche nel nuovo secolo. E’ ovvio che la Cina ha abbandonato l’organizzazione economica di tipo socialista e ora rappresenta un’economia capitalistica integrata nell’economia mondiale, ma la sua statualità e la capacità di guidare la modernizzazione attraverso lo Stato proviene direttamente dal comunismo. Nel bene e nel male, è questa la principale eredità del comunismo. Lo si vede anche nella Russia di Putin, dove l’eredità del comunismo sovietico è sotterranea ma non meno forte. Se Putin è il nuovo Zar, come va di moda sostenere adesso, il riferimento del suo autoritarismo statuale non è Nicola II ma direttamente Stalin: ovvero un’idea di Stato con una sua precisa fisionomia nazionalistica, in continuità con il comunismo sovietico. D’altra parte, alla capacità di una modernizzazione autoritaria guidata dallo Stato in Cina e parzialmente in Russia corrisponde l’assenza di qualsivoglia lascito culturale. Oggi non esiste in alcuna componente della sinistra mondiale una specifica eredità ideale di derivazione comunista: l’aspirazione all’eguaglianza e all’emancipazione era già patrimonio del movimento socialista, e non si può certo definire un prodotto del comunismo.
Ma si può invece parlare di una eredità specifica del comunismo occidentale?
Quanto è accaduto dopo la fine della guerra fredda dimostra che il comunismo occidentale non ha mai rappresentato un soggetto significativo, incisivo e identificabile come tale. Vale semmai la pena riflettere solo e soltanto sull’Italia, unico paese dove il comunismo europeo ha lasciato un’impronta nazionale. Qui il postcomunismo ha costituito un protagonista della seconda repubblica, con tutti i suoi limiti, e una risorsa della democrazia italiana soprattutto se guardiamo alla difesa delle istituzioni repubblicane e ai valori dell’integrazione europea e sovranazionale. Ma non è caso che tale eredità non si sia tradotta tanto nella capacità di dar vita a veri e propri soggetti politici ma piuttosto nell’opera e nella testimonianza di alcune personalità, la principale tra le quali mi pare essere quella di Giorgio Napolitano.
Eric Hobsbawm sosteneva che se il comunismo non aveva raggiunto i propri obiettivi, aveva certamente costretto il capitalismo ad innovarsi.
E’ un’affermazione che ha certamente un fondamento, nel senso che nel corso del Novecento alla paura verso il comunismo ha fatto seguito una competizione che ha creato un’interazione tra capitalismo e capitalismo. Così com’è indiscutibile che dopo l’esperienza della Grande Depressione il capitalismo si sia riformato anche sotto l’influenza indiretta del comunismo. D’altra parte se guardiamo alla seconda metà del Novecento, e dunque alla fase della più poderosa e pervasiva riforma del capitalismo, vediamo che le forze che costruirono i sistemi di welfare state erano proprio quelle socialdemocrazie che il comunismo aveva combattuto con la maggiore violenza. E qui emerge tutto il limite del comunismo sulla media e lunga distanza.
La Rivoluzione d’Ottobre vide l’irruzione sulla scena della storia di masse che prima ne erano rimaste ai margini. Ne possiamo ancora ricavare qualche suggestione per il nostro
presente, segnato da una discussione sul ruolo dei “soggetti invisibili” nell’affermazione dei populismi?
Il comunismo nel secolo scorso ha risposto all’urgenza di una politica di massa, realizzando una socializzazione autoritaria sotto le promesse di avanzamento sociale e di emancipazione. Oggi, rispetto al Novecento, la differenza principale è che la dimensione dell’individualismo prevale e toglie spazio a rappre
sentazioni coercitive dell’emancipazione collettiva. In questa nuova dimensione della politica di massa, dove l’unico elemento di integrazione è la società dei consumi, non vediamo risposte altrettanto efficaci nella capacità di integrare con la forza masse anonime ed escluse. Non ci riescono nemmeno la Russia di Putin o la Cina di Xi, concentrate sulla modernizzazione piuttosto che sulla socializzazione.
Proviamo, in conclusione, a cimentarci con la storia alternativa. Senza il colpo di mano bolscevico del 7 novembre 1917 la Russia avrebbe potuto avere un’altra evoluzione economica e politica?
Risponderei citando Max Weber, che nell’aprile 1917 (e dunque molto prima dell’Ottobre) scrisse che la Russia sembrava orientata ad una qualche forma di
autoritarismo tradizionale o socialista. Retrospettivamente è difficile immaginare una strada diversa per la Russia del 1917-1918, perché al suo interno vi erano certamente aree molto avanzate sul piano industriale o culturale ma la radicale permanenza di due società contrapposte spingeva di per sé per una conflagrazione dagli esiti autoritari. D’altra parte la storia alternativa si potrebbe applicare anche al 1989-1991: se il sistema sovietico non fosse crollato e se avessero prevalse scelte diverse, da parte di una componente dell’elite comunista più consapevole delle fragilità dell’Unione sovietica (penso ad esempio a Jurij Andropov), la Russia comunista avrebbe potuto incamminarsi sul percorso poi seguito dalla Cina. Ma questa è tutta un’altra storia.
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ORE NOVE

“I media non devono rafforzare l’idea di una politica che non dà risposte. Io e Matteo Renzi abbiamo raggiunto molti più risultati di quanto non si
sia letto.
BARACK OBAMA 1° NOVEMBRE 2017
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