Di Matteo Renzi
1. Il congresso del PD
Migliaia di iscritti stanno votando, discutendo le singole mozioni e finendo con l’esprimere una preferenza. A me sembra affascinante: la democrazia in azione. Ci sono seimila circoli del PD in Italia, alcuni piccolissimi, altri più grandi. Si discute di tutto, dall’ambiente al lavoro, dalla sicurezza alla cultura. E poi si vota. Questa è la politica, non solo stare a lamentarsi o a fingersi scandalizzati.
Per il momento la partecipazione degli iscritti è ottima, superiore in percentuale a quella del 2013 nonostante stavolta abbiamo scelto di non consentire di iscriversi all’ultimo minuto per evitare caos come in passato. La nostra mozione sta andando molto bene anche tra gli iscritti, ma c’è ancora da lavorare: vorrei però dire grazie a tutti perché i primi dati sono superiori alle più rosee previsioni. Vedo che tanta gente continua a dirci “Dai, andiamo avanti” e mi vengono i brividi per la responsabilità che ciò comporta. E quando smettiamo di parlarci addosso, quando usciamo e apriamo porte e finestre all’ascolto, alla proposta, al voto sembra quasi di riprendere a respirare a pieni polmoni dopo una lunga apnea. Iniziate per favore a segnare la data del 30 aprile sul calendario: quello sarà il giorno delle Primarie. Io nel frattempo continuo col mio trolley a girare l’Italia, andando nei luoghi meno conosciuti e cercando di arrivare in incognito. Guidato da Matteo Richetti e Stefano Bonaccini sono andato a incontrare alcune realtà del sociale modenese, a cominciare da chi combatte contro la ludopatia – terribile piaga del nostro tempo – e da chi aiuta i più anziani, oltre che a pranzo con il mondo della ceramica e a cena con i volontari del PD di Campogalliano. Ieri con Maurizio Martina ho incontrato gli studenti universitari di Perugia per riflettere insieme sull’Europa (qui il video dell’incontro). Chi vuole dare una mano, idee, stimoli, suggerimenti può scrivere a francesca@matteorenzi.it
Chi è interessato a sapere come la penso su alcuni temi di questi giorni (dai voucher ai vitalizi passando per Macron e i vaccini) qui può vedere l’intervista a corriere.it. È 55 minuti, vi ho avvertito.
2. I 60 anni della firma dei trattati
Il Governo italiano ha ospitato – d’accordo con la presidenza di turno maltese – le celebrazioni per i 60 anni della firma dei trattati europei. Organizzazione perfetta, anche dal punto di vista dell’ordine pubblico e i miei più affettuosi complimenti a Gentiloni e Minniti. Oltre che ovviamente a tutti quelli che hanno lavorato su questi temi e soprattutto alle forze dell’ordine italiane che hanno dato al mondo una dimostrazione di professionalità di cui essere, una volta di più, orgogliosi. Adesso la sfida è un’Europa che sappia essere all’altezza del sogno dei padri fondatori. E per farlo i prossimi mesi saranno decisivi. Elezione diretta dei vertici europei, cominciando almeno con le primarie già nel 2019. Maggiore attenzione sui progetti di investimento e di crescita. Principio del “Per ogni euro in difesa e sicurezza, investire un euro in educazione e cultura”. Su questi temi – se vinceremo il congresso – saremo in prima fila per stimolare e spingere tutta la comunità dei socialisti e democratici europei. Perché l’Europa si può cambiare, ma serve la politica.
3. Solo per addetti ai lavori e appassionati di politiche economiche
In queste ultime settimane si parla delle scelte dei mille giorni in modo improvvisato, specie sul lavoro e sul bilancio pubblico. Non vi tedio. Dico solo a chi ha voglia di discutere nel merito che la verità non è un optional. Quando si parla di numeri andrebbero rispettati i fatti. Io dico: volete discutere? Bene. Ci stiamo. Il prof. Marco Fortis, la cui straordinaria tenacia contro le fake-news è ammirevole, ha redatto alcuni documenti che da oggi sono disponibili sul sito www.italiaincammino.it e che consentiranno di smontare uno per uno le accuse di chi dice che abbiamo fatto finanza allegra o fatto peggio di altri governi rigorosi solo a parole. Per esempio su questo grafico (slide 32) si vede quanto è cambiato il rapporto debito-pil degli ultimi quattro governi (Berlusconi IV, Monti, Letta, Renzi), è evidente come i momenti in cui i conti sono peggiorati sono quelli dei governi Berlusconi, Monti e Letta. I numeri sfatano una bugia virale di questi mesi. Il prof. Tommaso Nannicini, che sta coordinando anche il programma per la mozione, ha scritto questo contributo molto utile per fare chiarezza su veri numeri del JobsAct. Chi ha un po’ di tempo guardi queste carte: perché vi troverà la risposta ai tanti che in modo superficiale piegano la realtà a polemiche di parte. Ultimo in ordine di tempo il dibattito sulla flessibilità. Una corrente di pensiero dice che noi abbiamo avuto dall’Europa la flessibilità e l’abbiamo usata male. Tre considerazioni tecniche sulla flessibilità:
1. L’Europa non ci ha dato la flessibilità. Ce la siamo presa combattendo una durissima battaglia politica nel nostro semestre di presidenza, nel 2014. Al termine del quale abbiamo detto che non avremmo votato Juncker se non ci fosse stato un esplicito riferimento alla flessibilità. Cosa che è avvenuta perché senza il PD col 40% non si chiudeva l’accordo in Europa. Non ci hanno regalato nulla, abbiamo fatto politica e abbiamo vinto una battaglia grazie ai voti presi dagli italiani. Ogni tanto succede.
2. La flessibilità non significa “maggiore spazio di deficit rispetto al passato” come fa credere qualcuno. Ma significa “maggiore spazio di deficit rispetto alle assurde previsioni del fiscal compact”. In altri termini: il Governo Monti e il Governo Letta avevano un deficit più alto del nostro, lo avevano al 3%. Noi lo abbiamo ridotto, non aumentato. Siamo stati più rigorosi, non meno rigorosi. Abbiamo usato la flessibilità che ci siamo conquistati per tenere il deficit al 2,3% (che diventerà 2,1% per effetto della manovrina concordata dall’attuale Governo a Bruxelles) anziché arrivare da subito al pareggio di bilancio voluto dalla politica di austerity del passato. Dunque la flessibilità non significa finanza allegra, ricreazione per tutti: noi abbiamo tenuto i conti in ordine più degli ultimi tre governi. Ma abbiamo cercato di farlo senza uccidere le prospettive di crescita, cosa che il fiscal compact – votato da quelli di prima, non da noi – ci avrebbe costretto a fare. Più rigorosi di chi ci ha preceduto, senza però essere totalmente proni alla filosofia dell’austerity. E questo l’abbiamo fatto insieme al ministro Pier Carlo Padoan cui sono legato da un rapporto personale di stima e amicizia che nessun retroscena giornalistico riuscirà a mettere in discussione.
3. Il QE della Banca Centrale Europea – che abbiamo sostenuto con tutte le nostre forze durante il semestre di presidenza e che è stato perfettamente gestito dal Presidente Draghi – ha aiutato molto sotto il profilo degli interessi sul debito pubblico: contestualmente la riduzione dello spread è stata possibile grazie anche al lavoro di riforme a cominciare da quella sul lavoro o quella sulle banche popolari. Non a caso nel momento di massima forza riformatrice del Governo abbiamo avuto performance superiori a quelle di altri Paesi, come la Spagna ad esempio, che invece nell’imminenza del referendum e soprattutto dopo la sconfitta ci hanno di nuovo superato
Insomma. Io non voglio difendere il lavoro del governo dei mille giorni per dovere professionale. Quello che abbiamo fatto, abbiamo fatto. Punto. È il passato, anche coi suoi errori. Produrrà effetti più di quanto si creda, non solo sul cantiere sociale, dalle periferie alla povertà, dal dopo di noi al terzo settore. Oggi ad esempio il mondo dello spettacolo si è riunito al Quirinale per i David di Donatello e molto giustamente Benigni ha definito il cinema come uno degli strumenti per “consentire alle nostre anime di raggiungerci”: abbiamo lavorato molto con la legge sul cinema e non solo con questa per investire nella cultura come valore prezioso per le prossime generazioni.
Ma se si vuole discutere della recente storia di questo meraviglioso Paese bisogna dire la verità. Troppo spesso noi non abbiamo replicato nel merito, lasciando che chiunque mettesse in circolo mezze verità o intere menzogne. Abbiamo permesso con questo approccio che chi ha organizzato intere strutture finalizzate a diffondere falsità e viralizzare concetti semplici ma fasulli prevalesse in particolar modo nel mondo dei social.
Per vincere la sfida non serve rivendicare il passato. Bisogna indicare una direzione al Paese. Ma senza la verità su ciò che è accaduto ogni prospettiva perde serietà e rigore. E non possiamo permettere che la storia sia scritta dalle notizie false.
Pensierino della sera. In questi giorni ripartono le polemiche sul sindaco di Roma. Le (presunte) firme false sono l’ultima goccia. E la settimana bianca, e l’abuso d’ufficio, e l’avviso di garanzia, e la funivia. Continuo a pensare che noi dobbiamo rifiutare questa linea di battaglia. È vero, lo sappiamo tutti: se la Raggi avesse avuto la tessera del PD, il blog di Beppe Grillo l’avrebbe disintegrata ogni giorno con post virali e accuse infamanti. Ma siccome lei appartiene al movimento, loro la difendono. Bene, ma allora non facciamo noi i grillini. Non inseguiamoli nel loro terreno finto moralista e molto doppiogiochista. Parliamo di cose concrete, incalziamoli sul fatto che i loro progetti sono irrealizzabili, raccontiamo la nostra idea di Italia. Ma non inseguiamoli nel loro atteggiamento di scontro. Se ci sono firme false, lo dirà la magistratura, non una trasmissione televisiva. Fino a quel momento, massimo rispetto per il Sindaco che i romani hanno scelto. E buon lavoro. E se loro usano un altro metodo, peggio per loro: gli italiani sapranno valutare e decidere.
Un sorriso,
Matteo
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