Di Vittorio Venditti
(Foto), Di Antonio Venditti
Vorrebbero Far Finta Che Nulla sia Successo?
“… A Jammates z rombn’i corn e po da cap bongiorn …”, è un verso da me involontariamente storpiato da una bella canzone in dialetto locale, scritta e cantata a suo tempo da Donato D’Antonio, (a ciavl). Chiedo scusa a Donato per aver maltrattato il suo Lavoro, ma ciò mi serve per mettere in risalto quanto accaduto giovedì pomeriggio in un locale gambatesano che non preciso volontariamente, così come non rendo noti i nomi dei quattro protagonisti della chiacchierata che mi è stata fatta sentire quasi di proposito, ciò, per non dare a questi alcun diritto di replica, atteso che io non sia voluto volontariamente entrare in conflitto con questa gente e di conseguenza non sia entrato di proposito nel discorso inutilmente ed accoratamente lanciato. I fatti:
Generalmente il giovedì non esco, ma quando il mal di testa supera i limiti umanamente tollerabili, ecco che chiedo soccorso ai miei ormai pochi amici e provo a svagarmi andando magari in un bar a bere con chi mi accompagna, una o più birre. Giovedì scorso dunque, sono uscito con Donato per compiere il rito appena descritto e là dove abbiamo deciso di fermarci, di lì a poco, si sono presentate le quattro persone che all’inizio erano tranquille e poi si sono messe a parlare della festa dell’ascensione (che io chiamo “dell’ascensore”), e di come negli anni viene organizzata e portata avanti. Nel discutere, uno dei quattro, ad un certo punto ha esclamato, per ora in maniera tranquilla: “le feste non si fanno più come una volta perché la gente non vuole più collaborare!”, (frase ridotta per sintetizzare). Nel frattempo, io e Donato, stando in disparte, continuavamo a bere la nostra birra in santa pace, assistendo, più che alla chiacchierata dei quattro, a ciò che passava la TV, accesa non ricordo nemmeno bene su quale canale. Si è andati avanti per un buon quarto d’ora e dalla bocca di colui che nel frattempo si accalorava sempre di più per la doglianza di cui sopra, è arrivata un’altra sparata: “L’unica festa che resiste è l’infiorata; perché è gestita da Salvatore Abiuso; sono finiti anche i carri di carnevale, gestiti sempre dalla biblioteca e tutti se ne fregano…”.
A tal proposito, va detto che il Professor Abiuso è un uomo troppo onesto e sicuramente se sapesse di quella discussione si dissocerebbe senza se e senza ma, atteso che l’infiorata fu organizzata sì anche dalla biblioteca e dal professore in primis, ma la parte principale, così come la gestione economica di quella festa, furono a carico di una certa Giacinta Venditti che con la sua famiglia e tramite il bar Duemilauno da questa gente gestito, a fronte di un lavoro duro e tenace e di non poco danaro investito, fra l’invidia ed i tentativi di dar fastidio proposti da diversi gambatesani, ha iniziata una festa che ormai è tradizione: Qui quanto ti ho riproposto in tema giusto quattro anni fa, a vent’anni dall’evento, vedi i video, se pur malandati.
Per quanto riguarda i carri di carnevale poi, lo stesso gruppo di testardi, dal locale di cui sopra, nel millenovecentonovantadue, a proprie spese e con il proprio lavoro, ha costruito il primo carro che, invitato a Colletorto (CB), durante la locale sfilata di carri allegorici, si è presentato, scortato da una squadra stile capodanno che suonava marcette e che veniva praticamente tirata per la proverbiale giacchetta dai componenti degli altri carri in marcia, invidiosi ma contenti per una novità che loro non conoscevano, carro gambatesano che quel giorno ha preso un premio che non è mai stato consegnato a chi aveva costruito l’ingegno in questione, creando di sana pianta anche i costumi, rigorosamente cuciti a mano, necessari ai carristi ed agli squadristi che per un giorno hanno portato il loro entusiasmo fuori dai confini di Gambatesa, senza nemmeno farsi troppa pubblicità, ma dando il via ad un’altra festa che da decenni non esisteva più in paese, valida alternativa al pur sempre importante Diavolo di Tufara. Ah, il carro rappresentava la cassaforte di Paperon dei Paperoni e la squadra di suonatori che lo seguiva era mascherata da banda bassotti! In quei frangenti, ricordo che è stato per me un vero onore essere la fisarmonica di quella squadretta e mi è dispiaciuto non poco per il fatto che molti che avrebbero voluto far parte di quella spedizione, non hanno potuto essere dei nostri perché emigrati e senza nemmeno la possibilità di assistere in diretta ad un evento che per me, radioamatore, era impossibile da gestire perché cantando, non avrei potuto portare anche la croce.
Nel millenovecentonovantatré infatti, tramite la radio, riuscii a raccogliere un mare di gente a Gambatesa, la domenica precedente al martedì grasso, per far sì che si potessero vivere le feste di Carnevale sia da noi che nella vicina Tufara, senza calpestarci i piedi, senza farci del male, ma per avere in entrambi i borghi il giusto guadagno ed il doveroso stare insieme per lenire l’anonimo torpore che già venticinque anni fa attanagliava l’area del Fortore, con buona pace dei politici d’allora che come oggi, nulla facevano per invertire una “rotta” non proprio “giusta”.
E se lo dice Ulisse…
Per inciso: Quel giorno, nonostante la marea di gente arrivata in paese, la festa non è andata proprio come avremmo voluto, visto che il meteo ci propose neve: Qui quanto ti ho riproposto nel duemilaquattordici, a proposito delle sfilate gambatesane del novantatré e novantaquattro del secolo scorso, come al solito: Video compresi!
Tornando al presente ed ai quattro che giovedì discutevano animatamente delle feste quasi ormai non feste, va detto che i nostri possono essere perdonati del mancato ricordo perché tre su quattro, ad inizio anni novanta del secolo scorso per l’appunto, erano bambini di dieci/dodici anni, quindi non del tutto inseriti nella politica che già mi vedeva in azione, non sempre pacifica. Proseguendo però nel sentire mio malgrado la discussione che i Nostri portavano avanti e considerato che colui che più si accalorava nel ripetere periodicamente della mancanza di collaborazione degli attuali residenti in paese, nell’inalberarsi si rivolgeva sempre più insistentemente verso chi si era estraniato di proposito da quel disquisire, mi è venuto spontaneo di riflettere, ovviamente senza entrare in quella discussione che sapeva di pentimento, ma che non si doveva definire tale, visto l’orgoglio di quei chiacchieranti che sarebbe stato inevitabilmente ferito, o per meglio dire distrutto.
La riflessione: Fatto salvo il considerare che a Gambatesa esista una fornita leccheria che se mangia il pane altrui, potrebbe venir impiegata anche in questi lavori extra, già pagati abbondantemente con il pane rubato al locale municipio e a chi lo sostiene con le tasse pagate e la giornata a cristo, (ieri giustappunto ho goduto nel vederne schiumare di “sudore” una di queste “brave persone”), è inutile ripetere che più si va avanti e meno gambatesani autoctoni restano in vita o propriamente nel borgo. Assunto quanto appena detto, poniamo in percentuale il prosieguo del discorso, dicendo che sono di conseguenza sempre meno coloro che ancora credono di poter organizzare in modo serio e senza dover patire problemi di sorta una festa. Diamo al cinquanta/sessanta per cento la percentuale di volontari che per buona educazione attribuisco a quest’insieme in questa mia teoria, numero di individui reali che per effetto dello spopolamento di cui sopra, in pratica è sempre più risicato. Quanto manca per raggiungere il cento per cento dei gambatesani veri, nel frattempo, o è rimasto deluso dalle aspettative di collaborazione di chi ancora organizza le feste, oppure è stato proprio cacciato da tutto il cacciabile e tenuto volontariamente fuori da ogni tipo d’organizzazione di qualsiasi evento locale.
A questo punto sorge spontanea una semplice e riassuntiva domanda:
Ma se gli altri li cacciate, come pensate di convincerli poi a lavorare con e spesso per voi?
E soprattutto: Se coloro che vengono estromessi dal vostro stupido quanto inutile e deleterio comportamento nel frattempo vivono forse anche meglio di quando trattavano con voi, a che serve il vostro accalorarvi per lanciare appelli all’unità, nati già morti proprio perché voi non volete gli altri fra i piedi?
Insomma: A che pro, la sparata di giovedì pomeriggio?
Avete voluta la bicicletta? Adesso pedalate!
Diversamente, sarà il caso di ricordarvi che per comporre un dissidio, magari sia necessario presentare le scuse d’obbligo. Questa non è mia, ma è di un certo papa Francesco, agli esordi sul Soglio di Pietro.
Sarà il caso di cominciare a pensare che il numero sempre più ridotto di vostri amici, imponga un radicale ripensamento del vostro modus operandi, in favore del reintegro di chi avete inopinatamente allontanato da voi, generalmente gente che ha lavorato tenacemente e soprattutto gratuitamente, qualche volta rimettendoci anche economicamente in maniera davvero pesante?
Quei carri di carnevale, le prime infiorate e la riproposizione in grande stile della festa della Madonna delle traglie, (anche qui puoi guardare i video che ti presentano i nostri concittadini, ma di ventiquattro anni fa), sono manifestazioni costate ai privati che le hanno organizzate milioni di lire per festa, soldi mai recuperati, ma volontariamente spesi, alla faccia di municipio e pro loco che invece di partecipare, mettevano i bastoni fra le ruote di chi è andato comunque caparbiamente avanti nel proprio gratuito lavoro, con il fattivo aiuto di un paese che si è sentito coinvolto e che ha lavorato volontariamente e con un entusiasmo invidiabile, ma soprattutto senza recriminazioni di sorta. La prima Infiorata del Corpus domini che ti ho riproposta sopra in link, fu organizzata in maniera davvero casareccia. Ricordo che per finire i quadri, mia madre e Carmelina Abiuso, (a pinc), andarono a piedi verso la montagna dalle parti dei (mast cazzill), e poi verso contrada Paolina, a cogliere a mano i fiori mancanti ed a farsi dare altro materiale dai contadini della zona sopra citata, incuranti del fatto che fosse domenica e che il resto del paese stesse aspettando di uscire in processione. La festa della Madonna delle traglie poi, vide in campo l’intera Gambatesa, esclusi il municipio e l’allora pro loco, in una gara per abbellire il borgo, dove l’esperienza degli anziani si è sposata alla perfezione con l’entusiasmo dei giovani, vogliosi d’imparare a costruire i panarell con le spighe di grano; davanti al bar duemilauno, era stato costituito un laboratorio spontaneo e popolare, ma la nostra vigilanza, era attiva per paura che a qualcuno di quei politici venisse l’idea di mandare le forze dell’ordine a controllare l’igiene del luogo, magari per farci chiudere per dispetto e ripicca il locale…
Vado avanti o mi fermo qui?
A voi la decisione! Ma per il futuro: Smettetela di lamentarvi perché si raccoglie ciò che si semina!