TORBALL. 2° “Torball Cup Molise”: Grande Successo All’Itis “Marconi” Di Campobasso
30 Ottobre 2017
Enews 495, lunedì 30 ottobre 2017
30 Ottobre 2017
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Democratica

Della Redazione Di Democratica

n. 60 lunedì 30 ottobre 2017
“30 anni fa abbiamo detto no a queste armi ma oggi siamo vicini come non mai al loro uso. La gente deve esserne cosciente” (El Baradei, premio Nobel per la pace”)
La nostra sfida
Pd Dalla Conferenza programmatica di Napoli parte la corsa verso le elezioni. Abbiamo salvato l’Italia, ora alleanza ampia contro i populismi
ALLE PAGINE 2-4
L’EDITORIALE

Fine degli alibi

Andrea Romano
DDa oggi lo spazio per il gioco delle parti è ridotto a zero. E il Partito Democratico, riunito a Napoli, ne è uscito con due punti fermi.
A PAGINA 2
APPENDINO
La fine del mito. Scandali e malgoverno anche a Torino
La cacciata del braccio destro della Appendino è un’ulteriore prova di malgoverno e improvvisazione che connota, dopo Roma, anche questa esperienza di governo dei grillini
SEGUE A PAGINA 5
MONDO
Italiani all’estero, il vero made in Italy
PAGINA 7
SCUOLA PD
Un anno di viaggio con Pasolini
PAGINA 6
Conferenza programmatica
Il Paese non è ripartito “Il Pd è pronto a “L’Europa non ha futuro

per caso. Nel 2014 c’era chi voleva portare il Paese fuori dall’euro e chi invece lo ha portato fuori dalla crisi. Chi lo ha fatto si chiama Partito democratico, non altri”.
lavorare con tutti a una coalizione, senza veti, ma anche senza rinunciare alle proprie idee”.
senza dimensione politica. Sì che vogliamo più Europa, ma non l’Europa della tecnocrazia e della burocrazia soltanto”.
MATTEO RENZI

La fine degli alibi
Andrea Romano
Segue dalla prima
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DDa oggi lo spazio per il gioco delle parti è ridotto a zero. Il Partito Democratico riunito a Napoli, al termine di due settimane non facilissime tra la vicenda Bankitalia e la piena assunzione di responsabilità sulla legge elettorale, ne è uscito con due punti fermi. Il primo è il lavoro fatto sulle idee che
tra poche settimane qualificheranno la nostra proposta per l’I
talia: un lavoro che non sarebbe neanche il caso di sottolineare
(cos’altro dovrebbe fare un partito politico se non riunirsi per di
scutere di cosa proporre al paese?), se non fosse che nel mondo
alla rovescia a cui troppo spesso somiglia la nostra discussione
pubblica un blog o un casting sembrano avere lo stesso valore di
una riflessione collettiva sul futuro del Paese animata da migliaia
tra amministratori e protagonisti della vita pubblica. L’altro ele
mento chiave uscito da Napoli è la scommessa politica che il PD
nella sua interezza – ha deciso di fare sullo strumento della coali
zione. Una scommessa già alla base della nuova legge elettorale e
dell’ampio consenso parlamentare che il PD vi ha costruito intor
no, e che da oggi si trasforma in un impegno politico a tutto campo.
Ora, chiunque abbia la maggiore età sa bene che l’esperienza
italiana in fatto di coalizioni è piena di luci e ombre.
Per tutto il ventennio della seconda repubblica non sono manca
te le occasioni in cui la fragile tenuta delle coalizioni ha impedito
sia alla destra sia alla sinistra di realizzare appieno il mandato
di governo ricevuto dagli elettori. E proprio lo sguardo al pas
sato (sia quello più remoto rivolto alla storia di difficoltà delle coalizioni, sia quello più recente che tiene conto del referendum del 4 dicembre), insieme alla consapevolezza della sfida del tutto nuova che alle prossime elezioni si giocherà tra populismo e democrazia, oggi spinge il PD al doppio passo della massima apertura verso gli alleati e del massimo rigore sui criteri con cui costruire la coalizione. Un’alleanza che intenda conquistare il consenso della maggioranza degli italiani e poi governare un Paese grande e complesso come l’Italia non può essere ridotta alla preparazione di una recita scolastica, dove far pesare ripicche e risentimenti. Per questo Renzi è stato chiaro nel liberare il campo da ogni ostacolo, persino quello rappresentato dagli insulti ricevuti dal Partito Democratico per i lunghissimi mesi che hanno accompagnato e seguito una scissione giocata sul piano della delegittimazione pre-politica nei confronti di tutta la comunità del PD. Nessun ostacolo, dunque, e nessun fraintendimento su quello che deve tenere insieme la coalizione: da un lato la consapevolezza dell’avversario comune che troviamo in quella destra vecchia e nuova che tiene insieme il Movimento Cinque Stelle e un Polo delle Libertà che si va ricostruendo sotto l’egemonia di Salvini; dall’altro la volontà di andare avanti sulla strada delle riforme, eventualmente migliorando quel che c’è da migliorare ma senza invertire la direzione di una marcia che ha finalmente permesso all’Italia di uscire dalle secche della crisi. Pretendere il contrario, ovvero chiedere che un’alleanza si possa basare sulla rinuncia a tutto quello che è stato fatto, non significherebbe tanto fare uno sgarbo al PD quanto piuttosto prendere in giro gli italiani e predisporsi ad una probabilissima sconfitta elettorale. Per questo restiamo ottimisti, convinti come siamo che interesse nazionale e centralità della lotta contro le destre siano le priorità di tutto quello che è alla sinistra di Grillo, Salvini e Berlusconi.
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SU DEMOCRATICA.COM
Conferenza programmatica Renzi “No veti a centro e a sinistra”A
Gentiloni “Pd perno della sinistra di governo”A
Manifesto Italia 2020. Costruiamola insieme
“Bisogna fare un’Italia nuova. Questa è la nostra ragione e la nostra missione: ricollocare l’Italia negli inediti scenari aperti dalla globalizzazione del mondo, riunire gli italiani sulla base di un rinnovato patto di cittadinanza, dare loro la coscienza e l’orgoglio di essere una grande nazione” Con questo impegno si apre il Manifesto dei Valori presentato alla nascita del Partito Democratico. Dieci anni dopo l’inizio di questa esperienza unica del riformismo democratico e progressista europeo, noi rinnoviamo la nostra
responsabilità per dare agli italiani una guida all’altezza delle sfide
che abbiamo di fronte(…) Il nostro compito è il rinnovamento della democrazia e la costruzione, su basi nuove, di un umanesimo capace di rimettere al centro la persona. Per ricostruire un’alleanza tra diritti, libertà e protezioni; tra opportunità e fragilità. Per tenere insieme prosperità e democrazia, economia e società. Per uno sviluppo sostenibile e inclusivo in grado di ricucire le diseguaglianze. Per investire sul capitale umano e sulla comunità, sapendo che Stato e mercato non bastano più (…)
Questo Manifesto definisce l’orizzonte principale del nostro impegno e
apre il percorso di partecipazione e ascolto che promuoveremo in tutto il paese e nella società italiana per la costruzione del programma di governo da presentare agli elettori per la prossima legislatura. Partiamo da Napoli nella consapevolezza della centralità di tutto il Mezzogiorno per il futuro del Paese. Quanto abbiamo fatto in questi anni non rappresenta la nostra meta. Noi sappiamo che il nostro impegno ora deve migliorare e rafforzarsi: fare di più e stare sempre all’altezza di questo sforzo è il nostro compito. (…) Non possiamo consentire che il Paese venga governato da forze estremiste, intenzionate solo a speculare sulla paura, a investire sulla chiusura e sull’isolamento alimentando facili promesse dopo averci portato sull’urlo del baratro negli anni passati. Non saranno le battaglie ideologiche per l’uscita dall’Euro o impraticabili proposte neo-assistenzialiste ad aiutare davvero gli italiani. Noi proponiamo al Paese la serietà, il buon senso e la responsabilità delle donne e degli uomini del Partito democratico. Proponiamo all’Italia di
avere fiducia nelle proprie forze. Proponiamo la speranza contro la paura.
L’Italia ha futuro. Sono prima di tutto gli italiani con le loro fatiche e le loro capacità a dimostrarlo ogni giorno. L’Italia ha futuro. E con questa convinzione profonda ci rivolgiamo a tutti gli italiani forti dei nostri valori: uguaglianza, libertà, solidarietà, equità. C’è ancora tanto da fare e noi siamo pronti a rimetterci in cammino.
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Orfini “Alleanze sì, ma senza sacrificare noi stessi”A

Cuperlo “Cambiamo percorso e stupiamo il Paese”A

Minniti “Il Pd non rinunci allo Ius Soli”A

Serracchiani “I nostri avversari sono i populismi”A

Conferenza programmatica
Intervista a Maria Rosaria Falcone
Intervista a Fillippo Barberis
“Solo un Pd forte può far tornare l’Italia protagonista in Europa”
Carla Attianese
F
ilippo Barberis, 34 anni, è il capo­gruppo del Pd in consiglio comunale a Milano ed è stato tra i protagonisti della Conferenza programmatica del
Pd, con un intervento dal palco in cui ha par
lato dell’esperienza virtuosa del governo di
centrosinistra a Milano.
Filippo, Milano può essere un modello
per l’Italia?
Certamente sì, la crescita che si è avuta a Milano negli ultimi anni può generare un impatto positivo per l’intero Paese. Come? Milano è un magnete di risorse, talenti e di imprese a livello internazionale e questo ne fa una porta d’accesso all’intero sistema Italia. Expo è stato un esempio di questo, le filiere dell’agroalimentare si sono organizzate per presentarsi in maniera più coesa ai mercati internazionali. C’è chi dice che la forza di Milano è che poco o nulla cambi se a governarla è la destra o la sinistra, è davvero così? E’ chiaro che la forza di Milano è anche la continuità su alcuni grandi progetti di riqualifica urbana e infrastrutturale, ma esiste una grande differenza di approccio tra destra e sinistra su almeno tre punti: l’attenzione al sociale e ai quartieri più degradati; l’attenzione all’ambiente e ai processi di sviluppo sostenibile con le scelte fatte su trasporti, ambiente e sharing economy; l’apertura internazionale, rispetto al messaggio della Lega Nord di chiusura impaurita, che qui diventa un fatto di sinistra. Tutto questo come può interessare i giovani? Io ho visto a Milano molti giovani avvicinarsi alle istituzioni, questo vuol dire che il buon governo attrae. Ciò non toglie che si lavora di bolina in un contesto in cui la sfiducia che attraversa il Paese si riverbera anche a livello locale. Il punto è che i giovani si riavvicinano non solo facendone una questione di comunicazione, ma essendo ambiziosi sulla proposta di cambiamento. Dobbiamo far vedere qual è la sfida più alta che il Pd vuole portare al Paese. E qual è questa sfida, oggi? Per essere ambiziosi come Pd e come Italia il lavoro va fatto nella dimensione europea, è lì che le grandi sfide della pace, della giustizia sociale, della sostenibilità ambientale, possono trovare una riposta efficace e solo un Pd forte ed europeista può far sì che l’Italia sia protagonista in questo processo. A proposito di Europa, la questione delle questioni resta l’immigrazione. Dal tuo osservatorio del governo di centrosinistra della città, hai visto cedimenti su questo fronte? Io non ho visto nessun cedimento culturale. Abbiamo fatto una marcia lo scorso 20 maggio in un momento in cui eravamo sotto attacco e anche in controtendenza rispetto al partito nazionale. Dopodiché se noi vogliamo essere una sinistra di governo dobbiamo saper coniugare valori su cui non vogliamo retrocedere, come l’accoglienza, con la capacità gestire i processi in maniera sostenibile. Dobbiamo raccontare che l’accoglienza è sostenibile e che non un’invasione. Minniti su questo è per noi un punto di riferimento e anche aver lavorato con 80 Comuni, facendo rete, è stata una risposta che al netto dell’inerzia europea ci ha consentito di gestire il fenomeno un maniera ragionevole. Dunque concretezza, ma anche ideali, è questo il linguaggio con cui parlare ai giovani? Non c’è altro modo per riavvicinare i giovani che proporre degli ideali ambiziosi e coraggiosi. Da qui al 2018 non dovremo solo difendere quello che di buono abbiamo fatto, ma dobbiamo raccontare come vogliamo trasformare l’Italia e l’Europa da qui ai prossimi anni, senza aver paura di essere ambiziosi.
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SU DEMOCRATICA.COM
“Per riavvicinare i giovani il Pd torni nei
luoghi dei conflitti”
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M
aria Rosaria Falcone, salernita­na, classe 1993, è la responsabile organizzativa dei Giovani demo­cratici in Campania e dal palco
della Conferenza programmatica del Pd è stata protagonista di un intervento dai toni forti a appassionati, in controtendenza rispetto a numeri e statistiche che raccontano di una generazione disinteressata e lontana dalla politica e dai partiti.
Maria Rosaria, c’è ancora spazio tra i giovani per la passione politica?
Certamente viviamo tempi molto complicati. I giovani non vedono la politica come uno strumento utile per la risoluzione dei problemi, dunque è difficile coinvolgerli. Io, noi, cerchiamo tutti i giorni di lavorare per stimolare e appassionare di più i giovani alla politica.
La vulgata è che non è più il tempo degli ideali che non c‘è più differenza tra destra e sinistra.
Io non credo che non esista più questa distinzione, destra e sinistra esistono eccome. Rispetto a questo dobbiamo batterci e dobbiamo riuscire a tornare nei luoghi dei conflitti.
Quali sono oggi questi luoghi?
Le scuole, le università, dove non ci siamo più e dove non riusciamo più a rappresentare gli interessi, così come nella società i cittadini non vedono più i partiti come luoghi per avvicinarsi alla politica.
Secondo te c’è ancora spazio e tempo per i partiti?
Sì, ma sulla loro struttura va fatto un investimento. Serve uno scheletro ma anche i contenuti, perché senza i partiti ci troveremmo a sostituire la cultura di cui sono portatori con la cultura del consenso, e sarebbe pericoloso.
Eppure c’è chi dice che i giovani oggi siano attratti da movimenti come i 5stelle.
Il motivo è il diffuso populismo nella società, ma diventa un voto di protesta che lascia il tempo che trova. Il nostro compito è intercettare questo disagio facendo capire che intendiamo rappresentarlo, perché è anche il nostro. Io sono una tirocinante e vivo gli stessi problemi di tanti miei coetanei.
Secondo te dal qui al 2018 il Pd riuscirà a riavvicinare le generazioni più giovani?
Il Pd deve avere la possibilità di rifiorire. Ce la metterò tutta, ce la metteremo tutta per intercettare il consenso delle giovani generazioni e metterlo a disposizione del Pd.
Chiudiamo sul Sud e su quello che significa per una giovane fare politica qui.
E’ molto complicato perché esiste ancora un divario con il Nord che interessa il lavoro e la qualità della vita. Ma io come ha sempre detto Renzi penso che se riparte il Sud, riparte l’Italia. Qui abbiamo tante realtà virtuose che dobbiamo valorizzare, il Governo deve continuare a investire qui, perché investire sul Sud è investire sull’Italia.
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Torino
Ed ecco ancora una volta i fari puntati su Torino. La città che doveva essere per il Movimento Cinque Stelle il simbolo del buon governo grillino – accanto a Roma, ma lasciamo perdere – giorno dopo giorno di-mostra l’inconsistenza del progetto politi-co voluto dalla Casaleggio Associati. Certo la figura rassicurante e in parte “estranea” al Movimento di Chiara Appendino sembrava potes-se dare una spinta di cre-dibilità, e invece giorno dopo giorno la giunta torinese sprofonda. In questo caso il pro-tagonista è il capo di gabinetto, o meglio l’ex, di Appendino, Paolo Giordana. Giordana, fedelissi-mo e braccio destro della sindaca, è stato costretto alle dimissioni per via di una multa: in-tercettato dalla Guardia di fi-nanza per la vicenda giudiziaria sui debiti non iscritti a bilancio nel 2017, Giordana ha chiesto al numero uno del Gruppo torinese trasporti, Walter Ce-resa, di cancellare una multa inflitta a un suo amico per non aver timbrato in tempo il biglietto dell’autobus. Il gior-no dopo, il 26 luglio, Ceresa lo ricontat-ta: “Paolo, tutto a posto quella cosa che mi hai detto”. Lo stesso Giordana era stato salvato già in occasione della vicenda di piaz-za San Carlo, quando nella piazza che ospitava i tifosi juventini durante la finale di Champions si creò il panico, panico che causò un morto e 1562 feri-ti. Allora era stato proprio Giordana a coordinare l’organizzazione dell’even-to, ma grazie alla difesa della sindaca e dei vertici del M5s, riuscì a mantenere il suo posto. Dunque la sindaca di Torino perde il suo braccio destro, ma non è l’unico suo problema, dalla questione bilan-cio, per cui la sindaca è indagata, allo scari-cabarile con il gover-natore del Piemonte sui conti della città, mossa tipica degli amministratori del M5s che scaricano le loro inefficienze sulle amministrazioni precedenti (vedi Raggi a Roma). La situazione a Torino, una città ben ammini-strata per molti anni, rischia di fini-re nel baratro del malgoverno, dell’as-senza totale di idee e di scorrettezze amministrative, forse di reati: non è un bel vedere, per una città per anni amministrata nel migliore dei modi. Francesco GeraceLEGGI SU DEMOCRATICA.COM La sindaca Appendino indagata, insieme all’ex capo di gabinetto del Comune Paolo Giordana e l’assessore al Bilancio Sergio Rolando,per un falsonel bilancio del Comune di Torino per un debito di 5 milioni non iscritto. L’ultima figuraccia di Appendino, una sindaca in crisi Durante il corteo di protesta per il G7 del lavoroci sono stati scontri che hanno provocato il ferimento di 8 agenti. Durante le proteste sono stati ghigliottinatii fantocci di Renzi e Poletti. La manifestazione vedeva la presenza di consiglieri del M5s. Francesca Frediano, consigliere M5s, ha pubblicamente chiesto la scarcerazione di Andrea Bonadonna, uno dei leader del centro sociale Askatasuna. Durante la finale diChampionstra Juventus e Real Madrid, tra i tifosi juventini che assistevano alla partita scoppia il caos. Il bilancio: un morto e 1562 feriti. CONDIVIDI SU Cacciato il capo di gabinetto che aveva fatto togliere una multa di un amico
Formazione politica
Il partito, una scuola e il senso di un viaggio intitolato a Pasolini

Giulio Seminara CONDIVIDI SU

LLo scorso fine settimana, nella splendida cornice marina di Pietrarsa affacciata su Ischia e Capri, e precisamente dentro la gloria meccanica del Museo Nazionale Ferroviario che ieri
sfornava fieramente locomotive e carrozze
à gogo contribuendo all’Unificazione Nazio
nale quasi più dei governi, si é conclusa la
“scuola di partito Pier Paolo Pasolini”, con
una sarabanda di ragazze e ragazzi festan
ti non per un diploma da cameretta ma per
aver partecipato a un viaggio. Tuttavia per
dire bene dove siano andati e perché, biso
gna prima tornare all’ottobre del 1949 e di
rigerci nella fresca Casarsa, dove un giovane
insegnante e poeta dal volto pensoso e sca
vato, appassionato di calcio e politica, ve
niva espulso dal Partito Comunista italiano
per presunta “amoralità” e l’accusa di “cor
ruzione di minore”, ma soprattutto perché
era omosessuale. Probabilmente il rigore
bigotto della sinistra di allora ci regalò la li
bertà anarchica e provocatoria di un genio
di penna e telecamera, ma la ferita, attraver
so i decenni e le varie sigle della sinistra, ha
continuato a sanguinare e il senso di colpa a
pulsare. Per questo intitolare la scuola di for
mazione del Partito Democratico a Pier Pao
lo Pasolini era cosa certamente non facile e
scontata ma forse dovuta, anche a noi stessi.
Inoltre queste scuse, per cecità e insensibili
tà, appaiono ancora più sincere se accompa
gnate dall’approvazione delle Unioni Civili.
Ma era proprio al Pasolini senza più tesse
re e censure che volevamo rendere omag
gio e nella libertà che volevamo viaggiare, e
quindi per dirla con le parole dell’ideatore
Massimo Recalcati si doveva fare una scuola di formazione come luogo “alto” di riflessioni sul nostro passato e sul nostro futuro. Un luogo non effimero, ma destinato a durare nel tempo. Il suo destinatario privilegiato sono le nuove generazioni. Inutile dire che i molti detentori di patenti morali e lasciti storici-politici-poetici pensavano a una tra-sh edizione de Il Vangelo secondo Matteo (Renzi) che avrebbe accoltellato il poeta e riproposto le stesse parole, le stesse facce, le stesse certezze. E invece in questi mesi di
appuntamenti, di lezioni ciascuno scelga da chi o e confronto, alle ragazze da quale tema farsi se-e ai ragazzi provenien-
durre e quale destino ti da tutta Italia sono
inseguire. D’altronde state proposte le idee
il poeta non avrebbe e le visioni di altri per-
voluto una classe di sonaggi e di altri mon-
robot. E che la scuola di: cultura, economia,
sia iniziata a Milano, diritto, filosofia e tante
locomotiva d’Italia, per altre libere finestre, la-
concludersi vicino Na-sciando semmai al PD e poli, tra le antiche loco-
Conclusa la stagione della Scuola intitolata al grande intellettuale e poeta
ai suoi dirigenti la platea, la voglia di prendere appunti e la riconquista del dubbio e della conversazione in un tempo di slogan e urla. Che privilegio sentire parlare di globalizzazione, psicologia, capitalismo, sostenibilità e diritti con competenza e semplicità, non male il partito che scommette sulla formazione dei suoi giovani e si fa università. D’altronde se il fine della scuola era la fuga dal contingente e dalla superficialità, il filo rosso del viaggio era invece intrecciato dai tanti temi che, visti tutti adesso insieme, costituiscono il grande e ambizioso puzzle del Partito Democratico. Per questo oltre ai, fra i tanti, cari Veca, Farinelli e Re-calcati, era giusto mettessero a disposizione la loro passione anche Veltroni, Cuperlo, Ca-
stagnetti e lo stesso Renzi che infatti tra lo specchio e la finestra ha detto di preferire la finestra. Verso quali orizzonti si affacceranno i giovani partecipanti alla scuola ancora forse non lo sanno neanche loro, ma da oggi avranno qualche strumento in più, avendo percorso tanti chilometri, incontrato tanta gente nuova, proveniente dagli angoli più lontani e diversi del Paese, posto le domande giuste, ascoltato le risposte e scelto da soli a quali credere. Se doveva essere un film di Pasolini era forse a suo modo Teorema,
motive del Regno d’Italia
in una vecchia struttura di
eccellenza Made in Sud, pro
prio sotto la statua di Federico II di Borbone e nelle terre di Se Sanctis, probabilmente lo avrebbe fatto sorridere, dato anche il contesto di divisioni e voglia di autonomie. In tempi di treni e partenze questa scuola di partito ha intanto fornito un bel bagaglio di cultura e formazione per l’On the Road politico e, magari anche sentimentale, di chi vorrà proseguire su questa strana e appassionante strada che é la politica italiana.
Ps. Il primo romanzo di Pasolini inizialmente si intitolava La Meglio Gioventù e c’erano la politica e dei giovanissimi protagonisti.
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FOTO, VIDEO, ANALISI, COMMENTI SU COSA SUCCEDE FUORI DALL’ITALIA
Italiani all’estero, il vero made in Italy da proteggere

Alessio Tacconi CONDIVIDI SU

C’è un’altra “Italia fuori dall’Italia” di cui il Paese è chiamato a prendersi cura. Non si tratta solo di investire risorse, ma di fare in modo che i nostri concittadini all’estero si sentano compresi, considerati, seguiti e protetti
verso il progetto Erasmus, di cui nel 2017
Deputato Partito Democratico
IIl Rapporto “Italiani nel Mondo 2017”,
si festeggia il trentesimo anniversario dalla nascita. Sarebbe miope e antistorico voler bloccarne i benefici effetti, positivi non solo presentato qualche giorno fa dalla per lo sviluppo di una moderna mobilità ma
Fondazione Migrantes, ci conferma gli
impressionanti numeri della nuova mo
bilità. Sono, infatti, quasi cinque milioni gli
Italiani residenti all’estero e iscritti all’A.I.R.E. Detto in altri termini, essi rappresentano oltre l’8% del totale dei residenti in Italia, con un aumento, nel solo 2016, di 124.000 unità.
Questi numeri, tuttavia, rendono conto solo in parte della dimensione di un fenomeno che ricorda quello del secondo dopoguerra, quando l’Italia era un “paese di emigranti”: infatti, molti, lasciando il Paese, non si iscrivono all’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero e, restando sconosciuti alle istituzioni, non entrano nelle statistiche ufficiali.
Al netto di una conoscenza di base, a noi non interessano tanto le statistiche, o meglio non interessa sapere con esattezza scientifica quanti connazionali hanno recentemente lasciato il nostro Paese. Ci interessa soprattutto prendere coscienza del fenomeno e della sua entità, conoscerlo nel dettaglio, comprendere le ragioni e le cause che lo alimentano: solo così saremo in grado di governarlo, di “navigarne l’onda”, di immaginare iniziative e programmi di sostegno a queste nuove mobilità.
Sono personalmente convinto che questo fenomeno, lungi dall’affievolirsi, sia probabilmente inarrestabile e destinato ad assumere in futuro dimensioni sempre più rilevanti, anche quando le condizioni economiche del Paese e il mercato del lavoro potranno offrire a tutti valide alternative all’emigrazione. Ne è una prova il fatto che tra le regioni con il più alto tasso di mobilità verso l’estero troviamo Lombardia e Veneto, che vantano indici molto alti di produttività e di benessere economico. Se ne può concludere che una parte di questi nuovi migranti lascia il Paese in cerca di nuovi stimoli e di nuove esperienze. E continuerà a farlo. Il mondo globalizzato, in cui è ormai naturale muoversi facilmente e rapidamente, vedrà sempre più cittadini che, magari per un breve periodo della loro vita, decidono di fare e condividere nuove esperienze all’estero.
D’altra parte, è bene ricordare che la mobilità, la conoscenza e gli scambi tra le diverse culture del Vecchio Continente sono stati direttamente e convintamente promossi dalla stessa Unione Europea attra-
anche per l’inarrestabile crescita di un’identità
europea in un’Europa in cui, nonostante la nazio
nalità dichiarata sul passaporto, non ci si sente più
stranieri.
La maggior parte degli interventi che leggo in questi giorni a commento del Rapporto della Fondazione Migrantes, si sofferma sul depauperamento delle risorse umane che questa nuova mobilità provoca nel tessuto socio-economico del Paese. Certamente non possiamo non considerare che ogni persona che se ne va, specialmente se qualificata, porta con sé il suo bagaglio di conoscenza e di esperienze e, quindi, il suo potenziale contributo al Paese, senza contare la perdita del capitale investito per la sua formazione.
Una politica lungimirante deve non solo cercare di arrestare questa emorragia, creando in Italia le condizioni per far sì che l’emigrazione non sia dettata dalla necessità, ma risponda a una libera scelta, ma trasformare in risorsa la presenza degli Italiani nel mondo, anche per recuperare quel capitale che sembra andare perduto con la cosiddetta “fuga”.
Alcuni partono già con un contratto di lavoro in tasca; altri partono e basta, sperando di trovare fortuna. Gli uni e gli altri, in diversa misura, hanno tuttavia comuni esigenze quando devono affrontare le mille difficoltà legate all’inserimento nella nuova società d’accoglienza. Agli uni e agli altri le istituzioni devono fornire assistenza e risposte che li accompagnino nel nuovo cammino.
C’è un’altra “Italia fuori dall’Italia” di cui il Paese è chiamato a prendersi cura. Non si tratta solo di investire risorse, che pure sono importanti, per erogare servizi all’altezza di un grande paese. Si tratta soprattutto di fare in modo che gli italiani all’estero sentano la vicinanza del Paese e delle sue istituzioni, si sentano compresi, considerati, seguiti e protetti nel loro essere “cittadini del mondo”.
Per far questo, è necessario un impegno corale di tutti gli attori coinvolti, dalle istituzioni centrali alla rete diplomatico-consolare, dalle rappresentanze di base alle associazioni e ai patronati, dagli enti gestori agli Istituti Italiani di Cultura e alla Società Dante Alighieri.
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