Della Redazione Di Democratica
n. 40 lunedì 2 ottobre 2017
“Cosa vuol dire democrazia? Vuol dire prima di tutto fiducia del popolo nelle sue leggi” (Piero Calamandrei)
EDITORIALE
Il risultato
“
di riforme coraggiose
“CATALOGNA / 1
L’avventurismo di una minoranza
Stefano Ceccanti
NNon si possono giudicare le vicende di un Paese isolando uno o più fotogrammi dall’insieme di una storia: parte dei nostri media e social hanno immortalato persone che volevano votare e forze dell’ordine che volevano impedirlo. A prima vista sembra tutto chiaro.
SEGUE A PAGINA 5
L’Istat certifica la più forte crescita di posti di lavoro degli ultimi dieci anni Più occupati e meno inattivi
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CATALOGNA / 2
“
Ma Barcellona chiede politica, non violenza
Guelfo Guelfi
ÈÈevidente che quel che leggiamo, quel che vediamo in tv, non è sufficiente a comprendere quel che sta succedendo a Barcellona. Se poi indugiamo e indaghiamo le foto allora prende corpo quel sentimento di simpatia per quanti insistono nel voler esprimere il proprio parere anche se della cosa poco prima gli importava il giusto .
SEGUE A PAGINA 5
Marco Fortis
Nel periodo giugno-agosto di quest’anno si è registrata in Italia una crescita degli occupati rispetto ai tre mesi precedenti di ben 113 mila persone che dimostra la continuità del miglioramento del mercato del lavoro. In particolare, ad agosto 2017 gli occupati sono aumentati di altre 36mila unità rispetto al mese precedente. La crescita anno su anno rispetto ad agosto 2016 è stata di 375mila occupati ed ha interessato entrambe le componenti di genere e tutte le classi di età ad eccezione dei 35-49enni (coorte su cui pesa però un forte calo demografico strutturale). Dunque gli occupati sono tornati abbondantemente sopra i 23 milioni (ad agosto erano 23 milioni e 124mila, per la precisione) e siamo ormai a sole 65mila unità in meno rispetto al massimo storico pre-crisi toccato nell’aprile 2008 (23 milioni e 189mila). Merito della ripresa economica e soprattutto del Jobs Act. Durante il governo Renzi e il successivo governo Gentiloni il miglioramento del mercato del lavoro è stato ininterrotto. Basti pensare che rispetto al febbraio 2014 oggi abbiamo ormai quasi un milione di posti di lavoro in più.
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REFERENDUM
“La Lega fa solo propaganda”. Parla Gori
PAGINA 5
PAPA FRANCESCO
“Qui in Emilia, dove il welfare funziona”
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Focus Economia
Occupati,
il milione
ormai c’è
Nel periodo giugno-agosto di quest’anno si è registra-ta in Italia una crescita degli occupati rispetto ai tre mesi precedenti di ben 113 mila persone che dimo-stra la continuità del miglioramento del mercato del lavoro. In particolare, ad agosto 2017 gli occupati sono aumentati di altre 36mila unità rispetto al mese precedente. La crescita anno su anno rispetto ad agosto 2016 è stata di 375mila occupati ed ha interessato entrambe le componenti di genere e tutte le classi di età ad eccezione dei 35-49enni (coorte su cui pesa però un forte calo demografico strutturale). Dunque gli occupati sono tornati abbondantemente sopra i 23 milioni (ad agosto erano 23 milioni e 124mila, per la precisione) e siamo ormai a sole 65mila unità in meno rispetto al massimo storico pre-crisi toccato nell’aprile 2008 (23 milioni e 189mila). Merito del-la ripresa economica e soprattutto del Jobs Act. Durante il governo Renzi e il successivo governo Gentiloni il miglioramento del mercato del lavoro è stato ininterrotto. Basti pensare che rispetto al febbraio 2014 oggi abbiamo ormai quasi un milione di posti di lavoro in più (+978 mila, per la precisione). Un progresso su cui quasi nessuno scommetteva anche solo un paio di anni fa. Basta andare a rileggere i titoli dei giornali di allora e i tanti commenti che criticavano le de-contribuzioni e la riforma del mercato del lavoro, giudicate incapaci di produrre risultati efficaci. Invece la storia è andata diversamente e da marzo 2014 ad agosto 2017 si contano 565mila occupati dipendenti a tempo indeterminato in più, a cui si aggiun-gono 545mila dipendenti a termine in più, mentre il numero di lavoratori indipendenti è diminuito di 136mila unità. Il peso dei dipendenti permanenti sul totale degli occupati è salito dal 63,9% dell’a-prile 2008 al 64,8% dell’agosto 2017, cioè abbia-mo oggi una quota di posti di lavoro stabili più alta di prima della crisi. Vale la pena ricordare altre cifre significati-ve. Sempre rispetto a febbraio 2014 ad agosto 2017 il tasso di disoccupazione totale è sceso di 1,7 punti percentuali (dal 12,8% al 11,2%) e quello della disoccupazione giovanile di 8,5 punti percen-tuali (dal 43,6% al 35,1%). I disoccupati sono diminu-iti di 368mila unità. Inoltre, ad agosto 2017 il tasso di occupazione ha toccato il 58,2%: per trovare un livello così elevato bisogna tornare indietro al novembre 2008. Ultimo ma non meno importante elemento da sottolineare è il forte calo degli inat-tivi, senza il quale la diminuzione del tasso di disoccupazione sareb-be stata anche maggiore: basti pensare che durante i governi Renzi e Gentiloni gli inattivi sono calati complessivamente di ben 921mila. In conclusione, rispetto ad inizio 2014 l’Italia ha oggi un milione di posti di lavoro in più e quasi un milione di inattivi in meno. Ri-mangono problemi gravi, tra cui il tasso di disoccupazione giovanile ancora troppo elevato e il ritardo del Mezzogiorno nel recuperare i livelli occupazionali pre-crisi, mentre in alcune aree del Settentrio-ne siamo ormai quasi in presenza di situazioni di carenza di mano-dopera. Sono asimmetrie che originano in buona parte anche dalle inefficienze dei centri per l’impiego. Il Jobs Act va completato, i gio-vani che cercano invano lavoro al Sud vanno aiutati a trovarlo al Nord. Ma le condizioni economiche del paese stanno complessiva-mente migliorando di mese in mese, come conferma anche l’indice manifatturiero di Markit di settembre. Il mix di riforme e ripresa sta dando i risultati sperati. Marco Fortis CONDIVIDI SU Da inizio 2014 a oggi un milione di posti di lavoro in più e un milione di inattivi in meno Tendenza ultimi 4 anni Agosto 2016 – 2017, dati destagionalizzati valori assoluti in migliaia di unitàOccupati Agosto 2016 – 2017, dati destagionalizzati valori percentuali Tasso di disoccupazione LEGGI SU DEMOCRATICA.COM
M5S
La violenza genetica del Movimento Cinque Stelle
Andrea Romano CONDIVIDI SU
LLuigi Di Maio si veste bene, sta migliorando la padronanza della lingua italiana e prova a trasmettere un’immagine rassicurante e di sé e del Movimento Cinque Stelle. Ma c’è un limite
oltre il quale l’operazione di restyling este
tico del grillismo non può andare. E quel
confine è rappresentato dal codice genetico
di un partito nato e cresciuto nel culto della
violenza verbale. Una pratica coltivata fin
dai primi passi del Movimento (in manife
stazioni di piazza dove l’insulto veniva san
tificato e trasformato in programma politi
co), rafforzata nel corso degli anni dentro le
palestre virtuali dei social e diventata ormai
una parte costitutiva del grillismo. Per que
sto l’affermazione secondo cui “le violenze
non fanno parte del Dna del M5S”, con cui
Di Maio ha tentato di mettere una toppa alla
connivenza mostrata dai Cinque Stelle pie
montesi verso gli episodi di violenza esplosi
durante il G7, è l’ennesima falsità di un par
tito che prova sistematicamente a rovescia
re la realtà nel suo contrario.
Anche in questo caso, la verità è esatta
mente all’opposto di quanto sostiene il
suo portavoce: la violenza è parte inte
grante del Dna del Movimento Cinque
Stelle, e pretendere di nasconderla dietro lo schermo delle buone maniere di un Di Maio qualsiasi è un’operazione fasulla a cui non può credere nessuno. D’altra parte è sufficiente essere stati di passaggio anche per un solo giorno, negli ultimi anni, su uno dei tanti luoghi virtuali dove vive la propaganda M5S per avere piena con
sapevolezza del livello di que comunità vive anche intolleranza di cui si ali
di linguaggi condivisi, se menta quel movimento.
le parole che utilizzo (e Qualunque opinione o
incoraggio a utilizzare) idea che non corrispon-
sono quelle dell’insulto da all’ABC del perfetto
e del pestaggio non c’è
Qualunque avversario del M5S viene demonizzato come un nemico da disprezzare
grillino è considerata espressione di diversità antropologica, qualunque avversario è demonizzato come un nemico da disprezzare (con ampia e generosa indulgenza al discredito
personale e fisico), qualunque offesa o minaccia è considerata accettabile da un gruppo che ha fatto del pestaggio virtuale e retorico la modalità principale della sua azione politica. In uno spazio definito da queste pratiche, la distanza che corre tra violenza verbale e violenza fisica è una variabile labile e indipendente. Non è questione di buona educazione né di abbigliamento ma di sostanza, dura e impegnativa, della propria identità politica:
se la semina è fatta di ingiurie, demonizzazione e discredito fisico e morale è del tutto probabile che tra i frutti del raccolto vi sia una rilevante quantità di violenza. La stessa violenza che riempie da anni le gallerie di proclami, linciaggi e impiccagioni virtuali lungo le quali è cresciuto il culto del grillismo. E dal momento che qualun-
da stupirsi che prima o poi qualcuno ti prenda sul serio e cominci a passare dalla teoria alla prati
ca. Come è accaduto, in più
di una occasione, nella storia
politica del nostro Paese e come
abbiamo visto accadere da ultimo durante gli scontri piemontesi contro il G7. Mentre Chiara Appendino prova a pattinare tra le diverse anime della sua maggioranza e Di Maio sventola le sue grisaglie ministeriali, rimane ben ancorata ai fatti e alle parole la realtà di un movimento che non può fingere di non essere nato e cresciuto intorno ai totem della violenza e dell’intolleranza.
LEGGI
SU DEMOCRATICA.COM
Torino a Cinque Stelle: violenza e tagli
M5s
Antagonista ferisce un poliziotto E i grillini lo difendono assieme ai No-Tav
A poche ore dalla chiusura dei tre vertici del G7 sullo sviluppo ospitati alla reggia di Venaria, la polizia arresta Andrea Bonadonna, quarantenne esponente di punta del centro sociale Askatasuna. L’accusa: ha picchiato un poliziotto, procurandogli ferite guaribili in 40 giorni. C’è però chi difende il leader del centro sociale di Torino, come la consigliera regionale del M5S in Piemonte, Francesca Frediani.
Una giunta incapace di gestire i grandi eventi
Sabato 3 giugno a Torino, in Piazza San Carlo, migliaia di persone
che si erano radunate per seguire la finale di Champions League tra
Juventus e Real Madrid sono scappate prese dal panico dopo un falso allarme, provocando una violenta ressa in cui sono rimaste ferite 1527 persone. Una ragazza di 38 anni ha perso la vita nei giorni successivi.
Spagna e Italia
Gori: Autonomia, la Lega dice falsità
Silvia Gernini CONDIVIDI SU
IIeri si è svolto il referendum in Catalogna: sindaco Gori, una sua
valutazione?…
Sono stati fatti molti errori da tutte le
parti, ma il governo centrale non ha
avuto la capacità di gestire le istanze au
tonomiste della Catalogna. Quando il tribuna
le costituzionale bocciò lo Statuto dell’autono
mia votato dal Parlamento catalano, il governo
avrebbe dovuto aprire un processo di riforma
della Costituzione in senso federalista, rispetto
all’assetto di autonomie che la Spagna si è data
dal 1978. Nel momento in cui la casa comune
diventa sempre più l’Europa, negli Stati nazio
nali si rafforza un sentimento di radicamento
alle proprie culture e non soltanto in Spagna.
Penso che lo strumento per assecondare queste
spinte e mantenere tutto in una cornice di unità
sia una linea di federalismo moderno, cosa che
Rajoy non ha minimamente cercato di coltiva
re.
La Lega ha dichiarato che il referendum in Catalogna è una cosa diversa dalla consultazione che si terrà in Lombardia il 22 ottobre. Secondo lei?
È certamente così se guardiamo il contenuto del quesito referendario, ma la propaganda che la Lega ha montato attorno al referendum ha delle traiettorie che non sono così lontane da quello di cui si dibatte in Spagna. Quando la Lega dice “se passa il referendum, i lombardi potranno trattenere 27 miliardi di tasse che versano allo Stato” sta di fatto parlando di secessione e questo è totalmente diverso da quello che c’è scritto sul quesito.
La Lega sta guardando più alle prossime elezioni regionali che non al referendum in sé?
Assolutamente sì. Maroni è stato immobile per cinque anni, ha rinviato via via il referendum e non ha fatto un passo serio per aprire la trattativa con il governo. Si è tenuto il referendum come meccanismo preelettorale giusto a cinque mesi dalla scadenza del suo mandato; è
chiaro che questa è la cosa che gli interessa di più.
Comunque il Pd ha deciso di sostenere il referendum. Perché, sindaco?
Sull’oggetto del referendum siamo tutti a favore del sì. Ed è difficile trova-
Il sindaco di Bergamo sul referendum voluto dalla Lega: “Libertà di coscienza”
re un lombardo che non sia a favore di un percorso per il rafforzamento dell’autonomia regionale. L’istanza di trasferimento di 12 competenze era stata votata in Consiglio regionale anche dal PD che è assolutamente favorevole a questo tipo di prospettiva. Ma il PD ha fortemente contestato lo strumento che è inutile, pretestuoso e molto costoso. Pertanto il PD alla fine ha deciso di lasciare libertà di voto. Chi ha preso una posizione più esplicitamente per il sì sono stati i sindaci dei capoluoghi lombardi e i presidenti delle Province del centrosinistra, tra cui me, proprio perché non volevamo lasciare dubbi sul fatto che la nostra posizione sia per l’autonomia costituzionale e perché da questa posizione abbiamo più credibilità nel mettere in luce tutti i limiti e le falsità della propaganda leghista.
Non c’è il rischio che questo discorso non venga capito?
Non credo. Valerio Onida sul Corriere della Sera dice esattamente quello che diciamo noi: sì all’autonomia e no alle frottole che gli hanno montato sopra. Ma questa non è una ragione per non andare a votare. Credo che vada anche un po’ svelato questo bluff elettorale: dicendo sì è come se dicessimo “veniamo a vedere”. La Lega su questo tema è stata cinque anni con le mani in mano; se vinceremo, questa cosa la faremo insieme all’Emilia-Romagna ed eventualmente anche al Veneto. Con il presidente Bonaccini abbiamo individuato un percorso comune e alcuni temi prioritari per andare al tavolo con il governo e discutere di quali materie sia logico lasciare la competenza alle Regioni. La Lega non ha mai espresso alcuna indicazione puntuale sulle competenze, a parte la sicurezza che però sappiamo per certo che non può essere trasferita alle Regioni.
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Catalogna/1. L’avventurismo di una minoranza
Stefano Ceccanti CONDIVIDI SU
Segue dalla prima
CCome non simpatizzare per le schede anziché per le pallottole, per i ballots anziché i bullets? Raccontare però le cose in questo modo, con un afflato romantico che tradisce spesso la frustrazione per chi da giovane voleva magari essere protagonista di
una rivoluzione democratica e che non ne ha avuto la fortuna, non
è molto sensato. Anche perché tutta questa gente che voleva votare
non era l’intero popolo catalano ma solo una sua minoranza. Alla fine
le strutture legate al Governo hanno dovuto ammettere che avrebbe
votato poco più del 40% degli aventi diritto, peraltro quando i media
hanno dimostrato che si poteva tranquillamente votare più volte. Alla
fine, contando anche una dose di doppi e tripli voti, stiamo parlando
sì e no di un catalano su tre favorevole al referendum indipendentista.
Il fine, anche se fosse buono, andrebbe perseguito con mezzi legali. Se
esci dalla legalità devi sapere cosa ti aspetta. La reazione di chi detiene
il monopolio legittimo dell’uso della forza deve essere proporzionata e
su questo si può certo discutere nel caso concreto, sulle modalità effet
tive, ma non sul diritto-dovere in sé di difendere la legalità costituzio
nale. Va benissimo indicare la strada del dialogo, delle concessioni, di
una maggiore apertura alle istanze territoriali differenziate, però, for
se, ci vorrebbe anche un po’ d’intransigenza sulla legalità costituziona
le e sull’impossibilità di restare nell’Ue qualora la secessione dovesse
avere successo contro una democrazia costituzionale. L’intransigenza
di questa natura è senz’altro meno romantica ma è un dovere europeo.
Non si può essere equidistanti. Contro Rajoy è giusto esprimere criti
che politiche ma gli indipendentisti sono fuori dalla legalità costituzio
nal. Rispetto a questo avventurismo la distanza deve essere massima e
senza ambiguità, oltre che senza romanticismi infondati.
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Catalogna/2. Ma quella di Barcellona non è una bizza
Guelfo Guelfi CONDIVIDI SU
Segue dalla prima
IIn quelle foto, nelle riprese televisive, si vedono chiare fisionomie da sabato pomeriggio al supermercato: signore col gilet, un orecchino di perla, la borsa al braccio come quando si va a far quattro chiacchiere con una amica o a trovare un malato; si vedono belle ragazze e giovanotti perbene, si sentono toni pacati e canti, si vedono i pompieri in divisa, gli atleti e la tifoseria del Barcellona, insomma mentre la questione che aveva i suoi pretesti come sempre eccessivi virava verso un sacrosanto sentire tutti prendevano posto nelle foto. “Alla stazione c’erano tutti” compresa la guardia civil in assetto antisommossa. Non servivano provocazioni il mandato era di per se una provocazione. Si dice del silenzio assordante dell’ Europa e del Re. Cioè un grande Paese della comunità europea si mostra al mondo come incapace di governare le proprie contraddizioni spingendosi fino a bastonare i pompieri e Bruxelles tace, come ispirata dal proprio sovrano che riprende il silenzio del monarca spagnolo. Ci sono reti carsiche che s’intrecciano. Per esempio le monarchie conviventi con i parlamenti non si rendono vicendevolmente inutili ? Non si dispongono quasi sempre ad argine di proiezioni evolutive che potrebbero puntare alla modernità delle relazioni istituzionali. Non può essere che questo chiasso a Barcellona sia e resti il prodotto di una stupida bizza. E non può essere che il futuro nasca da un accordicchio. Ormai alla signora con il gilet, che è uscita spingendo la vecchia madre in corrozzella, al fianco del nipote liceale, gli è venuta spontanea una domanda : perché non potremmo essere una Repubblica! Federata , moderna, democratica e civile ? Se solo riuscissimo a far si che qualcuno ce lo chiedesse noi sapremmo come rispondere : Filippo potrebbe salutare i sudditi e Bruxelles avrebbe davvero qualcosa da emulare. E se nascesse una bella assemblea costituente ?
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Focus Papa Francesco in Emilia-Romagna
Il Papa, la buona politica e il welfare che funziona
Agnese Rapicetta CONDIVIDI SU
CCesena, Bologna, Emilia Romagna: proprio da quelle terre, da sempre avanguardia di un modello sociale e culturale per il Paese, parte il messaggio di Papa Francesco che sovrasta il vociare
delle tante, troppe, voci dell’antipolitica. La
messa nello stadio Dall’Ara di Bologna, gre
mito di fedeli, rimarrà infatti nella memoria
come un vero e proprio discorso “politico”.
Di chi ama la politica e destinato a chi, inve
ce, ne è rimasto deluso.
Il Papa ha elogiato e benedetto, senza
mezze misure, il “modello Emilia” che tiene
insieme benessere e giustizia, lavoro e wel-
fare, ricchezza e attenzione per i più deboli.
Un modello che deve essere esempio: “Solo
il dialogo, nelle reciproche competenze – ha
detto Francesco – può permettere di trovare
risposte efficaci e innovative per tutti, anche
sulla qualità del lavoro, in particolare l’indi
spensabile welfare. È quello che alcuni chia
mano il Sistema Emilia. Cercate di portarlo
avanti”. In questo periodo non può non es
sere citata la questione della cooperazione
e dell’integrazione, che del Sistema Emilia
è l’esempio più eclatante e che “ha ancora
molto da offrire, anche per aiutare tanti che
sono in difficoltà e hanno bisogno di quell’a
scensore sociale che secondo alcuni sarebbe del tutto fuori uso”.
“Da questa piazza vi invito a considerare la nobiltà dell’agire politico in nome e a favore del popolo – ha detto poi Papa Francesco a chi è accorso per ascoltarlo a Cesena- che si riconosce in una storia e in valori condivisi e chiede tranquillità di vita e sviluppo ordinato. Vi invito ad esigere dai protagonisti della vita pubblica coerenza d’impegno, preparazione, rettitudine mora
le, capacità d’iniziativa, longanimità, pazienza e forza d’animo nell’affrontare le sfide di oggi, senza tuttavia pretendere un’impossibile perfezione”.
Un monito per tutti quelli che ai problemi complessi della nostra società vogliono rispondere con ricette semplicistiche e veloci. Ma anche per chi si serve della politica
per scopi personali, lontanissimi dal bene comune: “La corruzione, la corruzione è il tarlo della vocazione politica, la corruzione non lascia crescere la civiltà e il buon politico ha anche la propria croce quando vuole essere buono
perché deve lasciare tante volte le sue idee personali per prendere le iniziative degli altri e armonizzarle, accomunarle perché
Il Papa loda la legge sui piccoli Comuni
“H“Ho visto che è stata approvata la legge sui piccoli comuni: credo che sia una cosa importante, che valorizza i piccoli centri”. Con queste parole papa Francesco si è rivolto ieri al presidente dell’Anci, Antonio Decaro, dopo l’udienza in Vaticano a cui ha preso parte una delegazione di oltre 200 sindaci.
sia proprio il bene comune a portare avanti. In questo senso il buon politico sempre finisce per essere un martire al servizio perché lascia le proprie idee ma non le abbandona, le mette in discussione con tutti per andare verso il bene comune e questo è molto bello”.
Alla buona politica spetta anche il compito di guidare e di non lasciarsi trascinare:
“Una politica che non sia né serva né padrona, ma amica e col
“Esigete una politica che non lasci ai margini alcune categorie, che non saccheggi e inquini le risorse naturali”
laboratrice; non paurosa o avventata, ma responsabile e quindi coraggiosa e pru
dente nello stesso tempo; che faccia crescere il coinvolgimento delle persone, la loro progressiva inclusione e partecipazione che non lasci
ai margini alcune categorie, che non saccheggi e inquini le risorse naturali – esse infatti non sono un
pozzo senza fondo ma un tesoro
donatoci da Dio perché lo usiamo con rispetto e intelligenza. Una politica che sappia armonizzare le legittime aspirazioni dei singoli e dei gruppi tenendo il timone ben saldo sull’interesse dell’intera cittadinanza”.
Una sfida non facile ma neanche impossibile. Una lezione che deve coinvolgere tutti.
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SU DEMOCRATICA.COM
Sabato 30 settembreFronte democratico, l’associa-zione di Michele Emiliano, ha celebrato a Bari il 30 settembre una giornata di confronto in vista della conferenza program-matica del Partito democratico. L’iniziativa dal titolo Divenire ha visto i sostenitori del gover-natore pugliese confrontarsi su idee e proposte da presentare in occasione della conferenza di fine ottobre.“Divenire” Sabato 30 settembre e Domenica 1 ottobreA Bagnoregio nel finesettimana èandato in scena il seminario dei Libe-ralPd dal titolo “Un’Italia Liberal in Europa” che ha visto la partecipazione dei vertici del Partito democratico, tra cui il segretario nazionale Matteo Renzi, membri del governo e ammi-nistratori locali. Nella due giorni si èparlato di partito, di riforme, di buoni modelli di amministrazione locale, di giustizia e di Europa. “Un’Italia Liberal in Europa” weekend Sabato 30 settembreSabato il Centro studi Aldo Moro ha organizzato un convegno sul rapporto tra i cattolici e politica, nell’epoca dell’eu-ropeismo e del nuovo regionalismo. Un convegno molto partecipato che ha visto la partecipazione di Matteo Renzi, il pre-sidente del parlamento europeo Antonio Tajani e monsignor Vincenzo Paglia. Dal palco di Orvieto il segretario del Pd ha voluto avvisare i suoi: “Ci sono sei mesi di campagna elettorale che non possia-mo fare urlando e gridando. Chi sta più a contatto col mondo moderato deve far capire che non scegliere il Pd alle pros-sime elezioni significa fare il più grande regalo possibile all’estremismo”. “I cattolici e la politica” Venerdì 29 e Sabato 30 settembre
“Per unire l’Italia”
A Rimini venerdì 29 e sabato 30
settembre è andata in scena la
prima festa nazionale di Dems, l’associazione di Andrea Orlando. Una due giorni di dibattiti che hanno visti protagonisti, oltre al ministro della Giustizia, la ministra dei Rapporti con il Parlamento Anna Finocchiaro, la presidente della Camera Laura Boldrini, David Sassoli, Vasco Errani, Paolo Calvano, Cesare Damiano, Silvia Velo, Stefano Bonaccini e Rossella Muroni.
agenda
#TerrazzaPd
Questa sera alle 18.30
Ironia sarcasmo e comunicazione politica
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Lavoro, innovazione, nuovi modelli sociali
Oggi a Jesi
alle ore 17.15 Hotel Federico II
Piano Impresa 4.0 Questa sera ore 20.00 Paolo Gentiloni Festival dell’Unità
Una stagione di riforme per l’Italia
Oggi 2 ottobre alle ore 21.00
Cam Garibaldi Corso Garibaldi 27,
Milano
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