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Democratica

Della Redazione Di Democratica

n. 33 giovedì 21 settembre 2017
“Nessun Paese può risolvere da solo le crisi del mondo, oggi è un’occasione per misurare il metodo multilaterale” (Paolo Gentiloni all’Onu)
3030miliardi
di tasse in meno
Unione europea La proposta di Renzi prende
quota: superare il fiscal compact per reperire nuove risorse e ridurre la pressione fiscale
PAGINE 2-3

EDITORIALE

E’ l’ora di un’Europa sociale
Tommaso Nannicini
LLe terze vie, si sa, sono complicate. Percorrere le vie più trafficate è sempre più semplice. Sull’Europa, però, è proprio una terza via quella che dobbiamo imboccare. Una terza via tra un euro-ottimismo inerte (quello di chi spera che passi la nottata, che l’economia riparta e i consensi dei populisti si asciughino, per tornare a fare quello che facevamo prima, lasciando immutata l’architettura istituzionale e l’insieme delle politiche europee) e un euro-scetticismo peloso (quello di chi trasforma l’Europa nel capro espiatorio di tutti i nostri mali, sperando di lucrare consensi dal disagio economico e sociale). Dire che l’Europa deve cambiare non vuol dire inseguire i populisti. Vuol dire fare quello a cui ogni europeista dovrebbe ambire: caricarsi dell’onere della prova rispetto agli strumenti con cui l’Europa può tornare a creare benessere e giustizia sociale. Perché in politica non sei misurato sulle conquiste di ieri, ma sui problemi che risolvi oggi.
SEGUE A PAGINA 2
MONDO
VIOLENZA
M5S
L’America
Non lasciamo
Livorno,
di The Donald
le donne
la penosa farsa
è più sola
da sole
di Nogarin
PAGINA 4
PAGINA 5
PAGINA 6
Focus Economia
Adesso è l’ora di un’Europa sociale

Tommano Nannicini CONDIVIDI SU
Segue dalla prima

IIl seminario organizzato martedì scorso nella sede del Pd, con la presenza di Matteo Renzi e Maurizio Marina, è stato un’occasione per confrontarci sulle proposte da mettere in campo per imboccare questa terza via. Docenti universitari, esperti, politici, sindacalisti, rappresentanti delle categorie produttive: tutti concordi sulla necessità di riformare la governance europea in senso più democratico. Riformando, appunto, e non solo completando l’Unione.
Lo ha spiegato con la consueta lucidità Sergio Fabbrini evidenziando alcune delle contraddizioni del piano Juncker. Non si può invocare il ministro dell’economia europeo e poi inserirlo in una logica intergovernativa (senza interrogarsi su come quello stesso schema non abbia funzionato in politica estera). E non si può invocare una politica fiscale comune pensando di farla con tutti gli attuali o addirittura con nuovi paesi membri (serve uno “sdoppiamento”, per dirla sempre con Fabbrini, tra chi vuole un’Unione ancora più perfetta e chi è interessato solo a un’area di libero scambio). Dobbiamo scegliere. O la prossima crisi sceglierà per noi.
In campo economico, non si tratta di fomentare il derby tra tifosi dell’austerità e della spesa in disavanzo. Ma di riconoscere che un
sistema di governance creato per tempi normali ha retto male alla prova della crisi. Dobbiamo ricostruire una doppia fiducia, quella tra paesi e quella tra istituzioni e cittadini. Il nostro obiettivo prioritario dovrebbe essere quello di creare un’Unione fiscale per l’Euro-zona. Creando, cioè, una vera e propria istituzione politica di livello europeo che sia in grado di emettere bond per gestire la domanda aggregata e intervenire nelle crisi di liquidità, usando come ga
ranzia flussi futuri di gettito fiscale ceduti dai paesi aderenti. Intendiamoci: questo significa cedere sovranità. Ma cedendola alla politica, a una politica europea che superi la logica intergovernativa.
E nella fase di transizione verso la nuova Unione fiscale, dovremmo convergere verso regole di bilancio allo stesso tempo più semplici e più sanzionabili di quelle esistenti. Regole che non ostacolino politiche congiunturali ben disegnate e accompagnate da riforme strutturali. Lasciando alla politica, nazionale ed europea, qualche margine di scelta trasparente in più. Stando attenti, come ci ha ricordato Francesco Giavazzi, a tutto quello che accompagnerà il dibattito verso il rafforzamento della politica fiscale europea, come la richiesta tedesca (già fermata dal governo italiano negli
scorsi anni) di introdurre regole particolarmente draconiane per pesare il rischio dei titoli di stato detenuti dalle banche. Non può esserci scambio tra flessibilità di breve periodo e regole mal disegnate che avrebbero un impatto negativo sulla nostra economia.
SEGUE A PAGINA 3
Focus Economia
(NANNICINI SEGUE DA PAGINA 2)
Regole più semplici per gli stati membri. E, a livello europeo, un segnale di svolta sulle politiche pubbliche, rafforzando la costruzione del pilastro sociale e facendo sentire la voce dell’Europa rispetto alle spinte disgreganti della competizione fiscale tra paesi e del dumping sociale. Come ha sottolineato Renzi in apertura, dobbiamo tornare con la mente a Ventotene. A un’idea di Europa, cioè, legata alla cooperazione tra stati e a un modello di welfare unico al mondo. Children Union, assicurazione europea contro la disoccupazione, armonizzazione della fiscalità d’impresa e lotta all’erosione internazionale di base imponibile, standard di diritti lungo tutta la catena di creazione del valore aggiunto: ecco l’agenda su cui lavorare.
Quella che ci aspetta nei prossimi mesi sarà una stagione di scelte
Cambiare la governance dell’Eurozona: ridurre tasse e rapporto debito/pil, investire sulla crescita
MMartedì si è tenuto al Nazareno un incontro sulla riforma della governance economica dell’Unione europea in cui il Pd ha presentato la propria tesi alle parti sociali Cgil, Cisl e Uil, al mondo accademico e a quello delle imprese. Nel suo intervento Matteo Renzi ha rilanciato la tesi del suo libro “Avanti”, ovvero tornare per 5 anni ai parametri di Maastricht, mantenendo il rapporto deficit-Pil al 2,9% e smantellando di fatto il Fiscal compact, che lui stesso ha giudicato “una risposta sbagliata” al problema dei debiti pubblici. Una proposta che non vuole liberare i Paesi da un sistema di regole, ma cambiare quello che non ha funzionato. Il ritorno a Maastricht, inserito in una dinamica di riduzione del debito e di rinnovamento delle istituzioni europee, sarà un punto chiave fondamentale per i prossimi anni. E soprattutto, potrà liberare importanti risorse, circa 30 miliardi di euro, per ridurre la pressione fiscale.
cruciali per l’Europa: adesso lo scoprono anche i giornali. Quando qualcuno lo faceva presente, domandandosi se fosse nell’interesse dell’Italia arrivarci in mezzo a una campagna elettorale, con parlamento e governo frenati da un orizzonte troppo corto, qualcun altro vi leggeva la bulimia di potere di chi voleva votare subito. Ora tutti scoprono le insidie, per l’Italia, di arrivare a questo appuntamento senza il capitale politico necessario per affrontarlo. Fa lo stesso. Il Pd in questo dibattito c’è e continuerà a esserci con proposte forti, europeiste, dando al governo tutto l’appoggio necessario per fare quanto possibile in un clima in cui l’incertezza elettorale ci toglierà un po’ di forza contrattuale. Basta che quel clima non ci tolga forza progettuale. Per scimmiottare Kennedy, è il momento di essere europeisti senza illusioni.
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SU DEMOCRATICA.COM
“La battaglia per cambiare l’Europa e il Paese la può fare solo una sinistra riformista.
“ “E noi siamo riusciti, unici, ad arginare l’ondata populista e anti-establishment” MATTEO ORFINI
“Vogliamo riformare la zona euro e l’Unione nel suo insieme,
e uscire definitivamente

dalla spirale tra tecnocrazia e populismo. Noi, a partire dal NO al Fiscal Compact,
proponiamo un nuovo patto
di legislatura con l’UE per le
riforme e la crescita, un governo democratico ed efficiente della zona euro e una vera Unione
Sociale Europa”
SANDRO GOZI
“Mettere in discussione l’attuale
impianto di regole fiscali UE non significa tornare al “liberi

tutti” che – negli anni Ottanta

ha distrutto i nostri conti pubblici raddoppiando il rapporto debito/Pil ipotecando il futuro di molte generazioni a seguire”
LUIGI MARATTIN
“Nel dibattito europeo si

comincia finalmente a parlare di flessibilità europea”
FRANCESCO GIAVAZZI
Mondo.com
FOTO, VIDEO, ANALISI, COMMENTI SU COSA SUCCEDE FUORI DALL’ITALIA L’America più sola è più debole

Stefano Bellentani CONDIVIDI SU

“A“And so I believe that at this moment we all face a choice. We can choose to press forward with a better model of cooperation and integration. Or we can retreat into a world sharply divided, and ultimately in conflict, along age-old lines of nation and tribe and race and religion. I want to suggest to you today that we must go forward, and not backward”. Cooperazione, integrazione, impegno per un mondo unito e non giù diviso da conflitti secolari. Sono parole del Presidente Americano all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York, il 20 settembre 2016. Un Presidente che poi ha proseguito: “Oggi una nazione che si circondi da muri imprigiona se stessa, per cui la risposta non può essere dire di no all’integrazione. Dobbiamo invece lavorare insieme perché i benefici di questa globalizzazione siano ampiamente condivisi”. Sono passati dodici mesi. Il presidente americano ha parlato nuovamente all’Assemblea delle Nazioni Unite quarantotto ore fa, con toni ben diversi: “Spenderemo quasi 700 miliardi di dollari in spese militari e di difesa. Il nostro esercito sarà presto il più potente di sempre”; “Il primo dovere del nostro governo è verso il suo popolo, i nostri cittadini – servire i loro bisogni, assicurare la loro sicurezza, preservare i loro diritti, e difendere i loro valori. Come presidente degli USA, metterò sempre davanti l’America. Finché resterò Presidente, difenderò sempre l’interesse dell’America sopra ogni altro”. Gli Stati Uniti probabilmente non sono cambiati in questi dodici mesi, con le loro grandi contraddizioni, le città e le coste democratiche, e l’immensa America profonda repubblicana. Il loro Presidente, sì. A settembre 2016 Barack Obama tenne l’ultimo intervento da Presidente all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, mentre le parole di Trump, scritte da Stephen Miller, giovane consigliere politico di estrema destra, rappresentano il suo debutto nello stesso consesso. Di “America First” si era discusso a lungo in campagna elettorale, quando tanti sottolinearono con scandalo e preoccupazione che così si chiamava un’organizzazione isolazionista ed antisemita che non voleva l’entrata in guerra degli Stati Uniti contro la Germania di Hitler. Allora, l’eventualità di una Presidenza Trump appariva però alquanto remota, mentre ora “Mr. America First” siede alla Casa Bianca ed ha sempre con sé il “nuclear football”, la valigetta in cui sono custoditi i codici necessari per scatenare un attacco nucleare. Particolare non trascurabile: l’ordine di un attacco nucleare non è in alcun modo contestabile. Una sola volta, era il 1973, un alto ufficiale delle Forze Armate americane, Harold Hering, alzò il dito e osò formulare la domanda cruciale: “Siete sicuri che non sia meglio controllare prima di eseguire l’ordine che il Presidente non sia impazzito?”. Gli suggerirono di prendersi un periodo di vacanza. “Ma lungo quanto?”, chiese.
Gentiloni: “Le sfide non si risolvono con i muri, è un’illusione”
“Quanto vuoi. Sei licenziato”.
Oggi l’America è più isolata, dopo un discorso così duro, ricco di termini solitamente utilizzati da governi autoritari e con la minaccia esplicita di risolvere il problema nordcoreano con la distruzione totale del paese. E c’è, soprattutto, un problema ulteriore: piaccia o meno, agli Stati Uniti è sempre stato richiesto uno sforzo in più, specialmente negli ultimi trenta anni: quello di essere collante di un mondo diviso. Quello di “leader del mondo libero” è un ruolo che hanno saputo assumersi. Ora quel ruolo è in discussione, sia tra Governi amici (inclusi i loro ricchi cittadini: una ricerca pubblicata dal Los Angeles Times stima un calo di 6,3 milioni di turisti in un anno dovuti alle controverse politiche di Trump) che tra quelli meno amici.
Se a non parlare più di bene comune sono gli Stati Uniti, come si potrà chiedere a Russia e Cina di assicurare politiche utili per l’intero globo, dal risparmio energetico alla riduzione dell’inquinamento, dalla diminuzione dell’arsenale sino al commercio internazionale?
Da New York esce un’America più debole, che urla di più ma – senza accorgersene – avrà l’abbassamento di voce quando sarà il momento di farsi sentire. Considerando le sfide senza precedenti che attendono il mondo nel prossimo futuro, non è rassicurante sapere di non potere contare più sugli Stati Uniti, in un momento in cui in Europa stanno moltiplicandosi le divisioni, dal Regno Unito che esce dall’Unione alle spinte secessioniste in Spagna sino ai governi di estrema destra nei paesi dell’Est, e con elezioni alle porte in Germania ed Italia.
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SU DEMOCRATICA.COM
Focus Violenza sulle donne
I dati
In aumento le violenze commesse dagli italiani
Sono in aumento le violenze sessuali che sarebbero state commesse dagli italiani, mentre diminuiscono di poco quelle che vedono responsabili gli stranieri. Se si fa un rapido calcolo il rapporto indica che questi ultimi sono responsabili dei 3/5 degli stupri.
In leggera diminuzioneil coinvolgimento degli stranieri
Le violenze con stranieri sotto accusa sono in leggerissima diminuzione, anche se come sopra già sottolineato in percentuale molto più alta, considerando la popolazione: 904 da gennaio a luglio di quest’anno contro le 909 dello stesso periodo dell’anno scorso.
2333 denunce di violenza da gennaio a luglio 2017
Il numero complessivo delle violenze sessuali da inizio anno è diminuito a luglio. Nel periodo compreso tra gennaio e luglio 2017 sono state 2333, contro le 2345 denunciate nello stesso periodo dell’anno scorso.
Non lasciamo le donne da sole

Carla attianese CONDIVIDI SU

I Igravi episodi di cronaca che si sono verificati quest’estate, a partire dalla raccapricciante storia della violenza subita su una spiaggia di Rimini da una coppia e da una trans, fino alla notizia di questi giorni di tre stupri avvenuti a Roma in una sola settimana, hanno riportato prepotentemente alla ribalta il tema della violenza sessuale, tanto che è ormai un titolo fisso da prima pagina, spesso raccontato fin nei
minimi particolari.
La sensazione è che un fenomeno stia mon
tando, ed è lecito chiedersi cosa stia accaden
do al nostro Paese nel 2017, in pieno XX secolo.
La premessa d’obbligo è che, come ha di re
cente ribadito anche la ministra con la delega
alle Pari Opportunità, Maria Elena Boschi, “la
violenza contro le donne non è questione di
numeri né di colore della pelle, perchè basta
una donna uccisa o violentata perchè si debba
parlare di emergenza” e che, ricordiamolo, la
violenza sulle donne equivale a una violazio
ne dei Diritti umani.
Ma è forse bene cogliere la scia del triste rac
conto di questi giorni per andare più a fondo
sui numeri del fenomeno in Italia, e per fare il
punto sulle azioni messe in campo finora.
Il confronto tra le due indagini sulla violen
za contro le donne, condotte dall’Istat nel 2006
e nel 2014, parlano di una lieve diminuzione delle violenze fisiche e sessuali (dal 13,3% all’11,3%), con una diminuzione sia delle violenze inflitte da partner o ex partner (dal 5,1% al 4%), che da non partner (dal 9% al 7,7%). Inoltre dall’indagine emerge che la violenza è più spesso raccontata, denunciata e supportata, sintomo di una maggiore consapevolezza anche da parte maschile. Di contro, aumenta la gravità delle violenze, insieme alla reattività delle donne.
Anche i numeri più recenti, forniti dal ministero dell’Interno, parlano di un lieve calo per il 2017 del numero complessivo delle violenze sessua
li, così come di un aumento Boschi: “Al di là dei numeri si deve continuare a parlare di emergenza”
delle violenze che sarebbe-simbolo, sono state illuro state commesse da ita-strate qualche giorno fa liani, a dispetto di chi di da Maria Elena Boschi. questo ha provato a fare Tra le azioni concrete, una bandiera. Di con-la formazione per gli tro, il Prefetto di Roma operatori dell’Arma dei
ha di recente parlato per quest’anno di un aumento del 6% delle violenze di genere nella Capitale.
Insomma quello della violenza sessuale è un fenomeno
costantemente presente (purtoppo) nella società, il cui contrasto passa, anche, per la battaglia contro un certo clima di impunità che ancora sull’argomento serpeggia.
Ma quali sono le azioni e le risorse messe
in campo fino ad oggi? Riguardo ai centri antiviolenza, il primo presidio per le donne sul territorio, lo stanziamento nel 2014 di 16 milioni di euro comincia a dare frutti e, al 2016, risultavano presenti nelle varie Regioni 272 centri e 186 case rifugio.
Quanto agli strumenti legislativi, l’Italia si è dotata nel 2013 di un Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, adottato dal Governo nel 2015 in attuazione della Convenzione di Istanbul, e a breve sarà pronto il nuovo Piano nazionale antiviolenza. Le linee guida del Piano, che ha visto la consulenza di Lucia Annibali, l’avvocato sfregiata con l’acido diventata un
Carbinieri e l’obiettivo di siglare un protocollo con la Polizia penitenziaria, per seguire gli autori dei reati ed evitare recidive, e un focus sulla violenza eco
nomica. L’obiettivo dichiarato dal
la ministra Boschi è di “non lasciare sole le donne e seguirle anche nel percorso successivo”.
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SU DEMOCRATICA.COM
Focus Movimento 5 Stelle
Il dramma di Livorno, la penosa farsa di Nogarin
“Pe ore e ore il sindaco della mia città non è stato rintracciabile. A Livorno non avete nemmeno provato ad avvertire dell’imminente pericolo. Sindaco si dimetta: glielo impone il mancato rispetto dei suoi doveri di primo cittadino”. Alessio Ciampini CONSIGLIERE COMUNALE PD “Sindaco, lei non si è preoccupato di telefonare per informarsi della situazione, continuando tranquillamente a dormire. Rassegni le proprie dimissioni per obbligo morale e di onore. Pietro Caruso CAPOGRUPPO PD IN CONSIGLIO COMUNALE Intanto in Sicilia
Dal Partito Per il Partito
Le Feste de l’Unità
Festa nazionale di Imola
“N“Noi sfidiamo la destra e i 5 Stelle, non le altre forze del centrosinistra. Voi dovete uscire
dalla logica della competizione con il
PD ogni giorno. Alcuni vivono anco
ra l’ossessione contro il nostro segre
tario e questo è profondamente sba
gliato. Sulla legge elettorale abbiamo
fatto l’ennesima proposta utile di me
diazione e voi che fate?
È ancora no?
Se si vuole guardare avanti occorre
provare a condividere il progetto per
l’Italia: per noi crescita e uguaglianza
devono unirsi a partire dal lavoro”.
Così il vicesegretario del Pd Maurizio Martina durante il dibattito alla Festa nazionale de l’Unità con Giuliano Pisapia.
Martina a Pisapia: “I nostri avversari sono destra e 5 Stelle Basta competizione con il Pd”
Festival dell’Unità di Roma
Tre giorni con la cultura al centro
Anna Ascani
UUna festa tematica è un’ottima occasione per cominciare a mettere sul tavolo i temi più cari a chi si occupa di cultura: da oggi a Sabato avremo quindi tre giorni di dialogo che coinvolgono partito, istituzioni, professionalità culturali e creative, accademici, società. È una festa che snoda il proprio programma connettendosi alla nostra idea di cultura. Per noi democratici cultura è il collante tra il ciò che passa e ciò che resta, tra le storie e la storia, tra il singolo e la comunità. È la risorsa nazionale strategica che è leva del nostro sviluppo economico (il 6% del PIL è prodotto da im
prese culturali e creative), è il più potente strumento di riduzione delle diseguaglianze, è il substrato della nostra identità.Durante i tre giorni di festa, parleremo quindi di cultura e di politiche culturali che sappiano dare forma alla nostra idea di società. A partire dalla grande intuizione dei mille giorni del governo Renzi: investire per ogni euro speso in sicurezza un euro in cultura. Un’intuizione da confermare anche nella prossima legge di bilancio.Per leggere i fenomeni complessi che il nostro tempo ci costringe ad affrontare occorre che l’agire culturale e politico diventino capaci di entrare nello spazio lacerato della società e riempirlo di senso e consapevolezza. Da stasera cominciamo a ragionare sugli strumenti che abbiamo per riuscirci.
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