Della Redazione Di Democratica
n. 43 giovedì 5 ottobre 2017
“La crescita a Roma? Nella capitale sono cresciuti solo i topi” (Lino Banfi)
Rivoluzione fiscoTasse È record nel recupero dell’evasione grazie a innovazione digitale e semplificazioneA PAG 2-3
TORINO
Appendino senza idee attacca la sinistra
Chiamparino: “Noi abbiamo cambiato la città. La sindaca dica cosa vuole farne”.
A PAGINA 4
“
#10ANNIPD
Un partito necessario ma ancora incompiuto
Claudia Mancina
L’L’ambizione non ci mancava. Volevamo fare un partito contemporaneo, postideologico
ma non a-valoriale, aperto, cioè “dei” cittadini nello spirito dell’art.49 della Costituzione, europeo nel senso di potenzialmente proiettato a portare scompiglio e spirito di rifondazione nelle famiglie politiche europee più attente alla modernità, a partire da quella socialista. Ci siamo riusciti? Solo in parte. Avevamo puntati addosso gli occhi di tanti osservatori anche stranieri, che intuivano che nella nostra iniziativa si annidavano potenzialità di cambiamento preziose ben oltre i confini del sistema politico italiano. Coglievamo un interesse vero non solo tra i giovani ma anche tra quanti ci dicevano “ecco, finalmente potrò iscrivermi a un partito”. Perché allora il risultato non fu, visto nel tempo, del tutto soddisfacente. Sostanzialmente per tre ragioni. La prima. Ci siamo ben presto accorti che non tutti i partecipanti all’impresa avevano lo stesso grado di convincimento, e una certa frettolosità non ci ha aiutato a capire bene le cose che non andavano.
SEGUE A PAGINA 4
POLITICA
Giachetti: “D’Alema? Un giocatore d’azzardo che non vince mai”
A PAGINA 5
Focus Evasione Molto spesso sentiamo parlare di evasione fiscale come sinonimo di zavorra per la crescita. Gli ultimi dati parlano di 111 mi-liardi di euro all’anno sottratti alla col-lettività, cifre spaventose su cui molto c’è ancora da fare. Poche volte, però, vengo-no sottolineati i buoni risultati ottenuti negli ultimi anni sul fronte del contrasto. L’Agenzia delle entrate, recentemente, ha messo in risalto il recupero dell’evasione avvenuto nel triennio 2014-2016 (da 11 a 19 miliardi). Per tre anni con-secutivi è stato registrato un record dopo l’altro, mese dopo mese, fino a raggiungere i 19 miliardi del 2016, la somma più alta mai incassata dalle Entrate. Le politiche di contrasto all’evasione fiscale del governo Renzi hanno quindi generato risultati tangibili. Sono i numeri a dirlo. Ma è soprattutto sul piano qualitativo che è uti-le soffermarsi. Se i risultati sono arrivati, infatti, lo si deve so-prattutto al nuovo approccio messo in campo dal governo, quel principio di base che ha per-messo di combattere l’evasione senza trasforma-re il contrasto in una vessazione pura e semplice, furbi quando il fisco dialoga con il cittadino Stefano Minnucci CONDIVIDI SU RecuperatiSEGUE A PAGINA 3 Un nuovo approccio: nessun favore a chi evade e fisco amico per chi è in regola 0 2011 2012 2013 2014 2015 2016 20 15 10 5 12,712,513,114,214,919,0Dati in miliardi di euro I dati sul recupero dalla lotta all’evasione Dichiarazione precompilata: oltre 2 mln di italiani la inviano da soli
Focus Evasione
SEGUE DA PAGINA 2
creando al contempo un meccanismo di fiducia con il cittadino. In pratica nessun favore a chi evade e fisco amico per chi è in regola. Basti pensare ai 500 milioni recuperati nel 2016
–
è la stessa Agenzia delle Entrate a sottolinearlo – che sono arrivati grazie al dialogo preventivo con il cittadino, dando ai contribuenti la possibilità di rimediare per tempo agli errori commessi e pagando sanzioni ridotte. Le parole chiave del nuovo fisco le ha sottolineate più volte il nuovo direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini: “Meno burocrazia, carta e timbri, meno adempimenti e ingiustizie, meno distacco dalla vita reale di chi produce con l’obiettivo è quello di cambiare il significato della parola fisco: da autorità che impone obblighi e basta a fornitore di servizi per adempiere quegli obblighi, da nemico ad amico”. D’altra parte è proprio su questo nuovo rapporto con i cittadini che si basano i nuovi strumenti di rivoluzione digitale come la fatturazione elettronica e la dichiarazione dei redditi precompilata, che nel 2016 è stata presentata da ben 2,1 milioni di cittadini. Ed è sempre su questi principi che il precedente governo ha deciso di chiudere Equitalia (una delle prime proposte che uscì dall’edizione 2010 della Leopolda) e di riformare la Riscossione che nel biennio 2015/2016 ha recuperato 17miliardi (record anche in questo caso) di euro cambiando passo e introducendo nuovi strumenti, e servizi. Risorse utili a sostenere i servizi erogati dallo Stato e ai bilanci di migliaia di enti locali e Comuni. È importante sottolineare, infine, come il nuovo approccio dell’Agenzia delle entrate possa rappresentare un nuovo motore di sviluppo per tutto il Paese, un concetto ribadito in diverse occasioni da Ruffini, secondo il quale “un sistema fisco più efficiente e chiaro crea e attrae nuovi investimenti, anche internazionali”.
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SU DEMOCRATICA.COM
Nuovi strumenti: la fatturazione elettronica
I nuovi dati Ocse
“Le riforme funzionano. Più lavoro e più contratti fissi”
Sono circa 850.000 i posti di lavoro, con un aumento dei nuovi contratti a tempo indeterminato, creati grazie alla spinta delle riforme strutturali messe in campo dai governi italiani negli ultimi anni.
Lo certifica l’Ocse nel report sulla ‘Strategia per le competenze’ presentato oggi. Tra le riforme che per l’Ocse vanno nella giusta direzione ci sono il Jobs Act, definito una ‘pietra miliare del processo di riforma’, la
Buona scuola, Industria 4.0, Garanzia Giovani e la legge Madia sulla P.A. Per quello che riguarda il futuro, per
l’organizzazione parigina una spinta
decisiva può arrivare adesso dalla Strategia
nazionale della competenze dell’Italia, un
progetto che il Governo italiano conduce in
collaborazione con l’Ocse e il sostegno della Commissione Ue. In questo scenario sono 10 le sfide identificate per promuovere le
competenze, spingendo su una maggiore partecipazione di donne e giovani al lavoro, sulla formazione continua, sugli studi avanzati
e sull’innovazione.
Città M5S?
Intervista a Sergio Chiamparino
“Noi abbiamo cambiato Torino. La sindaca
La sindrome Raggi ha contagiato Chiara Appendino. La sindaca di Torino decide di appellarsi allo “scaricabarile”, esercizio ripetuto con stucchevole continuità dalla sua
dica cosa
collega. Nel presentare un piano di rientro da 80 milioni, Appendino punta il dito contro
la gestione economico-finanziaria degli ultimi 30 anni. Durissima stoccata nei confronti
di Piero Fassino: “Non ha detto la verità ai torinesi”. La replica non si è fatta attendere:
“E’ falso. Anzi, i risultati che abbiamo ottenuto in questo senso sono inoppugnabili. Per
vuole farne”
cui o è in malafede o deve tornare sui banchi della Bocconi”.
Appendino come Raggi: “scaricabarile” sulle giunte precedenti
Stefano Cagelli CONDIVIDI SU
PPresidente, la sindaca Ap-pendino ha presentato un piano di rientro da 80 milioni e lancia quella che chiama “un’operazione verità”, puntando il dito contro la
gestione trentennale del centrosini
stra torinese. Come si sente di rispon
dere a queste accuse così dirette?
“Faccio notare che in questi 30 anni il volto della città è cambiato. Cito solo le più grandi innovazioni portate a compimento: la prima, e per ora unica, linea di metropolitana funzionante, il termovalorizzatore che ha risolto il problema della gestione del ciclo dei rifiuti, il rilancio dei musei e della dimensione culturale della città, la riqualificazione di intere aree della città, la creazione di nuovi spazi. E poi quella piccola cosa che sono state le Olimpiadi, che credo abbiano contribuito a dare un certo impulso alla città”.
Appendino accusa addirittura i suoi
predecessori di aver tenuto nascosto
lo stato dei conti.
“La sindaca è in difficoltà, posso capire l’esigenza di trovare un bersaglio politico. Ma siccome il debito di cui parla è stato fatto per investimenti e non per spesa corrente, dovrebbe avere il coraggio di dire quali sono gli investimenti che non avrebbe fatto e soprattutto quali vorrebbe o non vorrebbe fare per il futuro. Colpisce che chi urla tanto contro l’austerità, poi non capisca se c’è una cosa di cui c’è bisogno per ricominciare a crescere, sono gli investimenti.
Senza gli investimenti fatti in questi
anni, cosa sarebbe Torino oggi?
“Prima c’è stata la crisi industriale tra gli anni ’90 e 2000 che ha avuto come epicentro – economico e simbolico – Fiat. Poi è arrivata la crisi finanziaria che ha colpito questa città come tutto il mondo. Se non avessimo avuto questi 20 anni di
investimenti pubblici, si sarebbero sparse le ceneri su Torino”.
Pensa che i cittadini torinesi abbiano capito lo sforzo fatto e i risultati che ha prodotto?
“Le dico solo che girando per Torino ci sono ancora molte persone che mi fermano per strada e mi chiamano ‘sindaco’. Io difendo la dignità del lavoro che abbiamo fatto e la dignità dei torinesi che non sono persone che si fanno prendere per i fondelli. Certo, il processo è lungo, la città ha cambiato in pochi anni la sua vocazione, ma abbiamo creato le condizioni per tornare a crescere”.
Dell’amministrazione Cinque Stelle di Torino ha colpito nel primo anno l’apparente moderazione nel modo di approcciarsi all’amministrazione la città, specie se confrontata con l’esperienza romana. Cos’è cambiato secondo lei negli ultimi mesi?
“Stanno venendo fuori le contraddizioni di una galassia molto composita. Nella maggioranza che sostiene la giunta grillina ci sono membri di centri sociali come Askatasuna e personaggi moderati che hanno lavorato anche nelle nostre giunte. Queste contraddizioni o le si gestisce e le si governa, oppure vengono fuori. Certo, mediare è possibile solo tra ciò che è mediabile”.
Ci sono ancora le condizioni per un proficuo dialogo istituzionale tra Comune e Regione?
“Io il dialogo istituzionale lo ricerco, sono stato eletto per fare gli interessi dei piemontesi e quindi anche dei torinesi. Da parte mia ci sarà sempre disponibilità a collaborare, come stiamo facendo d’altronde sul Salone del Libro e sul trasporto pubblico. Sono però stupito del fatto che la rivisitazione critica che la sindaca ha fatto del passato sia stata fine a se stessa, senza cenni sul merito delle cose che secondo lei non avremmo dovuto fare e, soprattutto, senza una visione per il futuro”.
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Torino a Cinque Stelle: violenza e tagli
Governo
“Senza Pd non c’è il centrosinistra, ma ognuno dovrà assumersi le sue responsabilità”
D’Alema Pisapia
“Gli avversari stanno da un’altra parte del campo, non da questa”
“Il popolo del Pd non sarà mai mio nemico”
Intervista a Roberto Giachetti
“Il Pd è sempre più il partito di Renzi e chi non insorge è complice di questa linea”
“Renzi ha distrutto il Pd, lo ha svuotato di contenuti e ne ha completamente svilito l’ispirazione politica”
“Finché vivrò, Renzi non potrà mai stare tranquillo. È totalmente estraneo alla sinistra”
“Mdp ha giocato alla roulette russa e ha perso. Sono del tutto irrilevanti”
Agnese Rapicetta CONDIVIDI SU
GGiachetti, Mdp con la forzatura sul Def è in cerca di visibilità politica? Più che visibilità giocano alla roulette russa. La questione è chiara. D’Alema si è adoperato per mettere in atto una prova di forza ma abbiamo visto come è andata a finire. Come spesso accade quando D’Alema è protagonista, la situazione ha preso risvolti negativi. Ma un risultato c’è: la certificazione di una rilevanza politica praticamente nulla.
Quindi la linea D’Alema ha prevalso ancora, ma a che costo? Pisapia si ribella, l’alleanza con Mdp scricchiola: siamo già alla scissione dell’atomo?
Non so con quale fine si è agito ma di certo vedo la stessa continuità politica che ha caratterizzato tutta la carriera dalemiana, non è davvero una novità. Aveva detto che avrebbe lasciato la politica per dedicarsi all’Europa e non l’ha fatto. Ha detto di aver lasciato di propria iniziativa il suo posto da deputato ma non è vero: è stato alla Camera
dal 1987 al 2013. Lo Statuto del Pd prevede che non si possano fare più di tre legislature, si può fare una deroga, ma non 9! Poi ha giustificato il suo ritorno in politica perché cacciato dai Socialisti europei. Anche su questo bisogna chiarire:
D’Alema non fa più parte del Movimento dei Socialisti europei perché ha lavorato per l’indebolimento del Pd, provocandone la scissione. Oggi la storia si ripete ed è leader di un partito che secondo quasi tutti i sondaggi si aggira intorno al 2%. La scissione è stata fatta soltanto per rispondere all’esigenza di un folto ceto politico
D’Alema ha voluto fare una prova di forza ma, come spesso succede, gli è andata male
rimasto senza rappresentanza, ma il popolo li seguirà? Per ora sembra proprio di no.
E infatti sulla legge elettorale Mdp
sembra agitarsi molto…
Tutti quelli che sono in Mdp si sono sempre messi contro qualsiasi proposta di legge elettorale. Lo hanno fatto con l’Italicum, lo
hanno fatto con il Tedeschellum, lo stanno facendo con il Rosatellum. In nessuna occasione hanno mostrato di voler partecipare attivamente a questo processo, perché in realtà non hanno nessuna intenzione di cambiare l’attuale legge elet
torale.
Si preoccupano di non riuscire ad entrare in Parlamento
Ma neanche se prevediamo un ‘bonus omaggio’ con queste percentuali, che comunque rispetto, potrebbero entrare. E’ questo quello che rischia chi non rappresenta niente.
Però una cosa positiva
D’Alema lo ha fatto: criticando l’allenatore della Roma ha ‘provocato’ una serie di vittorie sul campo Sono preoccupatissimo. Ho saputo che ha chiesto scusa a Di Francesco. Sono terrorizzato per quello che potrà succedere nelle prossime partite.
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Ridatecelo! LegalitàLa vicenda Battisti in pillole 1979 Cesare Battisti, membro del Pac (Proletari Armati per il 1
Democratica
NNuovo capitolo per l’ideale e infinito libro sulla vita di Cesare Battisti. L’ex terrorista, latitante dal 1981, è stato arrestato a Corumbà, in Brasile, vicino al confine con la Bolivia. Secondo i media brasiliani il 62enne stava tentando di fuggire nel Paese sudamericano. Per il giornale O Globo, l’italiano sarebbe stato fermato dalla polizia stradale federale Prf (Polícia Rodovißria Federal) durante un blitz. Un portavoce del
la polizia federale brasiliana ha invece riferito all’agenzia Reuters che “Battisti è stato fermato a Corumbà e che non si tratta di un arresto”.
Appena una settimana fa i legali di Battisti avevano depositato una richiesta di ‘habeas corpus’ davanti al Tribunale
Cesare Battisti è stato arrestato nei pressi della frontiera tra Brasile e Bolivia
supremo federale del Brasile per evitare una sua possibile estradizione in Italia. Da parte dei suoi difensori c’è infatti il timore che il presidente Michel Temer possa cedere alle pressioni del governo italiano e concedere il trasferimento nel nostro Paese del terrorista.
A stretto giro di posta è arrivato da Twitter l’appello del segretario Pd Matteo
Comunismo), viene arrestato.
Renzi: “Battisti stava fuggendo in Bolivia. L’hanno preso. Adesso le autorità brasiliane lo restituiscano all’Italia, subito. Chiediamo giustizia”.
Battisti è stato condannato all’ergastolo per gli omicidi di Antonio Santoro, un maresciallo della penitenziaria, del gioiellieri Pierluigi Torregiani, del macellaio Lino Sabbadin, e di Andrea Campagna. Ha ottenuto lo status di rifugiato politico in Brasile dall’ex presidente della Repubblica, Luiz Inacio Lula da Silva, il 31 dicembre del 2010, nell’ultimo giorno del suo secondo mandato.
Si trova in Brasile dal 2007, dopo
essere scappato dalla Francia
dove era arrivato nel 1990.
L’ex membro del Pac (Pro
letari Armati per il Co
munismo), dopo l’arre
sto nel 1979, due anni dopo evade dal carcere di Frosinone e fugge Oltralpe con una piccola parentesi in Messico. Negli anni sono numerose le richieste di estradizione e nel 2009 la Corte
suprema brasiliana concede
anche l’ok, ma trattandosi di
una decisione non vincolante lascia l’ultima parola al capo dello Stato.
Lula però sceglie una strada diversa e il successore Dilma Roussef prosegue nello stesso solco. Negli ultimi mesi, però, Temer aveva aperto ad una possibile estradizione, prima del tentativo di fuga di oggi.
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2 3 4
56 7 8 9
1981
Evade dal carcere di Frosinone e
fugge in Francia. Alla fine dell’anno
si sposta in Messico.
1985
Viene condannato in contumacia
all’ergastolo perché responsabile
di quattro omicidi e vari altri reati (sentenza confermata dalla Cassazione nel 1991).
1990
Torna in Francia.
1991
Viene arrestato dopo la prima richiesta di estradizione del governo italiano ma viene dichiarato dal governo francese non estradabile.
2004
Esplode il caso Battisti : la Francia
concede l’estradizione ma lui fugge
in Africa attraverso la Corsica.
2007
Viene arrestato a Copacabana, in Brasile.
2009
Il Brasile accorda a Battisti lo
status di rifugiato politico, poi revocato lo stesso anno.
2010
Il Brasile rifiuta ancora l’estradizione in Italia di Cesare Battisti
#10anniPd
Dieci anni Pd appare contemporaneamente un parti-to necessario e un partito incompiuto. Ne-cessario perché porta avanti, sia pure con lentezze, esitazioni e contraddizioni, una elaborazione delle tradizionali posizioni attribuire a questa fusione. Credo invece che entrambe quelle tradizioni fossero deboli, vecchie, gravate da contraddizioni, e in conclusione poco riformiste. Entrambe, per la loro parte maggio-ritaria, accettarono la prospettiva della nuova forza politica più per necessità che per una vera scelta. E si industriarono a porta-re nella nuova botte il vino vecchio. Due esempi a caso: dopo die-ci anni il Pd non è ancora riuscito a elaborare una linea coerente sulla giustizia o sulla scuola, due temi sensibili nella storia del centro democratico così come in quella della sinistra riformista. Per non parlare del lavoro: la riforma di Renzi è ancora sentita Claudia Mancina CONDIVIDI SU
Un partito necessario ma ancora incompiuto: le grandi sfide davanti al Pd
Adistanza di dieci anni dalla sua nascita, il
della sinistra, richiesta da un mondo che è cambiato e continua a cambiare; ma anche perché, in un quadro politico ormai da anni in smottamento, è l’unico partito che conserva una qualche par
venza di stabilità, l’unico dotato di statuto, procedure, regole democratiche. Tuttavia incompiuto, perchè l’operazione iniziata dieci anni fa, a suo modo audace, se si pensa alla immobilità del sistema dei partiti precedente, rotta soltanto dalla crisi politico-giudiziaria del 1992-93, è stata fin dall’inizio monca. Il Pd era l’evoluzione fisiologica e la proiezione partitica dell’esperienza dell’Ulivo, fondato nel 1995 e consolidatosi nelle elezioni del 1996. Nasceva quindi con un ritardo di più di dieci anni; un ritardo dovuto ad opposizioni e resistenze non tanto sotterranee, destinate a pesare per tutta la sua vita successiva. Resistenze che in alcune circostanze – come in quel 2007 – ci si illuse di aver superato, ma che periodicamente sono riemerse, provocando le dimissioni di Veltroni nel 2008, il ritorno indietro della segreteria
Bersani, e infine il virulento attacco al segretario Renzi, culminato pochi mesi fa nella scissione. Queste resistenze sono state e sono certamente legate a ambizioni e rivalità personali; ma sarebbe un errore ridurle a questo. Alla base ci sono diversi orientamenti di cultura politica, relativi sia alle politiche di governo sia alla forma-partito. Prima Veltroni e poi Renzi hanno tentato, con alterno successo, di aggiornare e rivedere le culture politiche delle due principali tradizioni confluite nel partito, quella ex-comunista e quella ex-democristiana. A differenza di Natale e Fasano, autori di un interessante bilancio della breve storia del Pd (L’ultimo partito, Torino, Giappichelli, 2017), non credo affatto che le difficoltà e le incertezze incontrate fino ad ora siano da
(nonostante i buoni risultati concreti) da gran parte del corpo politico del Pd come un errore, anzi un tradimento, da revocare appena possibile. La mancanza di una elaborazione culturale nuova per un nuovo partito ha condotto alle oscillazioni e contraddizioni di cui
siamo testimoni ogni giorno. Il Pd non
Roma – 14 ottobre – ore 10:30
2007-201710ANNIPD
ha ancora una cultura politica comune,
Teatro Eliseo via nazionale
che possa riconoscere come propria: su questo Natale e Fasano hanno senz’altro ragione. Allo stesso modo, il Pd non ha un’idea univoca, o perlomeno maggioritaria, sulla forma-partito, in particolare sul ruolo del leader. Anche qui, non si tratta solo di antagonismi personali; si tratta di una divaricazione culturale di fondo tra chi ha in mente i vecchi partiti di massa del novecento e chi sta dentro alla società contemporanea, nella qua-walter veltroni le la personalizzazione è ormai un fatto acquisito e inevitabile ben prima e ben
paolo gentiloni
più largamente che nella politica. La
matteo renzi
personalizzazione – o leaderismo – c’è e
non l’ha certo inventata Berlusconi; l’ha
prodotta la televisione cinquant’anni fa (si può simbolicamente far risalire al duello televisivo tra Kennedy e Nixon) e non si può revocare. Piuttosto varrebbe la pena di esercitarsi a pensare come può essere interpretata in senso democratico. Le primarie sono un esempio di questo. Potrebbero esserci altri modi? Lo chiediamo ai nemici del leaderismo. Molte sfide, molti difficili appuntamenti, in Italia e in Europa, sono di fronte al Pd. Se il partito sarà in grado di affrontarle con successo dipende in gran parte dalla sua capacità di svecchiare e rinnovare la sua cultura politica, andando oltre i miseri contrasti e le sterili polemiche a cui si cerca di inchiodarlo.
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