Di Vittorio Venditti
(Foto), Di Salvatore Di Maria
Se Dio Vuole, Dovrei Aver Vinto
Come anticipato in ormai diverse occasioni, si è tenuta ieri la tanto attesa udienza che avrà deciso del mio destino a proposito di quanto mi ha contrapposto per sèi lunghi anni a chi, tronfia a suo tempo e speranzosa di trarre vantaggi da ciò che non le spettava, oggi trae sì qualcosa, ma se Dio vuole, solo le conclusioni alle quali è arrivata con il suo inutile agire. Io oggi non tratterò della parte legale del tema, aspettando il verdetto che dovrebbe arrivare a breve, ma ti racconterò la giornata dal punto di vista di ciò che è accaduto all’atto pratico. I fatti:
Ci eravamo accordati con Totore che alle sette antimeridiane di ieri mattina saremmo partiti per la “pugna” e così è stato. Alle sette e quaranta eravamo nei pressi del palazzo del tribunale, al centro di Campobasso. Trovato il parcheggio per gli invalidi libero, abbiamo lasciata l’automobile per tastare il terreno. Siamo entrati nel palazzo che ci avrebbe ospitati per la camera di consiglio e subito un primo malinteso: Uno dei vigilanti mi chiede se io fossi dipendente del tribunale dei minori ed io, in vena di scherzare, (tanta era la “tensione” per qualcosa di stupido sul nascere, ho risposto di no, ma mi stava venendo la voglia di dire che forse appartenevo al tribunale dei minorati… Il mio interlocutore incalza chiedendomi cosa ci facessi lì ed io rispondo chiedendo a lui di dirmi ove fosse situata l’aula G.U.P., come da indicazione fornita ufficialmente da ciò che ho scoperto poi non essere nemmeno un [download id=”1260″ format=”2″], ma ne tratterò dopo. Il vigilante mi domanda se fossi lì in veste di teste ed io rispondo che “no: dovrei essere qui in veste d’imputato!”; Il Nostro, probabilmente sentendosi preso in giro, con aria alterata c’invita a questo punto a sottoporci ai controlli di rito, cosa che noi eseguiamo senza se e senza ma, entrando poi nei corridoi del piano terra a cercare la stanza che dopo diversi giri non troviamo. Passando però, notiamo un altro ingresso, “riservato” ma regolarmente aperto a chi che sia, da dove poteva entrare tutto l’occorrente per abbattere il palazzo stesso, posto che questa porta, a differenza della prima, non fosse in alcun modo presidiata; scopriamo a seguire anzi, che quell’apertura era situata proprio nelle vicinanze delle aule d’udienza. Erano circa le otto ed io decido di tornare dalle guardie per chiedere ulteriori informazioni sull’aula di nostro interesse e lì mi viene data una risposta a dir poco sconcertante: L’aula G.U.P. Ovvero del giudice delle udienze preliminari, non esiste, ma si crea giorno per giorno…
Perché da un ufficio che dovrebbe rivestire un’importanza così grande come quello del tribunale di Campobasso, parte un’invito a comparire, non si sa bene dove?
Ad ogni buon conto, fatte le dovute deduzioni, arriviamo a capire che l’udienza della quale sarei stato il “festeggiato”, si sarebbe tenuta presso l’aula contrassegnata con il numero uno.
A questo punto, visto che come detto erano ancora le otto, decidiamo di uscire per andare a bere qualcosa di fresco, al chioschetto sito nelle vicinanze del tribunale; rientriamo immediatamente ed i vigilanti ci sottopongono di nuovo al controllo di rito… Perché non siamo entrati dall’altra parte… La zona era sempre pressoché deserta ed iniziavano ad arrivare alla spicciolata i dipendenti che avrebbero raggiunti i rispettivi uffici; noi ci fermiamo in prossimità dell’aula uno ed iniziamo a fantasticare su come si sarebbe svolta l’udienza, paragonando il tutto a celebri processi della storia, piuttosto che a film di Sergio Leone o simili, facendoci sull’argomento grasse risate. Verso le nove meno un quarto, ecco che arriva la telefonata del mio studio legale ed uno dei miei avvocati, dopo essersi sincerato della mia presenza, mi avverte che la squadra si sarebbe composta di lì a mezz’ora, tre quarti d’ora, come poi è accaduto. Verso le nove e mezza, orario dell’appuntamento con il giudice, il primo bluff contro la mia controparte era andato a buon fine. Saltando i preamboli e la discussione con la quale abbiamo imbastita ufficialmente la mia difesa arrivando silenziosamente alla seconda trappola nella quale la controparte è poi caduta con tutte le scarpe, decidiamo di attendere il fatidico momento, che finalmente è arrivato, non alle nove e mezza, ma alle dieci e ventinove, quando sono stato invitato ad entrare in aula da una donna alla quale veniva da ridere.
Un’udienza in camera di consiglio è a porte chiuse ed il contenuto non può venir divulgato, ma nessuno mi può impedire di ragionare sulle sensazioni che ho vissute in quel momento. Siamo rimasti in udienza per nove minuti, quasi cacciati alla fine da un giudice che sembrava ci volesse mandare a quel paese, tanto era importante il motivo della causa a lui sottoposta. Noi siamo usciti ed io, prima di allontanarmi dall’aula, mi sono accordato con il mio avvocato per parlamentare con lui al di fuori del tribunale stesso. Erano le dieci e trentotto di una mattinata afosa, quando nell’uscire dall’aula, ho incontrata la mia controparte che parlava fitto/fitto con un altro bel personaggio del quale tratto spesso su queste pagine: quella, vale a dire chi oggi governa Gambatesa. Va bene un mostro, ma trovarne due allo stesso momento è troppo, per cui io e Totore decidiamo di abbandonare rapidamente l’atrio delle aule d’udienza perché lo stomaco non avrebbe retto più di tanto.
Alle undici meno venti e per buoni venti minuti ho avuto modo di discutere con il mio avvocato, scroccandogli come faccio solitamente qualche ulteriore insegnamento in campo giuridico e traendo le conclusioni di ciò di cui ti parlerò non appena avrò la documentazione per farlo. Fra l’altro, nel disquisire scopro che i documenti che ti ho più volte proposti, non erano nemmeno avvisi di garanzia, atteso che ciò sia in realtà la comunicazione di fine indagine con l’invito della procura al rinvio a giudizio, cosa che in questo caso non è stata nemmeno posta in essere, visto che la procura della repubblica di Campobasso, per ben due volte, ha chiesta l’archiviazione del casus belli. A me è comunque andata bene così, visto che ho portata a termine un’inchiesta che ti ho potuta raccontare mettendoci in prima persona la faccia e senza dedurre alcun che da inutili copia/incolla che spesso si leggono su tante pagine, più importanti e blasonate di queste.
Alle undici antimeridiane di ieri era tutto finito e noi decidiamo di rientrare a gambatesa per brindare ad una vittoria, resa praticamente sicura dal fatto che la mia difesa non ha dovuto far altro che accodarsi a quanto già deciso, come detto: per ben due volte, dalla procura della repubblica, nonostante ulteriori e considerate inutili denunce proposte dalla controparte, una delle quali, UDITE UDITE, per stalking, sentendosi, la mia controparte, vittima del fatto che per colpa di quanto ho portato a termine io nel duemilaquindici, lei ha patito qualcosa che l’ha obbligata a cambiar vita, deduzione smontata senza mezzi termini dalla procura che ha messo in chiaro che la libertà d’azione di chiunque ha determinati confini che non possono venir valicati impunemente da chi che sia, magari per trarne illeciti vantaggi a spese della collettività. Aggiungo io che lo stalking, per venir praticato, presuppone che la vittima designata sia in grado di mostrare i dovuti requisiti, cosa già da me più volte smentita con la giusta ripugnanza che forse chiarisce che a venir molestato potrei essere io dalla mia controparte…
E… la parte tecnica?
A seguire: E’ una promessa solenne!